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Da: Forum, Orario di Lavoro

ORARIO DI LAVORO IN IBM

Sommario

Fin dagli anni Sessanta e Settanta IBM ha dato un'immagine di sé come di un'azienda gestita in modo diverso dalle altre, con un approccio già postfordista. Nel presente testo cerchiamo di inserire la nostra esperienza di contrattazione sull'orario di lavoro in questo quadro, in parte reale e in parte volutamente mistificatorio, nel quale è indispensabile collocare anche la questione dei contenuti e dell'organizzazione del lavoro.

Occorre anche tener presente come tale specificità di IBM appaia oggi assai meno significativa, in parte perché dall'inizio degli anni Ottanta "ha vinto", cioè è diventata forma egemonica ed è entrata nel senso comune della gestione d'impresa, in parte perché si è ossificata in procedure burocratiche e "forma mentis" assunta acriticamente da generazioni di dirigenti, rivelandosi sempre più spesso incapace di affrontare le sfide che preannunciano gli scenari del XXI secolo.

IBM si è sempre caratterizzata per una gestione del personale particolarmente ispirata direttamente dalla Corporation, particolarmente attenta ad enfatizzare gli aspetti di incentivazione retributiva dell'individuo e finali zzata ad ottenere una totale disponibilità a quelli che sono gli obiettivi aziendali spacciandoli per obiettivi di ogni singolo lavoratore.

Tutto ciò che assomiglia ad una gestione per gruppi, anche solo per ciò che concerne mansioni simili fra di loro, è stato sempre avversato con forza e questo vale anche per l'orario di lavoro.

IBM, da decenni, ha ottenuto dall'INPS la dispensa dalla timbratura del cartellino orologio per i lavoratori di Sesta e Settima categoria che hanno il solo obbligo di firmare (strisciare il 'badge' in un lettore) per certificare la prestazione data; questi lavoratori, oggi, rappresentano l'81% del totale della forza.

Quanto sopra è sempre stato informalmente giustificato in modo contraddittorio, ovvero l'azienda asserisce che questi lavoratori (definiti EXEMPT) lavorano per obiettivi concordati con la linea manageriale; la contraddittorietà consiste nel fatto che, intanto, anche ai lavoratori inquadrati fino alla Quinta categoria (che timbrano 4 volte al giorno e sono definiti NO EXEMPT) viene detto che lavorano per obiettivi, ed inoltre, soprattutto negli ultimi anni, questo &eg rave; un ottimo sistema per non retribuire le ore di straordinario.

Questa mancata retribuzione comincia ad essere "sofferta" dai lavoratori, perché il meccanismo degli aumenti di merito si è inceppato: sono meno costanti, meno sostanziosi e, soprattutto, hanno assunto la forma di 'una tantum'.

Dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro, naturalmente sempre originata o almeno influenzata dalle esigenze del mercato e dei clienti, i regimi di orario introdotti riguardano le prestazioni notturne, in sabato ed in domenica; vi è poi il fenomeno del TeleLavoro cosiddetto "Nomade" che verrà trattato in un capitolo specifico.

Il lavoro in IBM: contenuti, organizzazione … e qualche brutta sorpresa

Com'è noto, la sigla "IBM" significa "International Business Machines", che si può tradurre liberamente come "Azienda Internazionale di Macchine per gli Affari". "Internazionale" rimanda naturalmente alla sua dimensione organizzativa multinazionale, che non è possibile discutere in questa sede. E' invece importante riflettere su queste "Macchine per gli Affari".

Quando, nel XVIII secolo, il capitalismo esce dall'ambito puramente finanziario e incomincia a intervenire nell'organizzazione del lavoro, concentra tutti gli sforzi nel rendere efficace e uniforme il lavoro fisico degli uomini sulle cose, con o senza l'aiuto di macchine. Con Taylor questa uniformità e questa efficacia vengono codificate in tabelle numeriche compilate con procedure rigorose; con Ford l'equilibrio del sistema uomo-macchina viene spostato mettendo l'uomo al ritmo della macchina e non viceversa, com'era stato prima. Ogni prodotto diventa descrivibile come un insieme di tabelle che indicano i componenti, le lavorazioni e i tempi necessari per la produzione. Ma queste tabelle, come tutta le gestione economica, la corrispondenza eccetera vengono gestite in uffici sempre più grandi che sono concepiti come esterni, come indiretti, rispetto alla "vera" produzione; i costi amministrativi vengono "spalmati" su quelli produttivi come se fossero sostanzialmente irrilevanti. In questa stessa terra di nessuno si vanno a collocare anche quelle attività, che definiremo per brevità "studi e ricerche", che tutti percepiscono come essenziali per la vita dell'impresa ma che nessuno sa inserire, se non formalmente, in qualche voce della "distinta base" di un prodotto.

