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CAPITOLO PRIMO

LE DEFINIZIONI ED IL PROBLEMA GIURIDICO DEL TELELAVORO

 

La definizione del telelavoro come fenomeno socio-economico

1. La definizione del telelavoro come fenomeno socio-economico. Il termine telelavoro fu utilizzato per la prima volta nel 1973 da Jack Nilles, per indicare la possibilità che, attraverso l'utilizzo degli strumenti di telecomunicazione, venissero ridotti gli spostamenti delle persone per ragioni di lavoro .

A partire da quella data, l'evoluzione della tecnologia informatica e lo sviluppo delle reti di telecomunicazione, nonché -soprattutto- il loro utilizzo integrato (la c.d. telematica), hanno reso sempre più attuale l'argomento, e, negli ultimi anni, economisti, sociologi del lavoro, giuristi, sindacalisti, organismi istituzionali a livello nazionale e sovranazionale, hanno elaborato e prodotto una grande quantità di studi e proposte aventi ad oggetto il telelavoro, considerato nei suoi molteplici aspetti: dall'impatto occupazionale a quello ambientale, dalle modifiche organizzative sull'impresa alle modifiche sui tempi di vita e di lavoro, dall'isolamento sociale del telelavoratore ai problemi di inquadramento e di tutela giuridici .

Come peraltro accade per ogni fenomeno socio-economico recente, il primo sforzo da compiere è allora quello di individuare una definizione di telelavoro, che sia, ad un tempo, sufficientemente selettiva (per evitare il rischio che tutti siano telelavoratori) e sufficientemente elastica (per impedire che qualche modalità del fenomeno, magari destinata ad avere sviluppo e diffusione in un prossimo futuro, non venga ricompresa nella classificazione).

La letteratura offre, ormai, una sequenza assai lunga di definizioni del telelavoro, inteso come fenomeno socio-economico.

Secondo l' Organizzazione Internazionale del Lavoro, il telelavoro è "una forma di lavoro effettuata in luogo distante dall'ufficio centrale o dal centro di produzione e che implichi una nuova tecnologia che permetta la separazione e faciliti la comunicazione" .

Secondo il Commissario della Comunità Europea, Martin Bangemann, il telelavoro è "qualsiasi attività lavorativa alternativa che faccia uso delle tecnologie della comunicazione, non richiedendo la presenza del lavoratore nell'ambiente tradizionale dell'ufficio" .

Secondo Gino Giugni, il telelavoro è "la prestazione di chi lavori con un videoterminale topograficamente al di fuori delle imprese cui la prestazione inerisce" .

Secondo la Fondazione Europea, "Telelavoro è ogni forma di lavoro svolta per conto di un imprenditore o un cliente da un lavoratore dipendente, un lavoratore autonomo o un lavoratore a domicilio che è effettuata regolarmente e per una quota consistente del tempo di lavoro da una o più località diverse dal posto di lavoro tradizionale utilizzando tecnologie informatiche e/o delle telecomunicazioni" .

Come si vede, l'elenco sopra riportato, lungi peraltro dall'essere esaustivo, evidenzia con sufficiente chiarezza, le difficoltà di definire il fenomeno del telelavoro, anche quando la finalità delle definizione sia solo quella di fornire una descrizione sintetica del fenomeno socio-economico. Le difficoltà sono destinate a crescere, allorquando si fuoriesca dall'ambito descrittivo del fenomeno per addentrarsi sul terreno delle definizioni normative, definizioni queste ultime che hanno il compito -non facile- di individuare gli elementi costitutivi della fattispecie in presenza della quale troverà applicazione una determinata disciplina normativa (di fonte legislativa o di fonte convenzionale). Non stupirà, pertanto, che, ad oggi, non via sia "ancora una definizione ufficiale di telelavoro (e che quest'ultimo) rimanga un termine che può coprire una varietà di differente pratiche lavorative" .

Ciò nondimeno, ritengo possibile ricavare dalle definizioni disponibili -che, a loro volta, sintetizzano un lavoro ultradecennale di ricognizione della realtà telelavorativa esistente- gli elementi costitutivi essenziali del fenomeno socio-economico (che va sotto il nome di) telelavoro.

E' quindi possibile tentare di individuare gli elementi-base, il minimo comun denominatore, in presenza dei quali sia possibile affermare, senza timore di particolari smentite, che ci si trovi in presenza di una situazione di telelavoro.

E' bene ribadire, peraltro, che, in prima approssimazione, la definizione che verrà fornita di telelavoro si limiterà ad esaminare la tipologia sociologica del fenomeno, ed eviterà, nella misura possibile, il ricorso a termini e nozioni giuridiche che rischierebbero di delimitare eccessivamente l'area di indagine ovvero di introdurre elementi di qualificazione giuridica della fattispecie.

Gli elementi di definizione normativa del telelavoro acquisiranno viceversa centralità nella successiva fase dell'analisi, allorché si tenterà di inquadrare il fenomeno del telelavoro, all'interno delle categorie giuridiche di qualificazione del rapporto di lavoro (subordinazione ed autonomia, in primo luogo).

Sotto questo profilo, non si terrà conto -quantomeno in questo primo approccio del problema- della definizione della Fondazione Europea, in quanto frappone elementi di qualificazione giuridica (dipendenza; autonomia; a domicilio) ed elementi materiali caratterizzanti il fenomeno (lavoro; località diversa dal posto di lavoro tradizionale; utilizzo delle tecnologie informatiche e/o della telecomunicazione).

In altre parole, non vi è ragione alcuna per escludere dal novero delle situazioni di telelavoro, i casi in cui i rapporti giuridici siano riconducibili ad uno schema negoziale diverso dai contratti di lavoro.

La definizione socio-economica di telelavoro può, al contrario, ricomprendere nel fenomeno tipologie nelle quali la prestazione di attività telelavorativa sia fornita da soggetti imprenditoriali o da soggetti "associati".

