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CAPITOLO SECONDO

AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE

NEL

VIGENTE ORDINAMENTO GIURIDICO

 

Premesse metodologiche

1. Premesse metodologiche. Nel precedente capitolo, è stato descritto un modello strutturale di telelavoro, basato su due elementi essenziali (l'elemento topografico e l'elemento tecnologico) e si sono analizzate le limitate definizioni normative di telelavoro presenti nel nostro ordinamento (quelle fornite dalle esperienze di contrattazione collettiva realizzate in materia).

Si è osservato che, allo stato, non esiste una definizione legislativa di telelavoro e conseguentemente neppure una normativa generale sul telelavoro di fonte legale.

Per analizzare dunque quali siano le regole applicabili ai rapporti di telelavoro, occorre procedere preventivamente ad una operazione di qualificazione, per verificare a quale o a quali dei tipi legali di lavoro del nostro ordinamento il telelavoro stesso sia riconducibile .

Questa preventiva opera di qualificazione presenta indubbiamente considerevoli margini di difficoltà.

In primo luogo, occorre misurarsi con il metodo da adottare nel procedimento di qualificazione. Come noto, la dottrina è divisa attorno a due opzioni metodologiche, preferendo, gli uni, il c.d. metodo tipologico e, gli altri, il metodo sussuntivo. Senza voler entrare in un'approfondita disamina della questioni, basti tener presente che il metodo sussuntivo consiste in un ragionamento di tipo analitico, volto a verificare l'identità di ciascun elemento di fatto rispetto ad un concetto fisso (la fattispecie) che li contiene tutti, così da pervenire ad una conclusione logicamente necessitata. Il metodo tipologico, al contrario, si basa su di un ragionamento di sintesi, che si configura come un procedimento di approssimazione del caso concreto al tipo, vale a dire la figura social-tipica sottesa alla fattispecie legale, senza la necessità che tutti gli elementi propri del tipo debbano essere presenti, ai fini del giudizio di qualificazione, nel caso di specie.

Il metodo tipologico (o di "sussunzione per prevalenza o approssimazione") è stato oggetto di critiche anche da parte di un autorevole dottrina, che -come si vedrà- ha svolto una fondamentale opera di ricostruzione della nozione di lavoro a distanza. Secondo questa tesi " ... il metodo tipologico sarà pure più pragmatico e più in grado di sollecitare l'intuizione dell'interprete -e già questo non impedisce, da un lato, che esso sia complessivamente giudicato insufficiente allo scopo, dall'altro che possa lasciare un potere eccessivo nelle mani del giudice-, ma non si dimostra ancorato al dato normativo.

In realtà, anche se si vuole ammettere la difficoltà di definire un concetto unitario di subordinazione idoneo a garantire perfetta coincidenza tra fattispecie concreta ed astratta, ciò non comporta assolutamente l'impraticabilità del metodo sussuntivo. Questo, a differenza del metodo tipologico, trova invece piena legittimazione da parte del sistema di tipi contrattuali configurati dal codice civile, fissati cioè in concetti definitori, che, in quanto definizioni legali, hanno contenuto normativo autonomo ... " .

In secondo luogo, si deve osservare che, al di là dei citati contrasti metodologici, il procedimento di qualificazione, in senso proprio, è quello posto in essere dal giudice, il quale, a fronte di un caso concreto, lo deve ricondurre ad uno dei tipi legali riconosciuti dall'ordinamento.

Nel nostro caso, al contrario, il procedimento di qualificazione avrà ad oggetto la riconducibilità del modello strutturale di telelavoro -estratto dalla realtà socio-economica- ad uno dei tipi legali di lavoro dell'ordinamento.

L'operazione comporta un duplice ordine di difficoltà. Da un lato, si tratta di definire un modello strutturale di telelavoro in grado di rappresentare con sufficiente fedeltà il fenomeno socio-economico del telelavoro, mentre, dall'altro, occorre affrontare la problematica dei criteri di discriminazione tra le varie categorie di lavoro ed, in particolare, tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.

Sul primo versante, la difficoltà sarà costituita dall'idoneità del modello prescelto a rappresentare, con sufficiente grado di significatività, le varie tipologie di telelavoro presenti nella realtà socio-economica.

Sul secondo versante, la difficoltà sarà costituita dal fatto che, in ragione dei mutamenti intervenuti nella realtà organizzativa delle imprese e, più in generale, nella struttura socio-economica, gli stessi criteri tradizionali utilizzati dalla giurisprudenza nel procedimento di qualificazione del rapporto di lavoro, sono soggetti ad una profonda revisione. Anzi, la stessa summa divisio tra lavoro subordinato e lavoro autonomo non appare più pienamente idonea a fondare l'impianto normativo di regolazione dei rapporti di lavoro .

In terzo luogo, è peraltro opportuno notare che il problema di inquadrare nuove forme di lavoro nell'ambito dei tradizionali schemi legali non si pone d'altro canto come una novità assoluta: la giurisprudenza è stata infatti già chiamata a pronunciarsi sulla qualificazione di nuove tipologie di lavoro apparse nella realtà socio-economica e fino a poco tempo prima inimmaginabili.

Paradigmatico può essere considerato, al proposito, il caso dei moto-messaggeri dei servizi di recapito urgente della corrispondenza (c.d. pony-express), il cui inquadramento nella categoria del lavoro subordinato o in quella del lavoro autonomo, ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali ben lungi dall'essere sopiti .

In quarto luogo, si dovrà tener presente che, sul piano dottrinale, il diffondersi di forme di "lavoro informatico" (ed in particolare del "lavoro a distanza informatico", vale a dire del telelavoro) ha rappresentato proprio uno dei fatti che hanno imposto l'avvio di un ampio e approfondito dibattito sul tema della subordinazione e dell'idoneità di questa categoria a ricomprendere nel proprio ambito le nuove tipologie di lavoro.

Un autorevole dottrina ha così argomentato circa le contrastanti "letture" del nesso innovazione tecnologica-subordinazione: "Secondo una lettura ormai "classica", i più flessibili rapporti di lavoro indotti dall'innovazione tecnologica vedono diminuire lo stato di soggezione del lavoratore ed aumentare la sua partecipazione; si osserva, poi, che la subordinazione diminuisce con la sostituzione del lavoro da parte delle macchine, pur ammettendosi che essa può riaffiorare in modo più impersonale e con connotazioni di tipo economico e non giuridico. Simili letture non sono certo incontroverse: non si è, infatti, mancato di rilevare come la tendenza possa invece essere quella ad un'accentuazione della subordinazione, e che neanche possa parlarsi di una sua modifica quantitativa o qualitativa: il lavoro "flessibile" non è meno subordinato, né presenta tassi minori di sfruttamento, tanto più che, nei casi di lavoro tecnologizzato, il controllo può presentarsi in forme più occulte e sofisticate, ma anche più pervasive rispetto ai cosiddetti rapporti "normali" ... . E' sembrato allora realistico concludere per la compresenza di due tendenze, entrambe plausibili in un universo polimorfo quale quello dei rapporti di lavoro tecnologizzato: la subordinazione può tanto accentuarsi quanto indebolirsi a seconda dei casi, in particolare a seconda che l'innovazione agisca su rapporti già assestati o ne crei di nuovi. Ma di subordinazione si parla in questi casi molto atecnicamente: l'impressione è invece proprio quella che dal punto di vista qualitativo non sia poi cambiato molto: alcune tecnologie possono appannare gli aspetti esteriori della subordinazione, ma la sua struttura sociale, economica e giuridica non è modificata" .

Ma, più specificamente, occorre osservare che è stata proprio la problematica del telelavoro a proporre, circa un decennio fa, alcune prime riflessioni sulla "ridefinizione" della categoria della subordinazione .