Nel XX secolo avviene in tutte le branche del sapere una rivoluzione culturale nella quale emergono in piena luce gli aspetti informativi della natura e delle attività umane, prima trascurati a favore di un materialismo ingenuo: in Fisica la costante di Plank e la velocità della luce sono visti come limiti assoluti all'informazione disponibile; in Biologia nasce l'idea di "codice genetico", cioè dell'informazione base del vivente; in Medicina Freud incomincia a leggere come "discorso" una malattia (l'isteria) considerata precedentemente come disturbo organico; in Economia Keynes incomincia a guardare la moneta non come indicatore di una ricchezza oggettiva, ma come messaggio fra operatori economici; nel mondo dei consumi nasce una nuova industria, quella mediatica (radio e cinema), basata essenzialmente sulla riproducibilità tecnica dei prodotti artistici intesi come insiemi di informazioni; in campo militare vengono prodotte nuove armi (macchine crittografiche e radar) che trattano esclusivamente informazioni. Il capitalismo si avvia a industrializzare quest'enorme aumento di produzione di informazione, e incomincia a produrre macchine sempre più piccole, veloci ed economiche in grado di farlo.

Ma questo carattere sempre un po' ribelle agli schemi dell'informazione, questa sua "eterna sproporzione" che introduce nelle cose umane (due libri possono avere lo stesso numero di pagine, lo stesso peso, aver richiesto lo stesso tempo al loro autore, ma uno può essere un fiasco completo, l'altro venir letto e citato per secoli) sopravvive anche alla sua meccanizzazione.

E fin dall'inizio i contenuti del lavoro in aziende pionieristiche come IBM si presentano come meta-informazioni, cioè come attività che hanno come scopo la manipolazione di informazioni, le quali sempre meno spesso vengono fruite così come sono e sempre più spesso sono esse stesse manipolatrici di informazioni (progettazione di elaboratori, programmazione, generatori di applicazioni … ). Ciò da un punto di vista manageriale pone un problema formidabile: come ottenere la massima produttività dalle persone e dall'organizzazione in un contesto in cui la relazione fra costo delle risorse impiegate e valore dei risultati ottenuti è molto spesso difficilissima da determinare? La scelta di IBM è quella di utilizzare due approcci apparentemente in contraddizione l'uno con l'altro, e di affidare alla propria linea manageriale la gestione operativa di questo continuo cambio di prospettiva.

Il primo approccio è quello di accettare in pieno la sfida posta dalla gestione dell'informazione e dalla sua complessità inventando un nuovo tipo di lavoratore: una persona che si fa beffe di piante organiche, di tempi e metodi, perché il suo lavoro consiste proprio nel distruggere le "proporzioni definite" delle procedure tradizionali: egli è portatore di razionalizzazione, automazione, innovazione non solo presso i clienti, ma anche all'interno della sua stessa azienda. Può tranquillamente trascurare anche la protezione sociale che le vecchie regole (magari duramente contrattate col Sindacato) davano, perché può essere ben remunerato: egli è certamente molto produttivo, perché ogni suo intervento professionale è potenzialmente un grande moltiplicatore della produttività altrui (anche se tutto ciò continua a essere non ben misurabile e spesso non viene misurato affatto). E questa autorappresentazione è la parte immateriale della retribuzione: lo gratifica, lo convince di avere una missione sociale importante da svolgere (che ciò sia talvolta vero e molto più spesso falso, non è rilevante: l'esame critico non entra nei processi di seduzione). Il vantaggio manageriale di gestire persone così innamorate del proprio lavoro è tale, da spingere la direzione a includere in questo "nuovo modello di lavoratore" anche attività e figure professionali assolutamente tradizionali o addirittura dequalificate: ingegneri messi ad alimentare le stampanti con risme di carta, esperti di comunicazione dedicati a ritagliare articoli di giornale … tutte persone incentivate al raggiungimento di obiettivi descritti con parole alate quanto vaghe, convinti che tutto ciò rientri in un indefinito sviluppo professionale. Tale rappresentazione del ruolo lavorativo viene confermata e rafforzata da tutta una serie di messaggi, cerimonie, simboli che non è possibile analizzare qui ma che è stata oggetto, nei decenni scorsi, di ripetuti studi da parte dei rappresentanti dei lavoratori, in corso di pubblicazione sul nostro sito Internet.