E' bene dunque limitarsi, per il momento, ad enunciare quelli che sono gli elementi materiali minimi, presenti i quali si possa affermare la sussistenza di un situazione di telelavoro.

A mio parere, sulla base delle definizioni sopra riportate, gli elementi necessari e sufficienti per la definizione del telelavoro sono due:

1) un elemento topografico, costituito dal fatto che l'attività telelavorativa è svolta al di fuori dei locali di pertinenza del soggetto creditore della prestazione ;

2) un elemento tecnologico, costituito dal fatto che il collegamento tra i due soggetti del rapporto di telelavoro è reso possibile e realizzato attraverso l'utilizzo di una tecnologia telematica.

Questi due elementi devono essere necessariamente compresenti. E' stato rilevato in dottrina che "il prefisso "tele" può stare ad indicare due cose distinte, e cioè sia la semplice distanza fisica che la sussistenza di una strumentazione di tipo (video) elettronico. Perciò, telelavoro, in sé, significa anch'esso due cose: a) lavoro a distanza, svolto cioè al di fuori dell'azienda e in collegamento con essa. In questo senso, non è certo una novità, anzi ..... è la cosa più vecchia di tutto il diritto del lavoro, preesistendo rispetto ad esso (meglio, rispetto alla sua fase "industriale"); b) lavoro prestato con uno strumento di carattere telematico. In questo senso esso può svolgersi indifferentemente sia all'interno che all'esterno dell'azienda".

E, in vero, neppure in questa seconda accezione ci troveremmo di fronte ad una novità, posto che l'introduzione delle tecnologie informatiche nelle imprese è fatto ormai più non recentissimo e comunque il ricorso ad un supporto informatico/telematico per collegare differenti postazioni di lavoro all'interno di una medesima unità produttiva ovvero per collegare differenti unità produttive, non appare in grado, di per sé, di modificare la qualificazione del rapporto rispetto alle ipotesi in cui il collegamento fosse effettuato attraverso il ricorso ad altre tecnologie (dalla posta tradizionale alla posta pneumatica, alla comunicazione verbale "diretta" o "telefonica" o altro) .

Sulla base di tali considerazioni, autorevole dottrina ha fornito la propria definizione del fenomeno (c.d telelavoro esterno), basata anch'essa su di uno schema binario: "può chiamarsi telelavoro la prestazione di chi lavori, con uno strumento telematico, topograficamente al di fuori dell'impresa su incarico e/o nell'interesse della quale la prestazione è svolta" .

Vale la pena spendere qualche parola di commento su questa definizione, a partire dall'attributo "telematico" che qualifica lo strumento di lavoro.

Il termine telematica -come noto- identifica quella tecnologia che associa la possibilità di interrelazione offerta dalle reti di telecomunicazione con la possibilità di raccolta, movimento, elaborazione e trasformazione dei dati offerta dall'informatica. L'utilizzo dello strumento telematico consente dunque che il telelavoratore sia, non solo in grado di collegarsi con la sede del creditore della prestazione per comunicare (la qual cosa potrebbe essergli consentita anche dall'utilizzo di un telefono "tradizionale"), ma anche inserito nel flusso dei dati aziendali (nel senso di essere in grado, in tempo reale, di accedere ai dati aziendali residenti sugli archivi elettronici, eventualmente di aggiornarli, di estrarne alcuni da archiviare sulla propria stazione di telelavoro, e così via).

Sotto questo profilo, l'elemento costituito dall'utilizzo della telematica, è elemento necessario della definizione del fenomeno telelavoro, in quanto consente di discriminare il telelavoratore da figure "tradizionali" di lavoratori a distanza (dal lavoratore a domicilio, al trasfertista o al lavoratore inviato in trasferta, all'addetto alle vendite, ecc.). Ciò che rileva, in definitiva, è l'attitudine del telelavoratore, non soltanto alla ricezione e trasmissione dei dati, ma anche al trattamento e all'elaborazione degli stessi .

Nel contempo, si può osservare che l'utilizzo dello strumento telematico è anche elemento sufficiente. La definizione stessa di telematica incorpora in sé l'attitudine dello strumento a facilitare la comunicazione, permettendo la separazione dei soggetti comunicanti. Cosicché, appare eccessivamente sovrabbondante (o forse semplicemente più imprecisa e meno tecnica) la stessa definizione dell' OIL sopra riportata .

Lo stesso Gaeta si interroga poi se la definizione di telelavoro necessiti di ulteriori qualificazioni, quale, ad esempio, l'utilizzo sistematico dello strumento telematico, il che porterebbe ad escludere le ipotesi in cui quest'ultimo sia utilizzato in misura quantitativamente poco significativa. La risposta data al quesito è positiva. L'autore, infatti, sulla base dell'esperienze straniere e di previsioni contrattuali che disciplinano il lavoro "elettronico" interno, è portato ad affermare che sussiste una sorta di nozione quantitativa di telelavoro, secondo cui "la fattispecie (telelavoro) potrebbe correttamente essere identificata ..... quando più della metà dell'orario di lavoro sia svolto davanti al videoterminale".

Questa nozione quantitativa del telelavoro troverebbe, peraltro, un'indiretta conferma normativa nel D. Lgs. 626/94 sulla tutela della salute dei lavoratori, laddove si afferma che la disciplina si applica al lavoratore che, all'interno dell'impresa, utilizzi il videoterminale in modo sistematico ed abituale, per almeno quattro ore consecutive giornaliere, dedotte le pause, per tutta la settimana lavorativa (così l'art. 51 del citato decreto legislativo).

Orbene, al di là della questione se tale norma abbia resistito alla recente sentenza interpretativa della Corte di Giustizia delle Comunità Europee , l'introduzione di questo ulteriore parametro quantitativo non mi pare convincente, per le stesse ragioni metodologiche già espresse.

