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Da: Forum; Politica aziendale e risultati economici; IBM come azienda-rete

Qualche citazione tratta da:

"Bill Gates: Una biografia non autorizzata"

di Riccardo Staglianò, Feltrinelli Editore, Milano 2000

I dolori di Big Blue

Il nomignolo del gigante aveva a che fare con completi inappuntabili. Big Blue accennava a un dress code tacito che tutti rispettavano senza fiatare: da un funzionario IBM ci si aspettava che fosse vestito con proprietà, intendendo con questo blazer blu - appunto - e camicie bianche. L'appellativo e l'uniforme emanavano anche quella tradizionale solidità che l'azienda per anni aveva incarnato.

Ma da un po' di tempo qualche malizioso aveva cominciato a proporre etimologie alternative, storpiando il significato primigenio dello pseudonimo: Big Blue era piuttosto l'umore dei nobili decaduti di Armonk, New York, che, assistevano, impotenti, al dissiparsi del loro primato.

I numeri non lasciavano spazio alle opinioni. Negli anni cinquanta IBM controllava il 90 per cento del mercato informatico, con i giant brains, i super calcolatori grandi come una villetta familiare e costosi quanto un aereo; negli anni settanta la quota era passata al 70 per cento, fondamentalmente assicurata grazie al successo del fortunato modello 360. Nel gennaio del 1969 la trionfale marcia della International Business Machine aveva trovato sulla propria strada l'ostacolo rognoso di un invito a comparire: la divisione Antitrust della Federal Trade Commission le aveva fatto causa per appurare se fosse vero o no che le sue dimensioni e le sue pratiche fossero lesive della libera concorrenza. Agli inizi degli anni ottanta la torta dell'information technology si era fatta sempre più grande, mentre la fetta di IBM aveva continuato, anacronisticamente, a restringersi, arrivando a quota 40 per cento del tutto. La vicenda giudiziaria, dopo tredici anni, si sarebbe conclusa con un nulla di fatto, ma la transizione dai mainframe ai microcomputer fu grossolanamente mal dimensionata. Come un dinosauro sull'uscio di una nuova era geologica, la compagnia si era illusa di poter far affidamento sulla sua stazza possente per sopravvivere, ma era proprio tutto quel peso in eccesso che le impediva di mettersi in salvo, saltando sul treno in corsa verso la nuova era, quella dei personal computers.

Nel luglio dell'80, per smuovere violentemente le acque nell'immoto stagno aziendale, Bill Lowe, direttore del Boca Raton Lab, il pensatoio di punta IBM in Florida, si precipitò al quartier generale per recapitare personalmente .la sua bestemmia esplosiva. "Dal momento che non riusciamo a costruirne uno decente, dovremmo comprare un pc dall'Atari o da qualcun altro" sillabò nella stanza dei bottoni del decadente impero dell'informatica. Le mura non vennero giù per poco, ma la crepa più importante fu quella che, finalmente, si apri nell'ignavia del management. D'altronde la sparata non aveva un intento letterale ma tattico: inorridendo di fronte a una resa così plateale la dirigenza avrebbe dovuto pur fare una controproposta che fu, esattamente, quella cui Lowe anelava. Di ritorno in Florida, infatti, aveva nella valigia - oltre a una fama di eretico nuova di zecca - anche il lasciapassare per raggruppare intorno a sé i migliori tredici ingegneri dell'azienda al fine di presentare, dopo trenta giorni a partire da allora, la bozza per un prototipo. Con pieni poteri e una scadenza assassina il comandante Lowe poteva iniziare la sua battaglia di retroguardia.

Salvata la faccia sulla costruzione dell'hardware, una cosa era chiara: per recuperare almeno parzialmente il tempo perduto non era pensabile tentare di realizzare da soli anche il linguaggio di programmazione e il sistema operativo che avrebbero dovuto animare la macchina della riscossa. L'importante era che il corpo fosse IBM, l'anima poteva essere acquistata dal miglior offerente. E nella rosa dei possibili fornitori il nome di Microsoft saltò fuori da più parti.

[...]