Una volta delineato il quadro dottrinale entro cui la tematica della qualificazione del telelavoro è inserita e gli effetti di "retro-azione" che il fenomeno comporta sulle categorie giuslavoristiche fondamentali, è possibile definire il seguente schema di sviluppo dell'argomento:

a) in primo luogo, si fornirà una rapida trattazione dei criteri distintivi che, nel nostro ordinamento, discriminano la fattispecie lavoro subordinato da quella lavoro autonomo, a partire dal sistema delle fonti legali (artt. 2094, 2222 e 2229 del cod. civ.) e da quello degli indici giurisprudenziali di subordinazione, fino ad arrivare ai recenti orientamenti della Corte Costituzionale in ordine ai limiti alla disponibilità del tipo contrattuale;

b) in secondo luogo, si farà cenno ai due sotto-tipi legali costituiti rispettivamente dal lavoro a domicilio (così come definito e regolato dalla legge 877/73) e dal lavoro con prestazioni coordinate e continuative (fattispecie individuata dall'art. 2, seconda parte, della legge 741/59 e poi ripresa dall' art. 409 c.p.c. dopo la novella del processo del lavoro ex legge 533/73);

c) in terzo luogo, si esamineranno le alternative qualificatorie della fattispecie telelavoro, rispetto alle diverse categorie di lavoro astrattamente presenti nel nostro ordinamento, e quindi rispetto al lavoro autonomo, al lavoro autonomo con prestazione coordinata e continuativa (c.d. lavoro parasubordinato), al lavoro subordinato, al lavoro (subordinato) a domicilio . In astratto, il telelavoro potrebbe essere peraltro esercitato anche in forma imprenditoriale, fuoriuscendo così dall'area dei "contratti di lavoro" nel senso già precisato di inserimento nell'altrui organizzazione d'impresa .

Quest'ultimo aspetto verrà analizzato con particolare riferimento all'eventualità che il ricorso ad una forma non genuina di "impresa" costituisca, in effetti, lo strumento di elusione della normativa di tutela.

I primi due punti verranno sviluppati nella restante parte del presente capitolo, mentre il terzo punto costituirà l'oggetto della trattazione del prossimo capitolo.

 

. Le categorie di lavoro subordinato e autonomo;

2. Le categorie di lavoro subordinato e autonomo.

.1. Il concetto di subordinazione nel codice civile del 1942;

2.1. Il concetto di subordinazione nel codice civile del 1942. Il codice civile contiene le norme-base che definiscono le due categorie del lavoratore subordinato e del lavoratore autonomo.

Secondo l'art. 2094 "è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore".

La norma in questione si inserisce in un sistema più ampio di norme che definiscono lo status e le regole del lavoro nell'impresa (cui è dedicato l'intero Titolo II del Libro Quinto), tra le quali spiccano, al fine dell'individuazione della nozione codicistica di subordinazione, l'art. 2086 e l'art. 2104.

Secondo l'art. 2086, "l'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori", mentre, secondo l'art. 2104, 2° comma, "(il prestatore di lavoro) deve osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende".

Il successivo Titolo III del Libro Quinto individua, con l'art. 2222 (rubricato come contratto d'opera), il lavoratore autonomo nella "persona che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente".

Il riferimento alla subordinazione entra dunque a far parte, seppure in termini negativi, anche della definizione di lavoratore autonomo. Quando poi il contratto d'opera abbia ad oggetto una prestazione di opera intellettuale ci troviamo in presenza del lavoratore autonomo intellettuale, in rapporto di specie a genere con la figura del lavoratore autonomo senza aggettivi, con relativa applicazione di ulteriori norme speciali, ai sensi dell' art. 2230 cod. civ..

Il sistema del codice civile del 1942 rappresenta dunque la dicotomia tra il lavoro subordinato ed il lavoro autonomo, nei termini di contrapposizione tra un lavoro che si configura come "dipendenza sul piano funzionale da una tecnica, come prestazione impiegata da altri, privata progressivamente di connotati professionali specifici, e per questo, valutabile a tempo" ed un lavoro autonomo, considerato come attività professionalizzata, caratterizzata da elevato contenuto tecnico e capace di autorganizzarsi.

La nozione di subordinazione, al di là della sua "scarsa idoneità qualificatoria" , riveste pertanto, nel sistema del codice del 1942, una funzione "centrale", tant'è che anche la categoria del lavoro autonomo viene individuata a partire dall' assenza di subordinazione.

La nozione di subordinazione assume poi, nel sistema delineato con la Costituzione del 1948, una duplice valenza: di tipo classificatorio e di tipo assiologico.

Si può, infatti, affermare che " nel contesto della classificazione, per subordinazione intendiamo il complesso di elementi che debbono ricorrere nel caso concreto perché sia applicabile il diritto del lavoro. La subordinazione in questo contesto, svolge una funzione selettiva, di "porta di accesso" al sistema normativo nel quale si concretizzano le garanzie costituzionali del lavoro.

Nel contesto assiologico la subordinazione fissa la posizione dei soggetti del rapporto di lavoro nella rete di relazioni economiche, e giustifica -nella nostra Costituzione, come nelle altre in cui i diritti sociali sono riconosciuti quali diritti fondamentali- una protezione giuridica specifica del lavoratore, e correlativi obblighi o doveri per il datore di lavoro e per lo Stato stesso, in funzione dei valori della tutela della persona e della solidarietà sociale. In questo secondo contesto, la subordinazione situa il cittadino nella sfera sociale, e situandolo lo rende destinatario del bilanciamento di interessi sotteso alla costituzione economica (difatti, il lavoratore subordinato è il prototipo dell' homme situé, specificazione del citoyen che si è prodotta quando si sono affermati i diritti fondamentali della seconda generazione, ossia i diritti sociali) " .

La "centralità" del lavoro subordinato trovava ovviamente una giustificazione nella "centralità" socio-economica della figura di lavoratore (tipo sociale) i cui tratti caratterizzanti erano stati trasfusi nella fattispecie prevista dal codice (tipo legale), vale a dire nella "centralità" delle figure operaie addette al ciclo produttivo della grande fabbrica di tipo fordista .

.2. Il lavoro autonomo nel codice civile del 1942;

2.2. Il lavoro autonomo nel codice civile del 1942. La categoria del lavoro autonomo, quale emerge dal codice, è, a sua volta, basata essenzialmente su due modelli, quello delle attività artigianali (art. 2222) e quello delle professioni intellettuali (art. 2229), che la rendono ormai soggetta ad obsolescenza ed inidonea ad inquadrare le "nuove" forme di lavoro autonomo "di seconda generazione".

E' stato infatti osservato che "il primo gruppo di articoli si riferisce alla prestazione d'opera 'manuale', alla creazione di un opus inteso come 'modificazione materiale di uno stato di cose preesistenti'. Sebbene l'art. 2222 contempli anche la prestazione di un 'servizio', si tratta pur sempre di un'attività predeterminata destinata a produrre una specifica utilità, un risultato individuato (cioè non un servizio inteso come una prestazione di durata, l'affidamento con una certa continuità di un incarico avente per oggetto la risoluzione di un problema di ordine intellettuale, che invece caratterizza il secondo gruppo di norme).

Rimaniamo quindi nel campo idealtipico del lavoro dell'artigiano che contratta prima, e in modo sufficientemente preciso con il committente, i contorni di un suo intervento 'materiale' a carattere delimitato" .

Non a caso, allora, " la legge si attarda a regolare le ipotesi di fornitura di 'materia' da parte del committente, o di esecuzione parziale o viziata dell'opera, di residua utilità, ecc." .