Può, infatti, essere ragionevole, nell'ambito di una definizione normativa della fattispecie, reputare che la relativa disciplina si applichi soltanto in presenza di determinate connotazioni anche quantitative della prestazione di telelavoro (anche se utilizzare il parametro proposto rischierebbe di restringere il campo di applicazione prevalentemente alle mansioni più dequalificate: ad esempio, il mero data entry).

Tuttavia, ai nostri fini, non pare opportuno introdurre tale parametro quantitativo a questo stadio della trattazione, allorquando si compie il tentativo di definizione del fenomeno socio-economico del telelavoro, per i cui scopi la descrizione qualitativa degli elementi costitutivi essenziali è più che sufficiente.

Anzi introdurre, in questa fase, parametri quantitativi rischierebbe di escludere a priori dal campo di indagine alcune delle tipologie più significative, come, ad esempio, il c.d. telelavoratore mobile.

Allo stato, dunque, l'elemento tecnologico, in unione a quello topografico, è elemento costitutivo, non solo necessario, ma anche sufficiente della definizione socio-economica del telelavoro .

Qualche considerazione, in conclusione di questo paragrafo, merita infine l' "elemento topografico".

Gli autori citati considerano il telelavoro come la prestazione di chi lavori al di fuori della/e impresa/e (Gaeta, Giugni) ovvero in luogo distante dall'ufficio centrale o dal centro di produzione (OIL).

I primi due autori considerano dunque, quale parametro della distanza topografica, la nozione di impresa, mentre l' OIL ricorre ad una perifrasi, che potrebbe essere comunque ricondotta alle nozioni, proprie del nostro ordinamento, di azienda o di unità produttiva.

Come noto, la nozione di impresa può essere ricavata dall'art. 2082 cod. civ., che definisce imprenditore "chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi".

La nozione di azienda è contenuta invece nell'art. 2555 cod. civ., che la definisce come "il complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa ", mentre la nozione di unità produttiva può essere ricavata da varie norme dello Statuto dei Lavoratori (in primis, art. 35, 1° comma), che la identificano come ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo.

Il concetto di impresa, individuando quindi un'attività economica, assume una connotazione immateriale, mentre i concetti di azienda e di unità produttiva, individuando dei beni mobili ed immobili, assumono una connotazione fisica, materiale. In argomento di telelavoro, mi pare più convincente ricorrere alle nozioni di azienda o di unità produttiva (o persino ad espressioni atecniche, quale locali).

Ciò per due ragioni: da un lato, appare intuitivamente assai più agevole "misurare" la distanza del telelavoratore da un luogo fisico, di quanto sia farlo da un' attività economica. Dall'altro, occorre considerare che il telelavoratore, rispetto all'impresa, non si trova per niente "distanziato", al contrario, proprio in virtù del collegamento telematico che caratterizza la prestazione di telelavoro, egli si trova "inserito" nel flusso di dati inerenti l'esercizio dell'attività economica di impresa, e quindi la sua prestazione in effetti deve considerarsi svolta nell'impresa.

Le sotto-categorie del telelavoro

2. Le sotto-categorie del telelavoro. Il precedente paragrafo ha cercato di fornire una definizione unitaria del fenomeno del telelavoro, tentando di individuare gli elementi costituivi essenziali, il minimo comun denominatore di una nozione di telelavoro.

La definizione adottata non aveva certo -come affermato ripetutamente- la pretesa di costruire una nozione giuridica del telelavoro, ma intendeva "estrarre" dalla realtà del fenomeno gli indici più significativi per identificare l'oggetto della trattazione. Tuttavia, il telelavoro, nella realtà, non è per niente riconducibile ad una tipologia unitaria.

Il telelavoro, se viene esaminato sotto l'angolo visuale del sociologo o dell'economista del lavoro, presenta molteplici sfaccettature. Accade insomma, per il telelavoro, quello che è già stato riscontrato per la più comprensiva categoria del "lavoro a distanza", di cui il lavoro a distanza "elettronico" o "informatico" (o telelavoro) è, a sua volta, una delle varianti .

Prima di proseguire, può quindi essere utili esaminare le principali tipologie di telelavoro, descritte e classificate dalla letteratura in argomento, per verificare il grado di adeguatezza della definizione unitaria.

L'analisi può essere condotta sotto vari profili. Innanzitutto, sotto il profilo dei soggetti che prestano il telelavoro, che possono essere, sia un singolo, sia un gruppo familiare, sia un gruppo di persone associate tra di loro in svariate forme.

Un secondo profilo è dato dalle modalità organizzative, che consente di individuare le seguenti tipologie:

a) il telelavoro svolto (da un singolo o da una comunità familiare) utilizzando una postazione di lavoro ubicata presso il proprio domicilio (nel senso comune, questo è la forma forse più "classica" di telelavoro);

b) il centro di telelavoro o l'agenzia di servizi, nel quale più soggetti, variamente associati tra di loro, offrono servizi informatici al "mercato" ovvero a una o più imprese committenti determinate;

c) il centro satellite, nel quale un'impresa colloca una certa fase della sua attività in un luogo distinto dalla sede principale;

d) il c.d. sistema distribuito, nel quale diverse unità di piccole dimensioni disseminate sul territorio svolgono fasi diverse del ciclo produttivo, comunicando telematicamente tra di loro;

e) il telelavoro mobile, svolto da un singolo senza una collocazione fissa in un locale determinato, utilizzando un computer portatile per collegarsi con la sede aziendale (si tratta del c.d. telelavoratore nomade o, più suggestivamente, dell' "argonauta").