"Credetti che il ragazzo che usciva dall'ufficio che mi era stato indicato come quello del principale fosse un inserviente," racconterà poi l'inviato, rievocando quel primo incontro alla fine di luglio del 1980, "e invece era Bill in persona." La delusione, come era già successo in passato e come sarebbe successo tante altre volte in futuro, durò poco. "Dopo quindici minuti che parlavi con lui non pensavi più a che età avesse o al suo aspetto. La sua era la mente più brillante con cui avessi mai avuto a che fare." La missione degli executive IBM era circoscritta: valutare l'affidabilità di questi sconosciuti di cui tutti dicevano un gran bene ma che non avevano mai giocato una partita così importante come quella che avrebbe potuto aprirsi di lì a poco. Immediatamente dopo le strette di mano e lo scambio di biglietti da visita di prammatica, gli elegantoni di Boca Raton porsero ai partecipanti a quella riunione un capitolato castigante con cui si impegnavano solennemente a non far parola con chicchessia del contenuto dei progetti che si sarebbero discussi. Il mistero e l'eccitazione avrebbero rosolato qualsiasi venticinquenne della terra, ma non Gates, che giocò le sue migliori mani di bluffatore attorno a quel tavolo. Alla fine della giornata i due mondi si congedarono con un arrivederci laconico: "Ci faremo sentire noi" strascicarono gli uomini in blu. Nonostante la posa, l'attesa fu brevissima. Sams aveva dato semaforo verde. La squadra di Lowe tornò al quartier generale poche settimane più tardi con un primo piano di lavoro. La direzione assentì. Il Project Chess - nome in codice per l'operazione - era cominciato: il pc della rimonta doveva essere pronto entro un anno da allora. L'unico finale di partita che non era stato preso in considerazione fu quello che poi si verificò. Lo scacco matto sarebbe stato dato alla regina IBM proprio dall'alacre pedone che aveva assoldato per aiutarla.

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Gates rispondeva a tono su tutto. Cominciò a dondolare più vistosamente, come accadeva nei momenti di concentrazione più intensi, quando fu affrontato il tema della natura giuridica dell'accordo e dell'ammontare del compenso. Innanzitutto voleva restare padrone della sua invenzione, la proprietà non era in vendita, ma soltanto la licenza di utilizzo. Il dislivello di potere contrattuale faceva sì che se IBM si fosse intestardita e avesse subordinato la conclusione dell'affare a questo singolo punto, il giovanotto avrebbe forse capitolato, ma Big Blue - con una decisione di cui non si sarebbe mai pentita abbastanza - non lo fece. Un'ingenuità che aveva qualche alibi. Intanto c'era l'annosa causa in corso dal 1969 con l'Antitrust che la accusava di posizione dominante sul mercato dell'informatica, ai fini della quale un'ulteriore acquisizione nel settore dei sistemi operativi sarebbe stata vista come fumo negli occhi. In più la compagnia di Armonk era reduce da recenti e defatiganti maratone giudiziarie con alcuni fornitori per accertare a chi spettasse la paternità di certi prodotti sviluppati per suo conto. Per evitare che grane del genere si riproponessero e per far sì che i giudici stessero più alla larga possibile dal suo operato, IBM era pronta a rinunciare di buon grado alla proprietà del nuovo software. A questo punto l'ideale per Microsoft sarebbe stato aggiudicarsi anche un pagamento in royalty: in questo modo avrebbe partecipato pro-quota al guadagno per ogni copia di Dos venduta dentro a un pc. Ma, nonostante alcune ricostruzioni sostengano il contrario, il negoziatore Sams mise sul tavolo l'offerta di un pagamento forfettario, che non prevedeva alcuna percentuale sulle vendite e si aggirava intorno ai duecentomila dollari e che, seppure dopo non pochi confabulamenti, l'interlocutore non poté che accogliere. La vera fortuna economica di Microsoft fu poi effettivamente sancita dalle royalty (variabili da venti a cinquanta dollari per esemplare), ma da quelle che impose agli innumerevoli produttori di IBM compatibili, i cosiddetti "cloni" che avrebbero invaso il mercato di lì a poco. "Con l'incoraggiamento di Gates infatti," come riporta il libro Silicon Valley di Paul Freiberger e Michael Swaine [Franco Muzio Editore, 1988], "IBM sfidò la sua tradizione di segretezza sulle specifiche di progettazione e trasformò il suo primo personal computer in un sistema aperto. [...] Avrebbe usato componenti standard e idee di progettazione fatte, in qualche garage, da ragazzini di cui avrebbe inco raggiato l'ulteriore contributo." (La scelta opposta di Apple, che è sempre stata l'unica a poter costruire le proprie macchine, è stata quella che le ha fatto perdere la guerra dei pc.)