Lo stesso autore conseguentemente conclude, affermando che "è evidente quindi quanto poco tale normativa possa idoneamente applicarsi ai molteplici casi di 'assunzione con corrispettivo a fattura', per richiamare un'espressione, particolarmente rivelatrice, oggi molto usata nei rapporti di lavoro tra l'emergente 'impresa a rete' e addetti alle pulizie, consulenti di vario genere, delegati alle vendite e alla commercializzazione, ecc.. Più adattabile alla vasta fenomenologia del "lavoro autonomo di seconda generazione", al nuovo esercito di "collaboratori e consulenti " sembra invece prestarsi il secondo gruppo di norme sull' "opera intellettuale", dal contenuto delle quali si evince chiaramente che l'oggetto della prestazione è lo svolgimento di un'attività, un bene "immateriale" consistente nell'assolvimento di un incarico e non un risultato specifico, tanto che alcuni autori sostengono essere ormai divenuto questo il vero genus di lavoro autonomo, riducendosi il contratto d'opera in senso stretto a sua semplice species (ma) ........ questo tipo contrattuale solo a fatica può ricomprendere sotto di sé tutte le attività, di natura intellettuale, la cui moltiplicazione è tipica del terziario avanzato " .

 

.3. Gli indici di subordinazione nella giurisprudenza;

2.3. Gli indici di subordinazione nella giurisprudenza. L'evoluzione della giurisprudenza ha consentito di allargare la nozione di lavoro subordinato (e conseguentemente di estenderne il sistema di tutela) anche nei confronti di figure lavorative, soprattutto non industriali, nelle quali il potere direttivo del datore di lavoro si presentava con caratteri attenuati.

La giurisprudenza ha dunque supplito alla indeterminatezza della nozione di subordinazione attraverso la costruzione di indici, la cui presenza nell'effettivo atteggiarsi del rapporto avrebbe, per così dire, svelato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

In questo senso, si è parlato di una sorta di "pragmatismo di compensazione" da parte della giurisprudenza, la quale avrebbe così cercato di recuperare la prolungata assenza, sul piano teorico-concettuale, di una nozione "forte" di subordinazione.

Peraltro, è stato anche osservato che "la serie di indici individuati dalla giurisprudenza quali connotati tipici della subordinazione, anche se pragmaticamente tratti dal modello sociale sotteso alla definizione legale data dall'art. 2094 c.c., non mancano di una certa, seppur limitata coerenza di sistema " .

D'altro canto, questo utilizzo pragmatico degli indici giurisprudenziali di subordinazione è stato sovente accompagnato dalla "consapevolezza della genericità delle formule descrittive adottate" .

Ciò premesso, l'analisi in concreto del procedimento giurisprudenziale di qualificazione del rapporto di lavoro e del modo o dei modi ricorrenti di combinazione degli indici di subordinazione, porta ad affermare che questi "si dimostrano aggregabili in insieme ben definiti e quasi gerarchicamente ordinati, secondo il parametro della loro vicinanza, ovvero del loro valore strumentale o di "segno", nei riguardi del criterio principale della subordinazione intesa in sé e per sé" .

Nell'ambito della giurisprudenza, sono dunque ravvisabili tre insiemi di criteri, tra di loro ordinati gerarchicamente.

. Criteri del primo tipo (assoggettamento, potere direttivo, potere organizzativo). ;

A. Criteri del primo tipo (assoggettamento, potere direttivo, potere organizzativo). Il primo insieme di criteri riguarda il vincolo di subordinazione inteso in sé e per sé e vi rientrano l'assoggettamento, il modo delle direttive, l'esistenza di un potere disciplinare, di controllo e di vigilanza.

Questo primo gruppo di criteri trae il proprio fondamento nel principio, più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, secondo cui "elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato è il vincolo della subordinazione, il quale consiste nell'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro" .

Secondo questo principio il vincolo della subordinazione sarebbe riscontrabile in presenza di una situazione di dipendenza gerarchica (assoggettamento) del prestatore, in riferimento ad una serie di situazioni di potere (organizzativo, direttivo e disciplinare) del datore di lavoro.

Per quanto riguarda il primo termine di riferimento della predetta costruzione giurisprudenziale, è stato peraltro osservato che "quando si sposta l'attenzione dal dichiarato valore discretivo dell'indice al modo della sua ricorrente utilizzazione da parte dei giudici, si nota un interessante fenomeno, e cioè l'automatico slittamento dell'argomentazione sul piano della sussistenza o meno di requisiti affini. Così al fine di spiegare cosa si intenda per "vincolo di assoggettamento gerarchico", dopo l'accenno non sempre presente al suo carattere "personale" (talora esplicitamente tenuto separato da quello "tecnico") ... non di rado si rinvia al dato dell' " inserimento (del prestatore) nell'organizzazione dell'impresa in modo continuativo e sistematico" " .

In considerazione di ciò, si rende necessario volgersi allora a considerare il secondo termine di riferimento della costruzione giurisprudenziale del vincolo di subordinazione, vale a dire la sussistenza in capo al datore di lavoro di una situazione di potere direttivo (organizzativo, disciplinare).

A questo proposito, vale la pena ricordare che, come noto, Lodovico Barassi elaborò il concetto di subordinazione elevando a sua caratteristica peculiare l'elemento della soggezione della prestazione lavorativa alle direttive del datore di lavoro, al quale veniva riconosciuta, durante lo svolgimento del rapporto, la gestione del lavoro. Poiché questo potere di etero-direzione, se riferito semplicemente al risultato dell'attività lavorativa, può essere riscontrato anche nel contratto di lavoro autonomo (artt. 1659, 1662, 1711, 2224 cod. civ.), nel caso del rapporto di lavoro subordinato, nella visione barassiana, il potere di etero-direzione deve essere riferito al comportamento stesso del debitore che viene coordinato rispetto all'interesse del datore di lavoro. L'interesse del creditore è stato successivamente individuato nel raggiungimento dello scopo di un'organizzazione imprenditoriale ed in tal senso si parla oggi di etero-organizzazione della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro. Si realizza, per questa via, la sostanziale identificazione del potere direttivo e di quello organizzativo.

Quanto al potere disciplinare, esso appare un effetto della fattispecie "subordinazione" piuttosto che un elemento costitutivo della stessa .

Con riferimento, dunque, al potere direttivo, molteplici pronunzie hanno tentato di stabilire il livello al di sopra del quale lo stesso potere direttivo serva da criterio discriminante tra il lavoro subordinato ed altre figure contrattuali affini che pure presentano una situazione di assoggettamento del debitore alle direttive del creditore .

La questione che si pone dunque è quella della quantificazione/misurabilità della etero-direzione della prestazione lavorativa, questione sulla quale si assiste alla divaricazione di due filoni giurisprudenziali.

Il primo filone ammette la "possibilità di realizzazione dell'assoggettamento anche attraverso direttive dettate dal datore in via programmatica, e non necessariamente continue, dettagliate e strettamente vincolanti" .

Il secondo filone ritiene, viceversa, insufficienti delle semplici direttive programmatiche ed un controllo estrinseco, ma richiede che "la prestazione del lavoratore sia regolata nel (=durante) il suo svolgimento, da direttive tali da inerire di volta in volta alla prestazione, direttive autentiche, cioè direttamente ricollegabili all'esercizio del "potere di conformazione" del datore di lavoro" .

Nell'uno e nell'altro caso, peraltro, non risulta affatto semplice individuare le soglie della subordinazione sulla base del quantum o comunque dell'intensità del potere direttivo, così come esercitato o potenzialmente esercitabile.

In ogni caso, l'esigenza espressa da varie sentenze di considerare compatibile l'attenuazione dell'assoggettamento con la sussistenza comunque del vincolo della subordinazione, ha, per così dire, aperto la strada per un'utile considerazione di altri criteri. Infatti, l'attenuazione dell'assoggettamento necessita, per consentire comunque la qualificazione del rapporto come subordinato, di altri indici sostitutivi di quello principale.

 

. Criteri del secondo tipo (inserimento, collaborazione, continuità);

B. Criteri del secondo tipo (inserimento, collaborazione, continuità). Il secondo gruppo di criteri, allora, prende in considerazione una serie di parametri c.d. "esterni" rispetto al contenuto dell'obbligazione, parametri che tuttavia vengono considerati in grado di sostituire l'indice principale o compensarne l'attenuazione.