Ma vi possono essere ulteriori modalità organizzative: ad esempio, nei Paesi Scandinavi ed in Gran Bretagna, ha una certa diffusione, il c.d. "telecottage", vale a dire un centro attrezzato con computer e collegamenti telematici, nel quale operano telelavoratori per conto di una o più aziende determinate ovvero per conto di soggetti terzi e che si trova collocato in aree periferiche e comunque marginali sotto il profilo economico-occupazionale. Il "telecottage", a differenza del centro di telelavoro, non presuppone necessariamente, la sussistenza di un legame associativo fra i vari telelavoratori che vi prestano la loro attività.

Uno studio del 1995 della Direzione generale del lavoro, delle relazioni industriali, degli affari sociali, della Comunità Europea, distingue invece ben 7 forme di telelavoro, ottenute attraverso una combinazione di vari elementi (ivi compreso il tempo della prestazione e la dipendenza o meno da un unico committente della prestazione) :

1) telelavoro a domicilio a tempo pieno per un unico datore di lavoro;

2) lavoro a domicilio part-time;

3) telelavoro free lance a domicilio;

4) telelavoro mobile;

5) telelavoro delocalizzato (in un centro satellite di pertinenza del datore di lavoro);

6) centro di telelavoro (telecottage);

7) reti telematiche tra imprese.

Come si vede, entrambi questi schemi classificatorii non consentono di affermare con univocità che le tipologie in essi inseriti rientrino tutte nella definizione unitaria di cui al paragrafo precedente. Si consideri, al proposito, il caso del "centro satellite", che potrebbe persino non costituire un'ipotesi di telelavoro nell'accezione qui seguita. In effetti, il "centro satellite" potrebbe venire a costituire una vera e propria unità produttiva dell'impresa, cosicché ci troveremmo di fronte ad una fattispecie di telelavoro interno. Nel concreto, l'indagine dovrà verificare la sussistenza di una effettiva autonomia del "centro satellite", nel qual caso dovremmo escludere la fattispecie dalle ipotesi di telelavoro in senso stretto (telelavoro esterno) .

Per quanto riguarda l'esperienza italiana, si può osservare che un altro dei sotto-tipi classificati (il telecottage) non sembra essere gran che presente .

Le sotto-categorie di maggior interesse sono invece quella del telelavoro a domicilio (dove per domicilio si deve intendere uno spazio fisico di pertinenza del prestatore, e quindi la sotto-categoria coincide con il primo sotto-tipo di Gaeta e con i primi tre sotto-tipi della classificazione comunitaria) ed il c.d. telelavoro mobile (argonautico).

Tale interesse deriva, sia dal fatto che sembrano essere quelle a maggior diffusione nell'esperienza italiana, quantomeno nei termini in cui essa viene "divulgata" , sia soprattutto in ragione del fatto che queste due tipologie sembrano presentare, in maniera paradigmatica, quello che costituisce il problema giuridico del telelavoro, nei termini in cui sarà esplicitato nel paragrafo conclusivo di questo primo capitolo.

Ulteriori profili di classificazione delle varie tipologie di telelavoro possono poi essere ottenuti attraverso l'analisi di altri parametri.

Con riferimento al momento quantitativo della prestazione ovvero alla distribuzione topografica della stessa , il telelavoratore potrà renderla esclusivamente al di fuori dell'azienda oppure potrà lavorare in parte al di fuori ed in parte all'interno dell'azienda, realizzando così una sorta di "telependolarismo". Il che evidenzia, tra l'altro, che l'originaria definizione di Nilles pare essere dal tutto superata dall'evoluzione reale del fenomeno.

Peraltro, la classificazione potrebbe essere ulteriormente approfondita (e forse spinta sul terreno del paradosso), distinguendo il caso del "telependolare in movimento" da quello del "telependolare a domicilio" .

Nel caso di prestazione svolta esclusivamente all'esterno, si dovrà poi considerare l'ipotesi in cui la postazione di telelavoro sia addirittura collocata in uno stato diverso da quello in cui si colloca l'azienda-madre, fenomeno che viene definito "telelavoro off-shore".

Con riferimento al momento qualitativo della prestazione, si possono introdurre ulteriori distinzioni. Tale criterio individua le modalità del collegamento tra chi effettua la teleprestazione e la struttura nel cui interesse essa viene resa. Sotto questo profilo, emergono due ipotesi:

a) il computer utilizzato dal telelavoratore non è collegato in tempo reale con l'elaboratore "centrale" (quello situato nell'unità produttiva dell' impresa interessata alla prestazione) e quindi il telelavoratore riceve il "materiale di lavoro" (i dati da elaborare) e trasmette il "prodotto finito" (i dati elaborati) o utilizzando un supporto magnetico (un dischetto) ovvero attraverso un collegamento elettronico che viene mantenuto aperto solo per il tempo necessario alla trasmissione dei dati (vale a dire ad inizio e a fine della sessione di lavoro).

Questa modalità potrebbe sembrare, a prima vista, una modalità recessiva, legata ad un contesto tecnologico ormai superato.

In realtà, si tratta forse della modalità più diffusa perlomeno nella seconda variante (collegamento elettronico per la trasmissione dei dati a inizio-fine lavoro). Da un lato, ciò consente considerevoli risparmi sul costo del collegamento, mentre, dall'altro, il ricorso a questa modalità di collegamento off line viene reso possibile proprio dallo straordinario incremento della potenza di elaborazione e di memoria dei personal (anche portatili) di nuova generazione, che consentono di immagazzinare ed elaborare "banche dati" che, fino a pochi anni fa, richiedevano la potenza di interi centri di calcolo;

b) il computer utilizzato dal telelavoratore è inserito in una rete di comunicazione elettronica che permette un dialogo interattivo in tempo reale tra il computer-madre ed i vari computer-terminali (c.d. collegamento on line).