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Meno di un mese più tardi, in una mattina fredda ma tersa d'inizio inverno, il patto fu firmato. Microsoft si impegnava a consegnare, per metà gennaio 1981, una prima versione funzionante del sistema operativo. Pochi giorni dopo, un convoglio guidato da Dave Bradley - che avrebbe poi sviluppato il fondamentalissimo Bios, Basic Input and Output of the Computer System - recapitò personalmente a Gates e Allen i cartoni che contenevano i due prototipi dell'Acorn, il nome in codice del nuovo elaboratore.

Una volta disimballati, assieme alle scatole di plastica beige farcite di circuiti, saltarono fuori anche dei dettagliatissimi capitolati che. spiegavano la procedura di sicurezza cui, da quel giorno, la squadra che lavorava al progetto avrebbe dovuto attenersi. Tutti i manuali e documenti relativi dovevano essere conservati in casseforti e archivi per i quali IBM spedì lucchetti speciali e tecnici appositi che sapessero montarli a dovere. Le pareti a vetri del locale riservato a quell'attività furono completamente schermate e rese impenetrabili agli sguardi degli altri dipendenti. Lo stanzone misurava poco più di tre metri per diciotto, era senza finestre né altri tipi di ventilazione e la temperatura, a causa del calore prodotto dal surriscaldamento dei calcolatori, arrivava d'estate a oltre 38 gradi. Ma le porte dovevano rimanere chiuse.

IBM verificava che le consegne di segretezza fossero rispettate alla lettera spedendo periodicamente propri emissari nella sede del partner. Questi si presentavano all'improvviso e passavano in rassegna tutto quanto riguardava il progetto Chess. Una volta, durante una perlustrazione agostana, gli ispettori trovarono la porta della stanzetta socchiusa: i boccheggianti programmatori l'avevano lasciata così per cambiare un po' d'aria, ma gli ispettori non si impietosirono e fecero rapporto.

[...]

La prima scadenza del 12 gennaio per la consegna a IBM di un sistema operativo funzionante fu mancata. Del prototipo consegnato a febbraio invece, Big Blue ebbe a ridire su alcuni aspetti tra cui la sintassi del prompt, i primi caratteri che appaiono sullo schermo del pc una volta avviato. Al posto del semplice "C:" gli ingegneri di IBM volevano aggiungere un segno di "maggiore" che, dopo lunghe contrattazioni, ebbe la meglio sulla versione originale, dando vita al "C:>" che avrebbe occhieggiato, negli anni successivi, dai computer di tutto il mondo. Ma, come il nome stesso candidamente annunciava (Quick and Dirty...), le cose da mettere a punto in quel programma erano tante e non c'era persona meglio in grado di farlo del suo legittimo papà. Il primo maggio di quell'anno, arresosi all'inevitabile, Tim Paterson entrò così nei nuovi uffici di Bellevue, ingrossando le file dell'azienda che diciotto anni dopo avrebbe raggiunto la più alta capitalizzazione di mercato del mondo e che allora festeggiava, con l'ultimo arrivato, il settantesimo dipendente o giù di lì. Alla fine di giugno il Dos era già molto più presentabile, sebbene ci fosse ancora del lavoro da fare e i tempi per la consegna stringessero come uno stivaletto malese.