Tali sono, ad esempio, l' inserimento nell'organizzazione aziendale del datore, la collaborazione caratterizzata come "dedizione funzionale", la continuità come illimitata divisibilità dell'adempimento. In alcuni casi, poi, il riferimento è alla "dipendenza economica" del prestatore .

E' stato osservato che questi indici sono caratterizzati da: "a) reciproca sostituibilità; b) scarsa distinzione anche solo descrittiva, per cui sconfinano facilmente l'uno nell'altro; c) estrinsecità (od estraneità) rispetto al contenuto vero e proprio della prestazione dedotta dalle parti nel contratto di lavoro; d) capacità di sostituire e non solo rafforzare il criterio principale mancante o attenuato o poco visibile, quello cioè della subordinazione tout court" .

*

Come detto, tra gli indici del "secondo tipo" è stato anche inserito quello della c.d. dipendenza economica. Questo indice consente di svolgere qualche considerazione sulla posizione dottrinale cui l'utilizzo di tale criterio fa riferimento. Si tratta della posizione dottrinale che "legge" la subordinazione, non tanto nei termini di assoggettamento, quanto piuttosto in quelli di soggezione socio-economica del lavoratore rispetto al datore di lavoro.

Secondo questa tesi, quando la norma parla di lavoro prestato "alle dipendenze" dell'imprenditore, il primo e fondamentale significato da attribuire a questa espressione è quello della subordinazione socio-economica, che "deve ritenersi di conseguenza non più un dato della realtà sociale estraneo alla norma, ma un elemento che la norma stessa ha considerato essenziale per la determinazione in astratto della fattispecie lavoro subordinato" .

Secondo questa posizione la locuzione "alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore" sta ad indicare (e a tutelare) una posizione di debolezza economica e di inserimento del lavoratore nell'impresa altrui. In altre parole, essere "alle dipendenze" significa dipendere economicamente: il lavoratore è subordinato quando deve la sua sopravvivenza economica (esclusivamente o prevalentemente) al datore di lavoro. Essere " sotto la direzione" significa stare nell'ambito del potere di organizzazione dell'imprenditore, ovvero essere inserito nell'azienda in qualità di fattore della produzione.

Questa definizione del lavoratore subordinato (in quanto lavoratore inserito nell'altrui organizzazione aziendale e da questa dipendente), che non tiene conto di altri elementi classificatori che rischiano di essere fuorvianti (sottoposizione al potere gerarchico e disciplinare, tempo di lavoro, luogo fisico di lavoro), dipinge una figura di lavoratore che è esattamente contraria a quella del lavoratore autonomo. Il lavoratore autonomo non dipende economicamente dal singolo committente perché, avendo una pluralità di committenti, non deve a nessuno di questi, singolarmente considerato, la propria sopravvivenza economica. Il lavoratore autonomo non è inserito nella organizzazione aziendale del committente perché si avvale di una propria organizzazione del lavoro (che è cosa diversa dall'autonoma organizzazione della propria forza-lavoro): il lavoratore autonomo non tanto realizza il fine imprenditoriale altrui, quanto realizza il proprio fine (latamente) imprenditoriale" .

La tesi in oggetto risulta minoritaria sia in dottrina che in giurisprudenza, ed è stata, a più riprese, criticata e ritenuta viziata di sociologismo e di "vistoso apriorismo ideologico" . Si è ritenuto, infatti, che intendendo la subordinazione come soggezione socio-economica del lavoratore rispetto al datore di lavoro, l'analisi si incentrerebbe sulla situazione complessiva del cittadino-lavoratore, così da rinviare ad una valutazione basata su di un serie di parametri, anche estranei di per sé al rapporto, come ad esempio le fonti di reddito del soggetto in questione.

Ciò nondimeno, a partire dalla tesi della subordinazione come soggezione socio-economica, si perviene ad una critica dei più tradizionali indici giurisprudenziali (quelli di primo tipo) non priva di acutezza. E' stato osservato infatti che quando si parla dell'incapacità dei tradizionali criteri elaborati dalla giurisprudenza a fronte dei mutamenti tecnologici ed organizzativi "a ben guardare, non è la realtà sociale ad aver superato la giurisprudenza; è piuttosto la giurisprudenza che è rimasta ancorata a tipologie professionali appartenenti a realtà sociali anacronistiche. In altre parole, quei criteri distintivi sono stretti non tanto nei confronti dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro, quanto nei confronti della nozione di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c..

Quando si dice che è subordinato il lavoratore sottoposto alle direttive del datore di lavoro, ci si riferisce ad una organizzazione del lavoro che poco ha a che vedere con l'impresa informatizzata, ma che neppure rispecchia la realtà industriale dei tempi del legislatore del 1942. Piuttosto il modello sembra essere la bottega artigiana, dove il "padrone" era in grado di controllare tutte le fasi della lavorazione perché capace lui stesso di compierle".

Per chiudere questo inciso sulle teorie "eterodosse" della subordinazione, mette in conto citare la tesi di chi riconduce la situazione di subordinazione alla alienazione del lavoro, sia nel suo risultato che nella sua organizzazione .

*

Con riferimento sempre agli indici del "secondo tipo", occorre osservare che il criterio dell' inserimento nell'organizzazione di impresa ha perso progressivamente ogni connotato naturalistico per assumere una netta caratterizzazione in senso funzionale .

Quanto invece al criterio della continuità, esso è rilevabile potenzialmente sia sul piano del vincolo contrattuale (secondo il contenuto dato originariamente dalle parti), sia su quello del successivo materiale svolgimento della prestazione (e cioè a posteriori).

Ciò nondimeno, esso appare di difficile specificazione sul piano tecnico-giuridico. Non a caso, viene letto sia in termini di "illimitata divisibilità della prestazione ratione temporis" , sia invece in termini di mera persistenza nel tempo dell'obbligo giuridico. Nel primo senso, la continuità non sfugge alla critica di chi vede in essa la riproposizione della vecchia distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato, ritenuta da tempo ormai priva di qualsivoglia efficacia discretiva .

Nel secondo senso, va pure detto che la continuità materiale viene comunemente dichiarata non necessaria ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato, mentre il carattere della continuità "va identificato unicamente nella persistenza del vincolo della subordinazione che determinando lo stabile inserimento del lavoratore nell'impresa, fa sì che egli sia tenuto, anche negli intervalli tra le singole prestazioni, all'osservanza degli obblighi giuridici inerenti al rapporto stesso" .

In effetti, è stato osservato un uso giurisprudenziale ambiguo e polivalente del dato della continuità. Nel riferimento alla continuità, il giudice cerca un sostituto del criterio dell'assoggettamento che oggi sempre più difficilmente, a causa delle sue frequenti e volute attenuazioni, riesce a svolgere la funzione di discrimine tra le aree dell'autonomia e della subordinazione.

 

. Residualità dei criteri del terzo tipo;

C. Residualità dei criteri del terzo tipo. Resta da dire che il terzo insieme di indici è costituito da criteri ritenuti assolutamente residuali aventi la funzione di rafforzare i precedenti, al fine di consentire una valutazione sintetica degli indici per "completare" il procedimento di qualificazione.

Tuttavia, nessuno di tali indici è in grado autonomamente considerato di sostituire quelli dei due precedenti "ordini" in caso di loro assenza.

Appartengono al "terzo tipo" di indici sussidiari o residuali: l' incidenza soggettiva del rischio, la forma della retribuzione, il vincolo di osservanza di un determinato orario, l' esistenza (rectius l' assenza) di una organizzazione da parte del lavoratore .