Valgono, al contrario, le considerazioni appena svolte per il collegamento off-line: il collegamento on line potrebbe essere (contrariamente a quanto ritenuto fino a poco tempo fa) una modalità recessiva. Va da sé che i moderni computer (anche portatili) supportano agevolmente il collegamento in tempo reale tra i vari utenti del sistema, tuttavia l'effettivo utilizzo dello strumento potrebbe essere quello di una modalità "mista", alternando sessioni di trasmissione massiva di dati a sessioni di lavoro effettuate off-line.

Il collegamento on line viene anche comunemente associato con una delle più significative problematiche del telelavoro (ed, in generale, del lavoro informatico), vale a dire la possibilità di direttive e controlli in tempo reale che si rivelano molto più sofisticati, occulti e penetranti di quelli tipici del lavoro "tradizionale" .

Vale la pena osservare che quanto detto circa un possibile prevalere, a fronte delle innovazioni tecnologiche, di modalità di collegamento off line, salvo le sessioni di trasmissione di dati, non può consentire di affermare che tale problema del controllo a distanza venga meno. La questione riguarda la quantità e la qualità dei dati che vengono trasmessi tra elaboratore centrale ed elaboratori periferici (che potrebbero pacificamente ricomprendere dati idonei ad effettuare assai penetranti controlli della teleprestazione) e le finalità e le modalità di elaborazione degli stessi. Sotto questo profilo, dunque, il collegamento off line non muta i termini del problema rispetto al collegamento on line.

In verità, il telelavoro off line non solo non risolve il problema dei "controlli occulti", ma ne accentua un altro, tipico del telelavoro: quello dell'isolamento e della separatezza del telelavoratore dai colleghi. Se, infatti, non vi è collegamento on line con l'elaboratore centrale (oppure il collegamento è attivo solo per breve tempo e per finalità di trasmissione massiva di dati), non vi è neppure collegamento con gli altri utenti del sistema (che potrebbero essere sia i colleghi -telelavoratori e non-, sia figure qualificate di utenti -rappresentanti sindacali, ecc.).

Questa problematica viene affrontata in alcune delle proposte di legge, nonché in alcuni accordi sindacali, quantomeno sotto l'aspetto della comunicazione tra telelavoratori e rappresentanze sindacali .

Primi esempi di definizione normativa

3. Primi esempi di definizione normativa. Come già anticipato, Lorenzo Gaeta osserva che, a fronte della frammentazione del fenomeno socio-economico, la nozione di lavoro a distanza, sotto il profilo tecnico-giuridico, appare unitaria .

Analoga considerazione potrebbe essere svolta, in parallelo, per il telelavoro, che costituisce la "variante tecnologica" del lavoro a distanza e che appare anch'esso contraddistinto sì da una molteplicità di tipologie, ma tuttavia tutte riconducibili al modello strutturale binario testé analizzato: quello del lavoro svolto topograficamente al di fuori dell'azienda (e quindi a distanza), con l'utilizzo di uno strumento telematico che ne favorisce l'inserimento nel flusso dei dati dell'impresa.

Per quanto riguarda il telelavoro -a differenza di quanto accade per altre forme di lavoro a distanza, come il lavoro a domicilio "tradizionale"-, le nozioni di telelavoro enunciate dalla dottrina non sono ancora state affiancate (e superate) da una nozione di fonte legislativa .

Ciò nondimeno, vi sono alcuni primi esempi di definizione di telelavoro contenuti, oltre che nelle proposte di legge recentemente elaborate in materia, in altre fonti normative: in particolare negli accordi collettivi che, negli ultimi mesi, hanno iniziato a regolare il rapporto di telelavoro in alcuni settori produttivi .

Forniremo dunque di seguito una rassegna di alcune definizioni normative, tratte dalle proposte di legge e nei primi contratti collettivi di settore, così da verificarne la corrispondenza con la definizione tipologica sopra enunciata.

La rilevanza della definizione contenuta in una fonte normativa è di particolare evidenza, in ragione del fatto che in tal caso non ci si trova di fronte ad una operazione classificatoria astratta, ma ad una operazione normativa concreta, posto che dalla definizione della fattispecie consegue poi l'ambito di applicazione della disciplina.

La definizione dunque del legislatore ovvero dell'autonomia collettiva, non si limita a registrare il fenomeno, ma contribuisce a costruirlo, tracciando i confini della fattispecie, escludendo alcune delle tipologie ed includendone altre.

 

1. Le proposte di legge in materia

3.1. Le proposte di legge in materia. Le proposte di legge in materia di telelavoro, presentate alla Camera dei Deputati nella legislatura in corso, sono allo stato due: la N. 2470, recante il titolo "Norme per lo sviluppo del telelavoro", e la N. 4090, recante il titolo di "Norme per la tutela del telelavoratore" .

La proposta di legge C-2470

A. La proposta di legge C-2470. La proposta N. 2470 definisce il telelavoro al punto a), primo comma dell'art. 1, laddove afferma che, ai fini della legge in oggetto, si intende per "telelavoro ogni forma di lavoro svolta per conto di un imprenditore o di un cliente da un lavoratore dipendente, da un lavoratore autonomo o da un lavoratore a domicilio che sia effettuata regolarmente e per una quota consistente del tempo di lavoro in una o più località diverse dal posto di lavoro tradizionale, utilizzando tecnologie informatiche o delle telecomunicazioni ".

La nozione fornita dalla proposta n. 2470 risente delle finalità dichiarate della proposta stessa, quali si evincono dalla sua stessa titolazione e dalla relazione di presentazione.

La proposta in questione infatti intende introdurre nel nostro ordinamento una "normativa di incentivazione al telelavoro da parte dello Stato italiano ".

Coerente con detta finalità, appare dunque la definizione fornita dalla legge, che tende, senza troppo preoccuparsi di individuare con rigore la fattispecie, a consegnarci una "nozione ampia" del fenomeno telelavoro, individuato genericamente come "forma di lavoro svolta con modalità innovative e con tecnologia info-telematica".