L'Idea che IBM avrebbe potuto cancellare l'accordo se Microsoft non avesse saputo rispettare le scadenze ossessionava Gates. Una fuga di notizie da fonte imprecisata finì su un numero di giugno del settimanale specializzato "Infoworld": ''L'IBM sta per buttarsi sul mercato dei microcomputer". Nonostante tutte le misure di sicurezza preventive e le categoriche smentite che cercarono di tamponarlo, lo scoop era ormai pubblico e bisognava accelerare i tempi una volta di più per evitare che l'allarme desse tempo ai concorrenti di preparare contromosse.

Dal canto suo Gates voleva assumere il controllo giuridico assoluto del Dos di cui, per il momento, era soltanto licenziatario. La visita di Ed Currie, nella prima metà di luglio, funzionò da catalizzatore per quella decisione. L'uomo, vecchia conoscenza come braccio destro di Ed Roberts ai tempi del Mits, lavorava adesso per Lifeboat Associates, un grosso distributore di software. Un loro importante cliente aveva bisogno di un buon sistema operativo che girasse su architetture a 16-bit e lui si era dapprima rivolto alla Digital Research di Kildall per poi ripiegare sulla Seattle Computer Products, il cui 86-QDos godeva ormai di una discreta fama nella comunità degli addetti ai lavori. A Brock aveva offerto duecentocinquantamila dollari per i diritti esclusivi alla distribuzione del software di Paterson, una cifra assai ragguardevole per il mercato di allora. L'interlocutore prese tempo per riflettere e, dal momento che si trovava a Seattle, Currie andò a far visita anche a Gates. Con una dose di candore sorprendente - "Eravamo in affari anche con Microsoft e poi Bill era mio amico" gli raccontò il motivo della sua missione in città e la spia che si accese immediatamente nella mente dell'interlocutore aveva l'intermittenza inequivocabile di un "allarme rosso". Una volta che i due si furono congedati, Gates convocò Allen per immediate contromisure.

Da tempo infatti Paul corteggiava Brock per rafforzare la relazione d'affari che li legava, aspirando almeno allo status di licenziatario unico. E adesso il tempo del petting era finito, se non avessero concluso loro, qualcun altro l'avrebbe fatto. Al telefono quindi Allen sostanziò meglio l'offerta: "Cinquantamila dollari e il nostro impegno a fornirvi, su base preferenziale, i successivi update del sistema operativo e tutti gli altri programmi di cui potrete aver bisogno". L'evidenza dei numeri era nettamente a svantaggio della compagine di Bellevue, ma la promessa dei favoritismi sul versante software era un beneficio da considerare attentamente, tanto più che la dipartita di Paterson, cervello informatico di punta del gruppo, aveva lasciato l'azienda sprovvista di una capacità propria di innovazione. Dopo un delicato bilanciamento di interessi - molti soldi subito o un quinto di quel capitale più un vitalizio di programmi aggiornati - Brock decise per la seconda opzione.

Quando però il tagliacarte sulla sua incasinatissima scrivania fece venire alla luce la vera faccia di quell'accordo faustiano, sulle prime pensò a un errore: nella lettera messa in bella copia dai legali di Microsoft non si parlava di concessione in esclusiva dei diritti ma di vendita tout court degli stessi. Minimizzando la differenza, Allen rispose alla sorpresa dando la colpa agli avvocati: "Hanno detto che l'accordo funzionerà meglio così, per voi non cambierà granché". Ma l'altro non era affatto convinto. Si consultò allora con l'ex dipendente Paterson, ormai a libro-paga della controparte: "Mi sembra un'offerta equa", commentò conciliante questi nella ricostruzione che si può leggere in Bard Drive. In rinforzo, entrò in azione anche l'uomo delle emergenze. Steve Ballmer andò di persona a incontrare Brock, spiegandogli perché quello che stava per concludere fosse un buon affare e - senza arrossire che non sarebbe cambiato niente se la proprietà fosse stata degli uni o degli altri dal momento che alla Seattle Computer Products restava comunque la facoltà di uso illimitato del programma. Per quanto possa sembrare. incredibile, quindi, Brock se la bevve. Pochi giorni dopo fu lui a consegnare, a domicilio, la sua anima a Gates. Già quell'anno le vendite del Dos totalizzarono un fatturato di sedici milioni di dollari, ma non era ancora niente rispetto alle tonnellate di biglietti verdi (1 miliardo 843 milioni e 432 mila nel 1991) che avrebbe fatto raccogliere solo pochi anni dopo.