.4. Il ritorno del formalismo, la giurisprudenza costituzionale e le nuove prospettive dottrinali;

2.4. Il ritorno del formalismo, la giurisprudenza costituzionale e le nuove prospettive dottrinali. Il quadro di riferimento offerto dagli indici giurisprudenziali di subordinazione regge, nonostante la "debolezza" e a volte l'indeterminatezza del substrato teorico-dottrinale, fino a quando il dato tecnico-giuridico corrisponde a quello economico-sociologico ed, in particolare, fino a quando la figura "centrale" del sistema economico-produttivo rimane quella dell'operaio fordista, il tipo sociale preso a riferimento, in ultima analisi, da parte del legislatore del 1942 .

A partire dalla metà degli anni ottanta e a seguito dell'innovazione tecnologica ed organizzativa del sistema produttivo italiano, tuttavia, il quadro di riferimento sopradescritto viene -come già anticipato- ad essere posto in discussione. Si inizia a discutere della c.d. "fuga dal lavoro subordinato", in connessione con la progressiva diffusione di forme di lavoro autonomo specie nel settore dei servizi alle imprese, e si delinea una sorta di "area grigia" tra il lavoro autonomo e quello subordinato in riferimento a nuove figure di lavoratore.

E' interessante notare come la "crisi" dei tradizionali indici di qualificazione venga annunciata proprio a partire dagli effetti indotti dall'innovazione tecnologica sulle modalità di collegamento tra prestatore di lavoro e organizzazione di impresa.

Si osserva, infatti, da parte di alcuni autori che "nel lavoro informatizzato .... risultano profondamente modificati almeno tre aspetti dell'organizzazione tradizionale del lavoro, sui quali si sono basati finora altrettanti criteri di distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato:

- la forma dell' "inserimento" della prestazione nell'organizzazione aziendale del creditore;

- le modalità di esercizio dei poteri direttivi e di controllo sulla prestazione da parte del creditore;

- la rilevanza dell' elemento "tempo" nella struttura giuridica dell'obbligazione (continuità della prestazione come suo elemento qualitativo ed estensione temporale come sua misura qualitativa)".

Quanto all' inserimento, esso "nel lavoro informatizzato si realizza sempre meno sotto forma di materiale inserzione del lavoratore in un'unità produttiva, e sempre più attraverso il collegamento anche a distanza, con il cervello elettronico aziendale. In altre parole, alla forma tradizionale di "inserimento", che consiste nel coordinamento spazio-temporale della prestazione lavorativa con il resto dell'organizzazione aziendale tende a sostituirsi un coordinamento informatico e telematico (il "telelavoro" .... ) che prescinde dalla contiguità spaziale e dalla coincidenza temporale ".

Quanto alle direttive e al controllo, subiscono anch'esse un'alterazione, in quanto "l'attività lavorativa è caratterizzata da un "dialogo" continuo tra il prestatore ed il cervello elettronico, che è programmato per dare di volta in volta le informazioni e le indicazioni operative necessarie per lo svolgimento del lavoro e per controllarne le modalità di svolgimento. In altre parole, nel lavoro informatizzato la soggezione alle regole "dettate" dal computer (in realtà da chi lo ha programmato) e dal controllo dello stesso sulle modalità "interne" di organizzazione e svolgimento del lavoro non è un modo di essere eventuale dell'attività lavorativa ma è l'oggetto stesso dell'attività lavorativa " .

Questa analisi degli elementi di innovazione del rapporto introdotti dal c.d. lavoro informatizzato coglie indubbiamente degli aspetti reali. A ben guardare, questa analisi comporterebbe però una conclusione opposta a quella cui successivamente perviene l'autore che l'ha proposta. In effetti, l'esame delle modalità di svolgimento della prestazione nel lavoro informatizzato (ed in particolare nel telelavoro) comporta un rafforzamento dell'assoggettamento, del c.d. vincolo della subordinazione, quanto meno sotto il profilo degli indici presi in considerazione, indici che, come abbiamo visto nella ricostruzione del paragrafo precedente, appartengono rispettivamente agli indici giurisprudenziali del "secondo tipo" (l'inserimento) e del "primo tipo" (il potere di direzione e di controllo).

Lo stesso autore osserva allora che " ... sul piano della definizione della fattispecie occorre chiedersi se questo connotato essenziale della prestazione di lavoro informatizzato (che per definizione è lavoro organicamente "inserito" ed integrato in un determinato sistema informatico, e soggetto alle regole ed al controllo del computer) possa essere assunto come indice decisivo del carattere subordinato del rapporto, così come indice decisivo di subordinazione è tradizionalmente considerato l'inserimento della prestazione nell'organizzazione aziendale del creditore ed il suo assoggettamento alle direttive e al controllo del creditore stesso.

Se al quesito si desse risposta positiva, ne conseguirebbe che qualsiasi prestazione lavorativa svolta continuativamente in collegamento con il cervello elettronico del creditore, attraverso un terminale con esso collegato, dovrebbe considerarsi come prestazione lavorativa subordinata" .

L'impostazione data al problema avrebbe dunque dovuto condurre, quale esito conseguente, a fornire una risposta affermativa al quesito, con il che si sarebbe dovuto concludere che il lavoro informatizzato comporta una "dilatazione" dell'area della subordinazione e quindi una estensione dell'applicazione della disciplina di tutela.

Non solo dunque nuove figure di lavoro tecnologico avrebbero potuto agevolmente essere ricondotte alla tipologia del lavoro subordinato, ma anche il ricorso all'utilizzo di modalità di collegamento informatico da parte di soggetti tradizionalmente ricondotti all'area dell'autonomia (si pensi all'agente di commercio) avrebbe dovuto indurre ad un ripensamento circa la qualificazione del loro rapporto.

Di fronte a tale prospettiva, si assiste però al ritrarsi dell'autore, il quale si vede costretto, per impedire tale effetto indesiderato, ad operare una singolare ed audace operazione di "inversione" del valore tradizionalmente attribuito ai citati indici dell' inserimento e della direzione/controllo.

Secondo questi "in realtà, "inserimento" e "controllo" non sono l'essenza della subordinazione: sono soltanto indici -pur normalmente assai rilevanti- della scelta negoziale operata dalle parti nel senso del tipo di rapporto subordinato piuttosto che di quello autonomo; ma sia l'elemento dell' "inserimento" che quello del "controllo" possono svolgere questo ruolo di indice della scelta negoziale operata dalle parti soltanto nella misura in cui essi si configurano come connotati eventuali di un'attività lavorativa, che potrebbe svolgersi in forma diversa (autonoma) pur conservando materialmente lo stesso oggetto. Laddove invece, come nel lavoro informatizzato, "inserimento" e "controllo" costituiscono connotati intrinseci ed ineliminabili dell'attività lavorativa, non può traersene con la stessa immediatezza argomento a favore della scelta negoziale nel senso della subordinazione".

Invece quindi di concludere il proprio ragionamento nel senso di affermare che l'innovazione tecnologica conduce ad un rafforzamento del vincolo della subordinazione, l'autore in oggetto compie una svolta di 180 gradi attraverso l'apodittica affermazione di un ruolo depotenziato degli indici in questione. Peraltro, per fare ciò, è costretto a porre in relazione i predetti indici con una non meglio precisata "scelta negoziale operata dalle parti" e non invece con il vincolo di subordinazione quale emerge dal concreto atteggiarsi del rapporto.

Questo salto logico consente all'autore, non soltanto di negare l'espansione della subordinazione, ma anche e soprattutto di introdurre quello che si tenterà di accreditare, da parte di una corrente dottrinale, come la "soluzione" al problema della qualificazione, vale a dire il nomen iuris, la qualificazione data formalmente dalle parti nel momento costitutivo del rapporto .

Emerge così, alla fine degli anni ottanta, una corrente "neo-formalista" (o "contrattualista"), che propone una concezione più restrittiva dell'art. 2094 cod. civ., ribadendo che elementi indefettibili della fattispecie sono, non solo l' "inserimento" nell'organizzazione aziendale, ma anche l' etero-direzione in senso tecnico-giuridico e la continuità della prestazione e soprattutto, rivalutando la volontà delle parti, il nomen iuris prescelto negli accordi contrattuali (ovvero la struttura del rapporto voluta dalle parti con il contratto) .