Sotto questo profilo, non viene in rilievo nella proposta n. 2470 la "distanza topografica dall'azienda", quanto invece la "diversità dal posto di lavoro tradizionale", mentre, sempre con la finalità di ampliare in massimo grado l'ambito di applicazione della normativa di incentivazione, la proposta afferma di ricomprendere nella nozione di "telelavoro", tutti i rapporti di telelavoro, indipendentemente dalla natura subordinata o autonoma del rapporto che lega il debitore della prestazione con il creditore.

Si affiancano alle due categorie civilistiche di lavoratore, la categoria, introdotta dalla normativa speciale, del lavoratore a domicilio, a riprova del fatto che l'intento di delineare, con sufficiente rigore, la categoria del "telelavoratore" non era proprio degli estensori della proposta.

Gli estensori della proposta non considerano, dunque, che la categoria del lavoratore a domicilio, nell'ipotesi meno rigorosa, si pone in rapporto di specie a genere con la categoria di lavoratore "dipendente" (rectius subordinato), ovvero, nell'ipotesi più rigorosa, la categoria del lavoratore a domicilio si sovrappone perfettamente a quella di lavoratore subordinato, distinguendosi soltanto per l'elemento descrittivo della modalità topograficamente "esterna" della prestazione.

L'indeterminatezza della definizione di "telelavoratore" si riproduce specularmente anche quando la proposta prende in considerazione i soggetti nel cui interesse la prestazione viene resa, che possono essere indifferentemente "un imprenditore" o "un cliente", con il che parrebbero esclusi soltanto i "telelavoratori" (o, per meglio dire, i "teledonatori") che effettuino la prestazione a titolo gratuito o comunque in assenza di un corrispettivo.

L'unico elemento selettivo è allora quello affidato al criterio quantitativo, nel senso che rientrano nell'ambito della definizione soltanto le situazioni in cui la prestazione di telelavoro venga effettuata regolarmente e per una quota consistente del tempo di lavoro in località diverse dal posto di lavoro tradizionale.

La proposta di legge C-4090

B. La proposta di legge C-4090. La proposta n. 4090 -come detto- si propone invece di introdurre una normativa di tutela del telelavoratore ed è dunque particolarmente attenta nel fornire la definizione della fattispecie.

In particolare, il titolo II, art. 7 contiene la seguente definizione funzionale di telelavoratore:

" Si definisce telelavoratore il lavoratore che effettua la propria prestazione, con l'ausilio di strumenti telematici, prevalentemente al di fuori dei locali del datore di lavoro o del committente cui la prestazione stessa inerisce.

Rientra nella definizione del comma precedente, il telelavoratore che svolga la propria prestazione in locali di pertinenza, esclusiva o parziale, del datore di lavoro o del committente, quando tali locali siano esclusivamente destinati a tale scopo o comunque quando non costituiscano unità produttiva autonoma sotto il profilo del potere di direzione, di indirizzo o di controllo ".

La definizione contenuta nel primo comma individua il telelavoratore attraverso la compresenza dei due elementi, quello topografico e quello tecnologico, aggiungendo peraltro che la dislocazione topografica al di fuori dei locali del datore di lavoro o del committente deve avere carattere di prevalenza. La definizione non si preoccupa di introdurre distinzioni basate sulla qualificazione del rapporto giuridico intercorrente tra creditore e debitore della teleprestazione. L'intento della proposta è infatti quello di individuare, in primo luogo, una serie di diritti fondamentali che trovino applicazione, come statuito nel successivo articolo 8, sia ai lavoratori subordinati, sia ai lavoratori autonomi con contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Peraltro, la stessa esclusione dei telelavoratori autonomi stricto sensu o dei teleimprenditori dall'ambito di applicazione della normativa di tutela, non viene posta al momento della definizione della fattispecie, che, in linea con le elaborazioni dottrinali più rigorose, tende così a ricomprendere nella nozione di telelavoratore anche figure che non rientrino né nella subordinazione, né nella c.d. parasubordinazione .

La definizione in oggetto, inoltre, pare adeguata a ricomprendere tutte le varie tipologie di cui ai paragrafi precedenti.

Come già anticipato, le finalità di tutela del telelavoratore spiega invece la ratio del secondo comma, quella cioè di introdurre una clausola anti-elusiva. Tale clausola include nella definizione di telelavoro (e quindi nel campo di applicazione della normativa di tutela) alcune delle tipologie comunemente classificate dalla letteratura sociologica sull'argomento, ed, in particolare quella definita come "centro satellite", il tutto purché il "centro satellite" non assurga al rango di unità produttiva autonoma, nel caso in cui sia dotato di autonomia sotto il profilo del potere di direzione, di indirizzo e di controllo dell'attività lavorativa ivi prestata.

 

2. Le definizioni di fonte convenzionale

3.2. Le definizioni di fonte convenzionale. I primi contratti "settoriali" sul telelavoro si preoccupano anch'essi, a differenza di quelli aziendali, di introdurre delle definizioni normative.

. Il contratto delle Telecomunicazioni del 9 settembre 1996;

A. Il contratto delle telecomunicazioni del settembre 1996. Il contratto in oggetto è stato concluso il settembre 1996 tra INTERSIND, in rappresentanza di STET, TELECOM ITALIA, TELECOM ITALIA MOBILE e NUOVA TELESPAZIO, e le organizzazioni di categoria aderenti a CGIL, CISL ed UIL .

E' stato presentato come il primo accordo nazionale contenente un apposito capitolo dedicato al telelavoro. In effetti, più che un accordo settoriale costituisce più propriamente, in considerazione del suo ambito di applicazione, un accordo di gruppo, trovando appunto applicazione nell'ambito delle imprese di telecomunicazioni facenti capo all' IRI.