Il secondo approccio è ben più tradizionale, e consiste nel reintrodurre il più possibile una gestione classica della forza-lavoro ogniqualvolta ciò risulta possibile, o, più semplicemente, automatizzare completamente certi processi ed eliminare completamente le precedenti figure professionali. Alcuni esempi chiariranno meglio come viene applicata questa strategia:

Il risultato dell'applicazione contemporanea dei due precedenti approcci porta il dipendente IBM a una percezione estremamente confusa e contraddittoria del proprio ruolo professionale, continuamente sballottato fra un'immagine di professionalità alta, che lo spinge a identificarsi con i valori e la cultura aziendale, e un dubbio di essere privo del benché minimo potere contrattuale come detentore di competenze particolari. Alla fine, prevale l'elemento comune fra le due rappresentazioni: quel che conta è lavorare il più possibile, senza farsi troppe domande sui contenuti o sui risultati effettivi. Lavorare molto e a lungo, come fa il grande avvocato o il grande giornalista, ma con il dubbio che quando l'azienda ti caccerà farai il giornalaio o il pizzaiolo.

La gestione dell'orario di lavoro è uno degli indicatori più evidenti di questa sovrapposizione fra due modelli contradditori: da una parte si parla di "gestione per obiettivi" che, se interpretata rigorosamente, porterebbe a rendere l'orario di lavoro irrilevante nelle relazioni tra dipendente e impresa: se conta unicamente raggiungere gli obiettivi, allora per IBM dovrebbe essere irrilevante se il lavoratore è impegnato per venti o sessanta ore alle settimana. Dall'altra c'è una pressione per garantire comunque un'erogazione di almeno 40 ore alle settimana, per non parlare di tutte le minuziose documentazioni richieste per calcolare il tempo richiesto dalle singole attività. Questo contrasto giunge al culmine nel caso del Telelavoro, che da una parte è incentivato dall'azienda come "straordinario discrezionale non pagato" (e ciò sarebbe coerente con la "gestione per obiettivi"), dall'altra viene escluso come mezzo per permettere ai dipendenti di lavorare da casa e risparmiare tempi e costi di trasporto, motivando il rifiuto con l'impossibilità per la linea manageriale di controllare che il lavoro sia effettivamente svolto (e qui siamo nella dimensione dell'azienda tradizionale, senza "gestione per obiettivi").

Questa contraddizione è stata parzialmente smussata da IBM creando un'azienda-rete sempre più estesa, delegando i lavori più "diretti" (come la programmazione e la manutenzione del software, la gestione dei centri di calcolo, l'assistenza ai piccoli e medi clienti e così via) a una galassia di società satelliti soggette a vari gradi di controllo proprietario. In queste società, spesso le caratteristiche di azienda tradizionale sono più accentuate (c'è la timbratura del cartellino ecc.); in altri casi viene sfruttata (è proprio il caso di dirlo) la nuova leva di giovani informatici, numerosi, spesso ben preparati e molto preoccupati di evitare la disoccupazione. Per questi giovani la separazione fra "tempo di vita" e "tempo di lavoro" è più tenue che per le generazioni precedenti, perché l'informatica fa comunque parte della loro vita indipendentemente dal lavoro: è usata per studiare, per divertirsi, per tenere relazioni sociali. Inoltre la dimestichezza fin da giovanissimi con questi strumenti probabilmente riduce in assoluto la fatica fisica necessaria per operare con essi, a paragone delle generazioni che si sono informatizzate in età adulta. Quindi la flessibilità dell'orario e il suo prolungamento è assai più facile da ottenere, senza dover introdurre tutto il cerimoniale della "gestione per obiettivi".

D'altra parte questa nuova generazione di lavoratori può riservare sorprese alla direzione aziendale: essi si sentono più padroni dello strumento informatico (che non gli è "stato dato" da IBM, lo conoscevano bene da prima) e sono assai più disincantati verso le scelte tecnologiche e culturali di IBM e delle sue modalità di gestione della "azienda rete". Come Sindacato dobbiamo imparare a interloquire con questi giovani e a essere un soggetto portatore di proposte credibili, interessanti, innovative. Per quanto riguarda le RSU IBM, la vertenza sul Telelavoro e la creazione del sito Internet presso CGIL Lombardia sono anche dei primi passi in questa direzione.

Non sarebbe giusto chiudere questa breve scorsa senza citare qualche indizio che indichi come IBM paghi prezzi sempre più alti alla propria politica di incentivazione del genericismo di basso profilo al posto della qualificazione professionale dei propri dipendenti. Sempre più spesso gli attacchi ai profitti di IBM non vengono da società di dimensione o di organizzazione analoga, ma da ex dipendenti geniali e intraprendenti che si rendono conto della burocratizzazione e della morte della creatività che vi è all'interno di IBM e che sfidano il colosso sviluppando idee rifiutate all'interno. I casi clamorosi di Microsoft e SAP sono una spia della dimensione delle opportunità di business che IBM perde per non aver saputo o voluto sviluppare il potenziale professionale dei propri dipendenti. A questi casi bisogna aggiungere alcuni fallimenti tecnologici clamorosi (e probabilmente evitabili seguendo politiche meno miopi, come nel caso del sistema operativo OS/2) e i ritardi nell'affrontare segmenti di mercato molto promettenti, come i Personal Computer, i prodotti multimediali e la stessa rete Internet.