E' stato osservato che "si tratta in realtà di una vera e propria "svolta" nella storia del diritto del lavoro, che ha sempre guardato all'effettività e oggettività del rapporto piuttosto che alla "volontà contrattuale proprio in ragione del carattere inderogabile della normativa a tutela della subordinazione". Se gran parte della disciplina di questo istituto è sottratta alla disponibilità delle parti, il cui diverso intento deve soccombere alla voluntas legis per superiori ragioni di ordine pubblicistico (la protezione del lavoro di cui parlano le norme costituzionali), sarebbe in verità ben strano che le parti potessero addirittura disporre liberamente del "tipo" contrattuale, rendendo "autonomo" un rapporto che in realtà è a carattere subordinato" .

Questa sorta di "offensiva" neo-contrattualista di parte della dottrina sembra avere trovato, finora, solo un parzialissimo riscontro nella giurisprudenza che, pur avendo rivalutato l'elemento formale del nomen iuris contrattuale, come indice, tra gli altri, da prendere in considerazione per la qualificazione del rapporto, ha comunque precisato che esso può aver rilievo purché non si dimostri che, nei fatti, tale rapporto si è atteggiato diversamente da quanto concordato in via contrattuale .

La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha tuttavia negato legittimità alla prospettiva "neo-contrattualista" con la propria sentenza n. 115 del 1994. Con tale decisione, la Corte ha infatti ribadito il principio secondo il quale "non sarebbe comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l'inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, garanzie e ai diritti dettati dalla nostra Costituzione a tutela del lavoro subordinato". La Corte ha poi aggiunto che non sarebbe consentito neppure al legislatore di autorizzare le parti a escludere direttamente o indirettamente con la loro dichiarazione contrattuale, l'applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela di rapporti, che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro subordinato.

I principi, le garanzie e i diritti stabiliti dalla Costituzione in questa materia, secondo le conclusioni della Corte, sono e debbono essere sottratti alla disponibilità delle parti e quindi "allorquando il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento, eventualmente in contrasto con le pattuizioni stipulate e con il nomen iuris enunciato, siano quelli propri del lavoro subordinato, solo quest'ultima può essere la qualificazione da dare al rapporto".

Viene in sostanza ribadita la tradizionale impostazione dottrinaria e giurisprudenziale per la quale è lo svolgimento in concreto del rapporto, e non la sua qualificazione formale (e neppure la struttura contrattualmente "voluta" dalle parti), ad essere decisiva per l'inquadramento o meno del rapporto stesso nella categoria tutelata della subordinazione. In altre parole, "sul piano della politica del diritto la Corte ricorda che vi è un legame che non può essere superato tra un insieme di diritti, valori e princìpi costituzionali e il "rapporto economico sociale" conosciuto come "lavoro subordinato", legame che, per dirla con C. Mortati, attiene alla stessa "forma dello stato" ".

Anche gli autori che hanno apprezzato la posizione della Corte Costituzionale circa la sussistenza di solidi limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale, non hanno mancato tuttavia di rilevare che vi sia una sorta di "non detto" nella citata sentenza: se sia cioè ancora mantenibile l'attuale porta di ingresso al sistema delle garanzie o se sia necessario invece provvedere ad una sorta di manutenzione della nozione legale di lavoro subordinato che tenga conto del "problema tipicamente postindustriale della perdita di oggettività della figura socialtipica del lavoratore subordinato (che sarà sempre meno descrivibile come colui che è assunto per lavorare con vincolo di orario pieno, negli ambienti produttivi del datore di lavoro, alle dirette dipendenze di superiori gerarchici, soggetto a penetranti controlli e punito con sanzioni disciplinari se colto in fallo, retribuito a ora o mese, sindacalizzato e aduso a scioperare per tutelare i propri interessi ) " .

Nel contempo, proprio i principi e i valori costituzionali a protezione del lavoro, implicano oggi l'estensione, anche se non necessariamente totale, dei diritti fondamentali a situazioni nelle quali si concreta comunque un rapporto di "dipendenza esistenziale" tra chi utilizza in vario modo una prestazione lavorativa e chi la svolge.

Per affrontare questa problematica, senza percorrere però la "via di fuga" della prospettiva neo-contrattualista (con la conseguente disapplicazione delle tutele inderogabili), si iniziano a delineare nuove prospettive dottrinali, quale quella di chi ha proposto un "aggiornamento teorico della nozione di subordinazione (che sia) orientato alla riforma legislativa" .

L'aggiornamento della nozione di subordinazione, in prospettiva della riforma, si basa su alcune essenziali condizioni: "a) che il lavoro subordinato sia ricondotto a specie del lavoro senza aggettivi e che il lavoro senza aggettivi assuma la dimensione di un istituto economico sociale, nel quale si compendiano i fenomeni normativi riguardanti sia la famiglia dei contratti di lavoro accomunati dalla funzione di integrazione del lavoro nell'attività economica, sia il complesso delle protezioni specifiche della subordinazione; b) che il corpo normativo del diritto del lavoro, attualmente polarizzato unicamente attorno alla figura del lavoratore subordinato, venga disaggregato e attentamente riorganizzato in base ad una triplice polarità: le garanzie generali del lavoro come istituto; le regole comuni alla famiglia dei contratti di lavoro; le garanzie specifiche del rapporto di lavoro connotato dalla subordinazione " .

.5. Una rilettura dottrinale del dato normativo. La subordinazione "indifferente";

2.5. Una rilettura dottrinale del dato normativo. La subordinazione "indifferente". Una posizione dottrinale distinta da quelle finora richiamate è quella espressa da Lorenzo Gaeta e che viene definita dallo stesso autore, come teoria della subordinazione "indifferente" .

Il nucleo "centrale" della tesi espressa da Gaeta è che la nozione di subordinazione contenuta nella norma codicistica (art. 2094 cod. civ.) è nozione asettica ed amplissima in grado di poter "reggere l'impatto di almeno un altro secolo di storia giuridica, in aggiunta all'ultracinquantennale servizio già prestato finora". Ciò che sarebbe in crisi, allora, non è tanto la subordinazione in sé, o la nozione dell'art. 2094, ma soltanto una sua lettura, quella che, secondo l'autore, si deve far risalire all'operazione barassiana tesa ad accentrare fin dal primo momento ogni discorso intorno al lavoratore di fabbrica, con la conseguenza che "l'art. 2094 è stato sempre letto come rappresentativo del solo "prototipo" del lavoro dipendente, l'operaio massa" .

Al contrario, il legislatore del 1942 avrebbe descritto con l'art. 2094 "una situazione nella quale viene a trovarsi qualunque soggetto che abbia un collegamento con una struttura esterna di imputazione della prestazione, in modo da essere inserito organicamente (anche se non organisticamente) nel suo ciclo lavorativo. Tale nozione, allargata in questo modo anche per effetto della normativa sul lavoro "a distanza", rischia paradossalmente di ricomprendere al suo interno anche certi lavoratori autonomi, anche certi imprenditori (neanche sempre piccoli). Ecco perché l'art. 2094 è attrezzato a reggere potenzialmente ancora per tanto tempo: la "straordinaria abilità" del legislatore del 1942 sta nel non avere accolto una sola ideologia, ma tutte, costruendo quindi una norma comodamente "adattabile a contesti (politico-sociali) diversissimi " " .

La tesi merita qualche approfondimento.

In primo luogo, al pari della posizione di Ichino, essa svela la sostanziale adattabilità della norma codicistica a contesti tecnologici ed organizzativi mutati rispetto a quello in cui era stata originariamente elaborata. A differenza di questi, però, non si tentano di percorrere "vie di fuga" in senso neo-contrattualista o formalista, ma la nozione ampia di subordinazione espressa dall'art. 2094 viene, per così dire, accettata.