Quanto alla sua primogenitura, è stato preceduto, di qualche mese, dal contratto nazionale di lavoro delle aziende elettriche, concluso nel maggio 1996, contratto cui era allegato un "protocollo sulla introduzione sperimentale del telelavoro a domicilio", il quale rimandava, per l'avvio di sperimentazioni operative non superiori a 12 mesi, ad accordi aziendali, assicurando comunque il rispetto di tutta una serie di diritti individuali e collettivi .

Ciò detto, il contratto TLC contiene un primo tentativo di definizione del telelavoro da parte dell'autonomia collettiva, tentativo che merita, proprio per il suo carattere di novità, di essere registrato.

In effetti, più che di una definizione funzionale, ci si trova di fronte ad una descrizione delle tipologie del fenomeno da parte dei contraenti.

In particolare, le parti considerano tre tipologie di telelavoro:

a) domiciliare, per il quale sono comunque previsti periodici rientri in azienda del telelavoratore;

b) working out (assimilabile al c.d. telelavoro mobile), per il quale il contratto prevede la sperimentazione di schemi innovativi di distribuzione giornaliera dell'orario di lavoro, pur nel rispetto dell'orario massimo definito dal contratto;

c) telelavoro a distanza, in cui l'attività a lavorativa viene svolta presso centri operativi lontani dalla sede aziendale cui l'attività stessa inerisce funzionalmente e fa capo gerarchicamente .

. L' Accordo nazionale sul telelavoro subordinato del 20/6/97 per i dipendenti del Terziario, Distribuzione e Servizi;

B. L'Accordo nazionale sul telelavoro subordinato del 20/6/97 per i dipendenti del Terziario, Distribuzione e Servizi. Il recentissimo accordo nazionale, concluso il 20 giugno 1997 tra CONFCOMMERCIO e le organizzazioni di categoria, FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e UILTUCS-UIL, costituisce il primo accordo genuinamente settoriale raggiunto in Europa, avente quale specifico oggetto, la regolazione del rapporto di telelavoro .

L'ambito di applicazione, espressamente individuato dall'art. 2 (sfera di applicazione) è quello dei rapporti di lavoro regolati dal CCNL per i dipendenti da aziende del Terziario, della Distribuzione e dei Servizi .

Analizziamo il contenuto dell'art. 1, secondo e terzo comma, norma che contiene appunto la definizione di telelavoro.

La tecnica utilizzata dalle parti collettive è mista: alla definizione funzionale del secondo comma, si aggiunge infatti, al terzo comma, una serie di tipologie di telelavoro, con finalità meramente esemplificative.

Secondo l'accordo 20 giugno 1997:

" Il telelavoro rappresenta una variazione delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, le cui tradizionali dimensioni di spazio e tempo -in virtù dell'adozione di strumenti di lavoro informatici e/o telematici- risultano modificate.

A mero titolo esemplificativo, si elencano, inoltre, alcune possibili tipologie di telelavoro:

a) lavoro a domicilio;

b) centri di telelavoro;

c) telelavoro mobile;

d) hoteling, ovvero una postazione di telelavoro di riferimento in azienda per i lavoratori che, per le loro mansioni, svolgono la loro attività prevalentemente presso realtà esterne ".

Il secondo comma contiene una definizione funzionale del telelavoro, non soltanto esaustiva e coerente con la definizione tipologica sopra riportata, ma anche in grado di cogliere, con apprezzabile sintesi, la problematica che è sottesa al fenomeno del telelavoro, ossia la deformazione delle tradizionali modalità spaziali e temporali di esecuzione della prestazione. Il telelavoro, in questa definizione, viene dunque preso in considerazione come lavoro atipico, bisognoso di uno specifico intervento normativo, da svolgere in chiave di tutela della posizione soggettiva del telelavoratore.

Il successivo terzo comma dell'art. 1 riprende invece, a titolo meramente esemplificativo, le principali tipologie di telelavoro, limitandosi peraltro ad elencarne le "etichette", senza fornire ulteriori elementi descrittivi, a riprova del fatto che le tipologie del "telelavoro a domicilio", del "centro di telelavoro" e del "telelavoro mobile" sembrano ormai sufficientemente autoesplicative.

Nel contempo, le parti collettive aggiungono all'elenco una quarta tipologia (quella del c.d. hotelling) per la quale sola si rende necessario fornire gli elementi descrittivi (postazione di telelavoro in azienda; sua disponibilità per i lavoratori che, per le loro mansioni, prestano l'attività presso realtà esterna).

In effetti, non si comprende la ragione dell'introduzione di questa tipologia che, oltre a non essere conosciuta tra le pur numerose tipologie di telelavoro considerate dalla letteratura sull'argomento, non pare rientrare neppure nella definizione strutturale di telelavoro.

Infatti, in questa fattispecie, l'elemento tecnologico, invece che essere collocato all'esterno dell'azienda per consentire comunque il collegamento del telelavoratore con essa, risulta collocato in azienda.

Nel contempo, il lavoratore svolge la propria prestazione prevalentemente all'esterno, ma con modalità "tradizionali" (vale a dire non collegato telematicamente con l'azienda-madre). Tuttavia, questo stesso lavoratore accede, una volta all'interno dell'azienda, alla "postazione di telelavoro", assumendo così, limitatamente al periodo trascorso in sede, le caratteristiche del telelavoratore, nell'accezione più ampia, quella cioè che esclude la rilevanza dell'elemento topografico.

Come detto, la ratio sottostante l'introduzione di questa tipologia non è chiara. Non pare però revocabile in dubbio che essa non sia frutto di una svista dei contraenti collettivi. La lettura sistematica e comparata del secondo e del terzo comma evidenzia, infatti, una coerenza della norma. Il secondo comma non contiene quale elemento costitutivo della fattispecie il fattore topografico, vale a dire la distanza del luogo della prestazione dal centro di imputazione della stessa. Si limita ad enfatizzare l'alterazione delle "tradizionali dimensioni di spazio e tempo".

