STATO SOCIALE
RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI
Nella discussione piu' generale sullo Stato Sociale si inse-
risce anche un dibattito sulle iniziative da intraprendere in
relazione ai cosiddetti ammortizzatori sociali, ovvero su que
gli interventi che la Repubblica, attraverso Leggi apposite,
mette in atto per affrontare situazioni critiche che si pro-
ducono all'interno del mondo del lavoro.
Tra questi ammortizzatori val la pena ricordare la Cassa In-
tegrazione Guadagni e la Mobilita' rispetto ai quali cerche-
ro' di dare un contributo alla discussione e di avnazare an-
che proposte di merito.
* C.I.G.S.
Le aziende possono richiedere la Cassa Integrazioni Guadagni
Straordinari a fronte di Riorganizzazioni e/o ristrutturazio-
ni interne che intendono attuare.
Gli addetti ai lavori ed i lavoratori che l'hanno subita san-
no che essa e' stata snaturata nel suo significato: da stru-
mento per affrontare congiunture particolari e' diventato una
"routine" e, ormai sempre piu' spesso, l'anticamera di una
procedura di Mobilita' (licenziamento).
Si tratta, insomma, di uno strumento che le aziende utilizza-
no per risolvere eccedenze "strutturali", ovvero esuberi di
personale che non si intende piu' rioccupare all'interno del-
l'azienda stessa.
La Legge prevede che la richiesta di accesso alla CIGS debba
esse accompagnata da una Piano Industriale (descrizione de-
gli interventi in termini di riorganizzazione e ristruttura-
zione) che la Commissione Tecnica del Ministero del Lavoro
deve valutare prima di decidere se accogliere o respingere la
richiesta medesima; prevede anche che le aziende, a loro ri-
schio, possano rendere immediatamente esecutiva la CIGS con
l'unico onere di anticipare il trattamento retributivo e pre-
vede, ovviamente, un tavolo negoziale triangolare (Sindacato,
Imprenditore, Ministero) per valutare la situazione e raggiun
gere un eventuale accordo.
Quel che qui mi interessa evidenziare non sono gli aspetti
negoziali, bensi' il fatto che, paradossalmente, nessuno con-
trolla piu' che il Piano Industriale (condizione "sine qua
non" per esaminare e concedere la CIGS) venga poi attuato da
chi lo presenta: viene cioe' concesso "sulla parola" un fi-
nanziamento dello Stato all'impresa.
A scopo del tutto didattico, mi piace ricordare che, in passa
to, venivano concessi finanziamenti a pioggia alle imprese in
conseguenza di una Legge detta di "riconversione industriale"
che, a sua volta, prevedeva la presentazione di un progetto
da nessuno verificato a posteriori nella sua attuazione.
Se di riforma degli ammortizzatori sociali bisogna parlare,
se e' tornata di moda la trasparenza, se si vuole passare da
una assistenza spesso inutile ad interventi economici mirati
allo sviluppo anche dell'occupazione: ebbene non e' piu' pos-
sibile tollerare una CIGS - o qualunque altro ammortizzatore
sociale - che non preveda verifica severe in relazione alla
attuazione di Piani o Progetti che sono giustamente la condi-
zione essenziale per la concessione del finanziamento
medesimo.
* MOBILITA'.
I lavoratori in mobilita' sono lavoratori licenziati dalle im
prese ed ai quali lo stato garantisce un sussidio economico
analogo a quello di disoccupazione (anche se piu' consisten-
te) e che, se assunti da altre aziende, producono alle medesi
me un vantaggio economico in termini di minori oneri sociali.
Anche in questo caso val la pena ricordare che raramente i la
voratori in mobilita' trovano altre soluzioni occupazionali,
che spesso questo istituto serve ad accompagnarli alla pensio
ne e che, in ogni caso, rimangono a carico della collettivi-
ta' per periodi abbastanza lunghi (fino a 3 anni per i lavora
tori con eta' anagrafica superiore ai 50 e, nel caso partico-
lare della mobilita' lunga, fino a 7 anni).
Quello che qui intendo mettere in discussione e' la validita'
dell'istituto per risolvere i problemi occupazionali.
Non intendo proporne l'abolizione, credo pero' che debbano es
sere attuati ulteriori interventi per favorire concretamente
la ricollocazione dei lavoratori posti in mobilita' o comun-
que licenziati.
In Italia sta facendosi faticosamente avanti una metodologia
di ricerca di una occupazione: l'outplacement.
Si tratta di un metodo che vorrei definire scientifico, che
nulla ha a che fare con gli uffici di collocamento o con le
agenzie del lavoro da tutti conosciute e che, spesso, ha otte
nuto risultati soddisfacenti per coloro che l'hanno utilizza-
ta.
Oggi chi imprende in tale attivita' e offre i suoi servigi
sul mercato, sono aziende private alle quali, peraltro, gia'
si sono rivolte, con risultati alterni, imprese anche di un
certo rilievo.
Poiche' l'outplacement costa (chi lo offre non fa certo della
beneficenza), la diffusione di tale opportunita' per chi ha
perso il lavoro e' ancora poco significativa.
Cio' che intendo suggerire, sempre all'interno del dibattito
sulla riforma degli ammortizzatori sociali, e' una attenzione
dello stato e delle aziende nei confronti di quella che insi-
sto a chiamare una opportunita'.
Ritengo che, invece di sprecare risorse economiche in inter-
venti rivelatisi esclusivamente a carattere assistenziale o
comunque incapaci di realizzare occupazione, meglio sarebbe
investire nell'outplacement, differenziando eventualmente il
contributo a seconda della conclusione, positiva o negativa,
della ricollocazione degli interessati in una impresa diversa
da quella di provenienza.
Spesso alcune professionalita' diventano inutili o obsolete
all'interno di una determinata azienda, mentre invece trova-
no offerta sul mercato del lavoro, magari da parte di aziende
che imprendono in nicchie particolari di mercato: questo e'
il caso piu' eclatante di rapida soluzione del problema se
viene utilizzato il metodo dell'outplacement.
In conclusione, se mi e' consentita una estremizzazione del
concetto che ho fin qui cercato di illustrare, io propongo di
investire per sviluppare l'occupazione e di utilizzare la mo-
bilita' nei soli casi disperati di evidente impossibilita' di
nuovo impiego per i lavoratori colpiti dai licenziamenti col-
lettivi.
Alfio Riboni