In secondo luogo, non si tacciono le conseguenze derivanti dall'applicazione di tale nozione ampia di subordinazione. Tali conseguenze vengono riassunte da questi nell'espressione subordinazione "indifferente", secondo cui appunto la nozione di subordinazione verrebbe a perdere di vista -ad essere cioè "indifferente"- la funzione di regolare l'accesso al sistema delle tutele tipica della fattispecie . A differenza di altri autori, la soluzione non viene però ricercata sul piano della ridefinizione della fattispecie (destinata invece a perdurare) quanto invece su quello della rottura dell'unitarietà degli effetti, per cui l' inserzione nella "casella" della subordinazione attualmente comporta l'applicazione dell'insieme dell'apparato normativo di tutela, mentre alla "non" inserzione corrisponde un grado "zero" di tutela.

La "ridislocazione" delle tutele dovrebbe attuarsi attraverso "un sapiente mix di legge e contratto collettivo, in modo da riprodurre le linee di un nuovo "diritto sociale", fondato sul superamento di asfissianti "teorie generali", su approcci caso per caso, sulla proliferazione di interventi normativi volti a selezionare e disciplinare le fattispecie realmente "bisognose" di tutela, sull'applicazione di standard protettivi graduati" .

In terzo luogo, sul piano di ricostruzione del dato normativo, occorre sottolineare che l'autore perviene alla tesi citata, attraverso l'approfondita analisi della fattispecie del "lavoro a distanza", di cui il telelavoro costituisce la variante tecnologica. In particolare, l'autore opera un raffronto tra la fattispecie "particolare" e quella "generale" di subordinazione al fine di verificarne compatibilità e reali "specialità" .

La conclusione cui perviene l'autore è quella che, sovrapponendo i dati normativi dell' art. 2094 cod. civ. e l'art. 1 della legge 877/73 sul c.d. lavoro a domicilio, tra le due (apparenti) figure di subordinazione ne residui, in realtà, soltanto una, quella appunto "generale" ex art. 2094, per niente scalfita dall'art. 1 della legge sul lavoro a distanza. Per giungere a tale conclusione, vengono rivisitati tutti gli elementi normativi contenuti nell'art. 2094 e ne viene testata, per così dire, l'efficacia discretiva.

Con riferimento all'elemento della onerosità della prestazione, si osserva che essa è "circostanza comune a tutti i rapporti che hanno per oggetto una prestazione di lavoro a favore di un terzo" .

La collaborazione viene considerata elemento tale da non provocare sconvolgimenti ove venga "trapiantata" nelle strutture normative del lavoro a distanza. Ciò sia che venga considerata residuo di opzioni ideologiche latamente corporative o comunque una vuota descrizione del rapporto di lavoro dipendente, sia che venga considerata invece, nel tentativo di darvi un senso, come mera specificazione del dovere generale di buona fede nell'esecuzione dei contratti (assumendo così una connotazione tecnica, estranea alle finalità produttive dell'impresa, con il solo obbligo -ordinario- di eseguire l'obbligazione lavorativa con la diligenza richiesta) .

Quanto all'elemento dell' inserimento nell'impresa, la posizione dell'autore è quella secondo cui "lavoro "nell'impresa" non può significare altro che lavoro prestato a favore di un'organizzazione produttiva definibile come tale, prestazione inserita nelle sue strutture organizzative. Perciò il lavoro a distanza non è, sulla base di questo inciso, escludibile dal novero dei rapporti di lavoro subordinato .... d'altronde il riferimento generico -come destinatario della prestazione a distanza- al "committente" non può certo dirsi soddisfacente, potendo anche stare ad indicare "la massa indifferenziata" dei "consumatori". Il legame, allora, non è tanto con l'ambigua nozione di "azienda" -troppo allusiva ad un' organizzazione "interna"- quanto forse con quella, più comprensiva, di "unità produttiva". .... (anzi) pare preferibile usare un termine ancora più neutro per indicare il legame tra la prestazione "esterna" ed un soggetto -individuale o collettivo- che sia capace di riceverla e "organizzarla" in senso produttivo ... : un "datore di lavoro", o -meglio ancora- un "centro di imputazione dell'attività produttiva". A questo punto, la stessa "esternità" topografica della prestazione, indicata ... come un connotato della fattispecie del lavoro a distanza, vede delineare sempre più nettamente il suo carattere di semplice elemento descrittivo, dotato di scarsissima selettività " .

Nella costruzione della nozione ampia di subordinazione, un ruolo centrale viene svolto dal dato normativo della dipendenza dall'imprenditore, in quanto l'autore offre qui una rilettura di grande spessore del concetto di alienità, non sottraendosi a suggestioni di natura comparatistica (in particolare la comparazione viene svolta con riferimento alle esperienze spagnola e tedesca). Il contenuto dell'alienità è, in sintesi, quello della alienità nel mercato, formula con la quale si identifica una situazione di disconnessione giuridica fra i lavoratori e il destinatario finale del prodotto (bene o servizio) del suo lavoro. Il rapporto lavorativo subordinato nasce, in sostanza, ogni volta che tra il soggetto ed il cliente si interpone un terzo che realizza un plusvalore. Tale nozione, che consente di operare una discriminazione rispetto ai rapporti non subordinati (contratto d'opera), viene ritenuta ampia ed onnicomprensiva, al punto di inglobare ogni altro indice di manifestazione della dipendenza (potere direttivo e così via) e della alienità (assenza di rischio, di risultati, di organizzazione). Peraltro, qualora la dipendenza fosse letta, in termini tradizionali, quale mero elemento complementare rispetto alla direzione, designando appunto la situazione giuridica di soggezione del lavoratore al potere direttivo del datore (il c.d. profilo statico del vincolo di subordinazione), nessun ostacolo sarebbe opposto dalla nozione legislativa di lavoro a distanza, che pare imperniata proprio su di una sorte di "enfatizzazione" del potere direttivo rispetto agli altri elementi della subordinazione.

Con riferimento, infine, al dato della direzione dell'imprenditore, viene affermato che "non pare avere fondamento l'opinione che vuole vedere nel lavoro a distanza la sussistenza di un potere direttivo "diminuito" o adeguato alle "particolarità" della prestazione".

La tesi dottrinale citata si articola, in conclusione, sui seguenti punti fermi:

a) la perfetta sovrapponibilità delle nozioni di lavoro subordinato interno e di lavoro a distanza (sussistenza di una nozione unitaria di subordinazione);

b) l'esistenza di una fattispecie ampia ed elastica di subordinazione, potendosi ravvisare il rapporto di subordinazione ogniqualvolta un soggetto -al limite dotato anche di una propria organizzazione- presti la propria attività in collegamento con una struttura esterna di imputazione della prestazione (nel cui ciclo produttivo è dunque organicamente inserito), in situazione di alienità nel mercato (nel senso che il bene o servizio prodotto dalla prestazione sarà collocato nel mercato dal titolare della struttura di imputazione della prestazione).

 

 

 

. Le varianti legali delle categorie codicistiche del lavoro;

3. Le varianti legali delle categorie codicistiche del lavoro. L'analisi svolta nel paragrafo precedente si è incentrata sulle due categorie fondamentali del nostro ordinamento entro cui vengono giuridicamente inquadrate le forme sociali di prestazione dell'attività lavorativa a favore di un soggetto economico terzo (datore di lavoro o committente): il lavoro subordinato ed il lavoro autonomo.

Prima di svolgere il tema specifico della qualificazione del telelavoro, è utile trattare brevemente i contenuti di due interventi legislativi, che hanno introdotto dei sotto-tipi legali, delle varianti delle due categorie fondamentali.

Si tratta, da un lato, del lavoro a domicilio, così come definito dall'art. 1 della legge 18/12/73, n. 877, considerato come variante del lavoro subordinato , e, dall'altro, del lavoro coordinato e continuativo (c.d. lavoro parasubordinato), di cui all' art. 409, n. 3, c.p.c., variante del lavoro autonomo nella forma del contratto d'opera.