In conclusione, la definizione normativa dell'accordo 20/6/97 comporta un ampliamento dei confini della fattispecie, rispetto alla nozione di telelavoro stricto sensu (i.e. il telelavoro "esterno" o "a distanza").

Alcune forme di lavoro "tradizionale" vengono così ricomprese nella definizione normativa in oggetto.

Vale la pena aggiungere che, nel caso dell' hotelling, anche il contenuto tecnologico della prestazione è basso. Il lavoratore in questione si limita ad utilizzare il video-terminale, peraltro condiviso con altri colleghi, soltanto nei casi di rientro in azienda.

Per il momento, ci limitiamo a registrare questo contenuto, a prima vista piuttosto paradossale, dell'accordo in oggetto. Un giudizio più compiuto sulla funzione di questa definizione "larga" non può infatti prescindere dall'esame della disciplina del rapporto di telelavoro, prevista dal citato accordo .

 

 

Il problema giuridico del telelavoro

4. Il problema giuridico del telelavoro. I paragrafi che precedono contengono una sorta di premessa descrittiva del fenomeno del telelavoro. Prima di postulare quello che ci appare essere il problema giuridico del telelavoro, con le sue articolazioni, occorre però anche esplicitare una sorta di premessa giuridica.

La premessa giuridica può essere formulata ricorrendo alla suggestiva parabola con la quale Bruno Veneziani, una decina di anni fa, affrontava, in chiave comparatistica, il nodo dei rapporti tra innovazione tecnologica e diritto del lavoro .

Secondo questi "il diritto del lavoro ha conosciuto un modello antropologico classico su cui modellare le norme di protezione, quello del lavoratore che lavora a tempo pieno, nel limite della giornata massima, secondo un contratto a tempo indeterminato e alle dipendenze di un imprenditore nell'impresa di cui esso è proprietario".

Si tratta del modello antropologico classico, o -se si preferisce- del tipo sociale, rappresentato dal lavoratore dell'impresa fordista.

Attorno a questo modello antropologico si è costruita una disciplina protettiva, costituita da un complesso di norme garantiste, per quanti in prevalenza siano coinvolti in un rapporto di lavoro subordinato governato da un contratto a tempo indeterminato, che "regola una relazione sociale caratterizzata da una posizione di asimmetria di poteri sociali tra soggetti. Di questi uno -il lavoratore- offre il suo lavoro nei locali dell'impresa, in un tempo fissato dall'imprenditore, da cui riceve gli ordini che riguardano un lavoro prestabilito il cui contenuto non è in grado di condizionare in alcun modo. Ciò equivale a dire che -in questo schema- il contratto rispetta quelle che potremmo chiamare le 'regole aristoteliche del diritto del lavoro' delle società pretecnologiche: le unità di luogo-lavoro (il lavoro nei locali dell'impresa), di tempo-lavoro (il lavoro nell'arco di una sequenza temporale unica), di azione-lavoro (una attività monoprofessionale).

Oggi questi che hanno costituito autentici miti su cui edificare il diritto del lavoro di origine statale e contrattuale si sono parzialmente sgretolati ..." .

Il fenomeno del telelavoro, sulla base delle considerazioni finora svolte, costituisce uno dei più paradigmatici esempi di questa frammentazione delle regole aristoteliche. Non solo il telelavoro comporta la distanza dall'impresa (rectius dall'azienda), così da determinare la rottura dell'unità di luogo. Ma anche il tempo della prestazione, nel rapporto di telelavoro, non è più assoggettabile alla regola dell'unità, scandita, da un lato, dall'uniforme "tempo della fabbrica" e controllata, dall'altro, dalle norme legali e contrattuali sui limiti di orario.

Con la frammentazione delle 'regole aristoteliche', il nesso tra il modello antropologico ed il sistema di tutele su di esso costruito si rompe o, quantomeno, entra in crisi.

Ciò premesso, il problema giuridico del telelavoro (inteso, a questo punto, come forma di lavoro atipico) si sostanzia nei seguenti due quesiti:

a) se ed in quale misura il rapporto di telelavoro fuoriesca dal tipo legale della subordinazione, con le conseguenze in termini di disapplicazione del sistema delle tutele ovvero di applicazione di un sistema attenuato di tutele ;

b) quali adattamenti le regole della subordinazione possano o debbano eventualmente subire, in considerazione delle particolari modalità di svolgimento del rapporto di telelavoro, posto che il rapporto di telelavoro sia qualificabile -appunto- come telelavoro subordinato.

Nel quarto capitolo si fornirà dunque una rassegna delle (eventuali) esigenze adattative di alcuni significativi istituti del diritto del lavoro subordinato, nonché le soluzioni ricavabili dalla contrattazione collettiva; salvo un caso , gli accordi collettivi in materia di telelavoro, presuppongono o qualificano i rapporti di telelavoro che intendono normare, come rapporti di telelavoro subordinato. Verranno anche considerati i problemi di effettività del sistema delle tutele comunque connessi con le modalità di esecuzione del telelavoro .

La prospettiva con cui verranno affrontati i due temi appena enunciati (qualificazione del rapporto di telelavoro e tutele del telelavoratore subordinato) è peraltro quella di chi ritiene che la rottura delle unità aristoteliche non possa sfociare nella deregolazione e nell'attenuazione (se non nello smantellamento) del sistema delle tutele.

Al contrario: "... il modo con cui si articola la relazione economico sociale tra impresa e dipendenti, la quantità e la qualità delle variabili tecnologiche che incidono sugli elementi dello stesso quali il luogo, il tempo e le modalità di svolgimento finiscono con lo svelare la necessità di un bagaglio o di un corredo di funzioni nuove da assegnare al contratto di lavoro. Non solo, ma rivelano una possibile area di intervento per il legislatore e per la negoziazione collettiva, in una parola una zona di giuridificazione eventuale " .