La contrattazione dell'orario di lavoro.

Il primo esempio di contrattazione si rintraccia parecchi anni fa quando, nel Centro di Calcolo allora ubicato a Segrate, si pose il problema di disciplinare lo straordinario notturno (tra le ore 22 e le 7 del giorno successivo) e ciò in conseguenza dell'utilizzo selvaggio di queste prestazioni da parte dell'azienda. In quel reparto si lavorava a turni, definiti sinusoidali o sovrapposti, e, in un primo momento, non vi era la presenza del turno notturno; in sostanza si trattava di garantire il buon fine di certe procedure elettroniche che, per vari motivi, vedevano un tempo di elaborazione protratto oppure necessitavano di essere concluse dal personale che ne aveva seguito le varie fasi. Il 16 novembre 1979 venne raggiunto un accordo, applicato anche a tutto il personale IBM, che prevede:

Il secondo esempio di contrattazione dell'orario riguarda l'assistenza tecnica: ai lavoratori venivano richieste prestazioni in giornata di domenica per l'assistenza a clienti che, pur non svolgendo attività fra quelle consentite dalla Legge, non potevano rendere disponibili gli elaboratori elettronici se non in tale giornata (l'esempio classico è costituito dai supermercati).

Il 1 luglio 1985 si raggiunse un accordo che prevede:

Il terzo esempio riguarda lo straordinario al sabato e risale al 1991.

Le prestazioni in giornata di sabato, anche oltre le ore 13, si erano diffuse all'inizio tra i lavoratori addetti alla manutenzione nelle varie sedi, ma interessavano in misura sempre maggiore una tipologia sempre più estesa di lavoratori.

Dopo alcuni primi tentativi di ricondurre la situazione almeno nel rispetto delle norme contrattuali che disciplinano tali prestazioni, il Sindacato ha promosso un ricorso ex art. 28 della legge 300/70 in conseguenza della totale assenza di disponibili tà da parte di IBM.

Di fronte all'ipotesi molto probabile di una sentenza negativa, i Dirigenti Aziendali si sono resi disponibili alla negoziazione.

Il 21 marzo 1991 venne firmato un accordo che prevede:

A conclusione di questa descrizione occorre precisare che IBM, in maniera molto contraddittoria, applica a tutti la normativa concordata per quanto riguarda le prestazioni notturne ed in giornata di domenica, mentre, per quanto riguarda il sabato, si rifiuta di applicare l'accordo ai lavoratori di sesta e settima categoria.

Il Telelavoro 'nomade'

Si tratta ora di parlare di un argomento molto complesso che ha rappresentato e sta rappresentando il più importante cambiamento dell'organizzazione del lavoro, del sistema degli orari e della stessa vita privata di qualche migliaio di lavoratori in IBM.
Il simbolo di questa 'innovazione' è rappresentato dal "port-it", ovvero da un personal computer portatile molto potente che consente a chi lo utilizza di collegarsi, in qualsiasi luogo si trovi, con le banche dati aziendali e di sfruttarne tutta la potenza di calcolo. All'inizio questo portatile viene assegnato prevalentemente a venditori e sistemisti, ma successivamente dilaga fra i tecnici di manutenzione e persino tra gli amministrativi. In sintesi esso passa dall'essere considerato uno 'status symbol' da molti lavoratori, ad un vero e proprio strumento di coinvolgimento e, potremmo dire, persino di sfruttamento.

Infatti:

E si potrebbe continuare con una trattazione che meriterebbe, e necessiterebbe, di ben altro spazio ed attenzione. Mi limito qui ad osservare che, di fronte alla ostilità ed indisponibilità dell'azienda nei confronti di qualsiasi forma di negoziazione in relazione al fenomeno sommariamente descritto, Sindacato ed R.S.U. hanno solo potuto promuovere un disegno di Legge che, al momento, non è ancora stato discusso dal parlamento.

In allegato vi sono i risultati di un questionario sull'orario di lavoro che mostrano, in maniera molto efficace, la dilatazione dell'orario di lavoro prodotta da questo strumento tecnologico: si noti la differenza fra lavoratori con la stessa mansione che hanno o meno un portatile assegnato; … e si noti il fenomeno del lavoro perfino durante le ferie. Il questionario risale al 1996, ma ben rappresenta ancora oggi una situazione, mi si lasci dire, in profonda involuzione.
Non rimane che chiedersi, di fronte a questo panorama: a quando l'azienda virtuale?

Milano, 22 aprile 1999.

A cura di: Alfio Riboni

Con la collaborazione di: Giovanni Talpone