 

.1. Il lavoro a domicilio secondo la legge n. 877 del 1973;

3.1. Il lavoro a domicilio secondo la legge n. 877 del 1973. Secondo l'art. 1, legge 877/73 "è lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locali di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie e dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi.

La subordinazione, agli effetti della presente legge e in deroga a quanto stabilito dall'art. 2094 del cod. civ., ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nell'esecuzione parziale, nel completamento o nell'intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell'imprenditore committente.

Non è lavoratore a domicilio e deve a tutti gli effetti considerarsi dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato chiunque esegue, nelle condizioni di cui ai commi precedenti, lavori in locali di pertinenza dello stesso imprenditore, anche se per l'uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in esso esistenti corrisponde al datore di lavoro un compenso di qualsiasi natura".

Il dato normativo consente di individuare alcuni elementi della fattispecie del lavoro a distanza, che vale la pena di sottolineare.

Innanzitutto, è bene osservare che non vi è alcun dato normativo che limiti l'ambito di applicazione della disciplina all'ipotesi di svolgimento di attività di tipo manifatturiero, anche se storicamente l'introduzione della norma di tutela ha coinciso con il verificarsi di fenomeni di decentramento produttivo di attività industriali. In questo senso, l'assenza di tali limitazioni consente di affermare che la normativa in oggetto trova applicazione a fronte di tutte le ipotesi socio-economiche tipiche del lavoro a distanza: dal lavoro a domicilio "tradizionale" (di tipo artigianale) al lavoro "decentrato" (di tipo industriale) al lavoro a distanza "elettronico" (quale il telelavoro esterno) .

In secondo luogo, il dato normativo ammette l'eventualità che il lavoratore a domicilio si avvalga dell'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma esclude il ricorso a manodopera salariata e ad apprendisti. Nel contempo, la norma consente il ricorso del lavoratore a domicilio anche a "materie prime o accessorie e attrezzature proprie", oltre che dell'imprenditore committente (l'utilizzo della particella congiuntiva "e" invece della disgiuntiva "o" appartiene all'insieme di errori materiali di cui il testo di legge è costellato) . In sostanza, la fattispecie normativa del lavoro a distanza ammette la sussistenza dell'elemento dell'organizzazione di mezzi in capo al prestatore ed esclude l'elemento dell'organizzazione di persone, salvo l'eccezione ausiliaria del lavoro dei familiari.

In terzo luogo, il secondo comma definisce la subordinazione, ai fini della legge e in deroga a quanto stabilito dall'art. 2094 c.c., come ricorrente quando il lavoratore a domicilio sia tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da compiere.

Si è parlato, al proposito, di subordinazione "derogatoria" da parte della dottrina e della giurisprudenza che hanno sostenuto la tesi di una subordinazione del lavoro a domicilio disaggregata rispetto al modello generale della subordinazione "interna".

Si è parlato altresì di subordinazione "tecnica" (e non "giuridica") del lavoratore a domicilio, secondo la tesi di chi ritiene che, pur in assenza di deroga, non vi sarebbe una piena equiparazione qualitativa del lavoratore a domicilio rispetto alla subordinazione "ordinaria". Secondo questa posizione il legislatore avrebbe "inteso configurare la subordinazione tipica del lavoratore a domicilio come una specifica ipotesi di subordinazione tecnico-funzionale". In particolare, si è ritenuto che il legislatore del 1973 abbia affermato una sorta di potere direttivo attenuato e ridotto nell'ambito del lavoro a domicilio, nel senso che sarebbero esclusi tutti gli aspetti non inerenti alle direttive relative alle modalità di esecuzione, alle caratteristiche e ai requisiti del lavoro da svolgere.

La tesi viene criticata da chi sostiene, al contrario, che il potere direttivo nella legge sul lavoro a distanza non presenta alcuna particolarità, in quanto il legislatore del 1973 non avrebbe fatto altro che riprodurre, con la locuzione di cui all'art. 1, comma secondo, i criteri generali di cui all'art. 2104, secondo comma, cod. civ. ("osservare le disposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore"). In questa prospettiva il lavoro a distanza fornirebbe una conferma alla tesi che legge l'etero-direzione come inverata in un obbligo continuativo di obbedienza, giuridicamente sempre presente, anche se in concreto mancante o attenuato, correlato alla posizione del datore di lavoro di poter astrattamente interferire in qualsiasi momento sulle modalità di svolgimento della prestazione .

Si osservi poi che il lavoro a distanza "tecnologico" o "informatizzato" (il telelavoro) muta radicalmente le connotazioni dell'elemento complementare al potere astratto di direzione, e cioè le connotazioni del potere di controllo. Se, infatti, un potere di controllo sussiste sempre, nel senso di verifica successiva dell'esatto adempimento, le cose cambiano "dopo" l'innovazione tecnologica che consente, in particolare nelle forme di tipo "interattivo", la registrazione dei dati relativi all'efficienza e all'assiduità del lavoro, così da implicare una trasparenza quasi completa dell'attività di lavoro .

In quarto luogo, il dato normativo non contiene alcun riferimento alla continuità come elemento identificativo della fattispecie, così che si è potuto concludere circa l'infondatezza della tesi di chi ritiene qualificabile come autonomo il lavoro a distanza occasionale, in quanto appunto carente di tale requisito. Infatti è stato osservato che la prestazione "occasionale" o "episodica" non coincide necessariamente con una prestazione "istantanea", potendo tranquillamente soddisfare un interesse durevole del committente.

Con riferimento agli effetti derivanti dalla qualificazione della fattispecie come subordinata a domicilio, occorrerà distinguere tra la posizione di chi accede alla tesi della subordinazione derogatoria e di chi viceversa nega la sussistenza di un rapporto di species a genus tra le due ipotesi.

Nel primo caso, si dovrebbe ritenere applicabile, oltre alle norme speciali della stessa legge 877/73, anche la normativa generale di tutela, ma solo in quanto compatibile con la specialità del rapporto. La tesi derogatoria comporta, infatti, la vigenza dell' art. 2128 cod. civ., secondo cui "ai prestatori di lavoro a domicilio si applicano le disposizioni di questa sezione, in quanto compatibili con la specialità del rapporto".

Nel secondo caso, i sostenitori della "subordinazione unitaria" dovrebbero ritenere implicitamente abrogato il citato art. 2128, con conseguente applicazione dell'intera disciplina inderogabile.

 

.2. Il cosiddetto lavoro parasubordinato;

3.2. Il cosiddetto lavoro parasubordinato. Secondo l'art. 409, n. 3, c.p.c., le norme del processo del lavoro (novellato dalla legge 533/73) si applicano anche "ai rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato".

Questa norma processuale introduce dunque nel nostro ordinamento un sotto-tipo del lavoro autonomo, il c.d. lavoro parasubordinato.

La norma come si vede ha una scarsissima efficacia discretiva, limitandosi ad indicare una triade di requisiti (la continuatività, il coordinamento e la prevalente personalità) e lasciando all'interprete il compito di riempirli di contenuti. Peraltro, nonostante i molteplici sforzi dottrinali e giurisprudenziali, non è dato di capire l'estensione di tale sotto-categoria, che perlopiù non viene comunque ritenuta molto vasta.

Sul piano delle tutele, inoltre, le norme applicabili ai rapporti parasubordinati sono assai scarse e si limitano, in sostanza, oltre all'applicazione delle norme del processo del lavoro ed all'invalidità delle rinunzie e transazioni (art. 2113 cod. civ.), alla previsione della ritenuta previdenziale del 10% introdotta con la riforma del 1995. La giurisprudenza è invece ferma nel negare l'applicabilità dell'art. 36 della Costituzione al lavoro parasubordinato, sia con riferimento al primo comma sulla sufficienza della retribuzione, sia con riferimento agli altri due commi sulla durata massima dell'orario di lavoro, sul riposo settimanale e le ferie.