La prima volta di IBM

Nel salone delle feste del Waldorf Astoria di New York, l'hotel preferito dai capi di stato che fanno scalo nella Grande Mela, il 12 agosto 1981 IBM presentava al mondo il suo neonato. Nell'esaltazione tipica di queste occasioni la stampa si lanciò in speculazioni generose sul successo della macchina che avrebbe - come assicurava il "Wall Street Journal" - "conquistato la guida di quel nuovo settore di mercato entro due anni". Il modello base comprendeva un drive per floppy-disk e 16K di Ram e il cartellino appiccicato sopra marcava 1565 dollari. Con alcuni optional ben poco opzionali la cifra lievitava rapidamente a quasi seimila dollari, un capitale per un computer che voleva andare a ruba tra le masse. Tra i programmi in dotazione - nessuno dei quali sviluppato da Big Blue - si segnalavano il già noto foglio elettronico VisiCale e l'elaboratore di testi Easy Writer, scritto dal leggendario hacker "Captain Crunch" mentre in galera scontava la pena inflittagli per aver inventato il phone phreaking, un sistema per fare telefonate a sbafo.

Anche in occasione di quel vernissage, però, i festeggiamenti a Bellevue si limitarono a qualche Coca-Cola, succhi di frutta e tramezzini misti: è vero, con quella consegna i programmatori si erano tolti un grosso dente, ma la bocca doleva da molte altre parti. Il committente, da parte sua, non tentò neppure di contribuire a far detonare l'allegria nei locali dei partner. Anzi. La lettera che Microsoft ricevette una settimana dopo emanava il calore di un camposanto: "Caro fornitore, avete fatto un buon lavoro". Punto. Era meglio far capire da subito che quel rapporto aveva il carattere dell'occasionalità e sarebbe dovuto rimanere, con tutta probabilità, una one-night stand. Era meglio insomma che la pulzella di Seattle non si mettesse in testa strane idee.

L'euforia strozzata in gola nei dintorni del lancio al Waldorf Astoria trovò la sua via di uscita naturale tre mesi dopo, in un albergo assai meno pretenzioso. Circa un centinaio di persone che costituivano l'organico Microsoft erano state convocate per il lieto evento del secondo meeting annuale al Ramada Inn di Bellevue. In questi raduni casinisti la compagnia si contava, orgogliosa della forza-lavoro e del giro d'affari in geometrica ascesa, e i leader spiegavano alla truppa le strategie per gli anni a venire. Il tutto condito da musica, drink e dalla tipica informalità maison. Quel meeting però sarebbe passato alla storia per aver fatto brillare quella che fu poi definita la "bomba del fatturato di Simonyi". L'ungherese Charles Simonyi, artificiere della profezia di quell'anno, era il responsabile del settore applicazioni e dal palco scoperse, a beneficio della folla, un eloquente grafico che disegnava il probabile andamento di medio lungo periodo. Se la tendenza fosse stata rispettata, in quindici anni o giù di lì la stragrande maggioranza della popolazione dello stato di Washington avrebbe lavorato per loro. Per far sì che la gioiosa macchina da guerra non si inceppasse, il settore su cui scommettere, da quel momento in poi, sarebbe stato quello delle applicazioni. Il controllo sui linguaggi di programmazione era ormai acquisito. Il posizionamento sul mercato dei sistemi operativi era avvenuto nel migliore dei modi. Mancava solo il terzo sottoinsieme, quello dei programmi che sapessero svolgere funzioni specifiche. Nella lucida strategia di Gates solo questo fronte rimaneva scoperto e solo un'occupazione rapida e robusta avrebbe consentito di conquistarlo. "Investiremo massicciamente su questo campo, produrremo del software che funzioni sul maggior numero di piattaforme" arringò Simonyi davanti a un auditorio galvanizzato, nella cui testa già martellava lo slogan ripetitivo cui il principale li aveva abituati: "We set the standard! We set the standard!".