Home    Lista RSU    Guida Sindacale    Accordi Importanti    Indici Tematici    Storico    Contattaci    Iscriviti    Sindacati    Ricerca

CAPITOLO TERZO

LA QUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO DI TELELAVORO

 

. La liceità del telelavoro.;

1. La liceità del telelavoro. L'assenza di una definizione legislativa di telelavoro, imporrebbe, almeno in astratto, di far precedere la trattazione della qualificazione giuridica del telelavoro da una preliminare trattazione, quella concernente la liceità o meno del ricorso a forme di telelavoro.

Nel concreto, il preventivo test di legalità del fenomeno appare superfluo e la stessa autorevole dottrina che si è posta la questione, ha risolto agevolmente il punto, affermando che "a differenza di altri fenomeni generati dall'innovazione tecnologica o organizzativa, come il lavoro interinale o l'appalto di servizi informatici, non è riscontrabile un parametro ricavabile dall'ordinamento contenente un giudizio di disvalore (illecito) su tale fenomeno. Il fatto che il telelavoro non sia previsto o regolato dalla legge non significa che dall'ordinamento derivi un giudizio di disvalore " .

La questione dell'ammissibilità giuridica del telelavoro (perlomeno nella variante del c.d. telelavoro on line o interattivo) viene affrontata anche da altra dottrina, con riferimento al divieto di controllo a distanza ex art. 4 della legge 300/70 ed in considerazione dell'intrinseca attitudine delle tecnologie informatiche a realizzare tale controllo "subdolo" . Questo tema tuttavia si riferisce al solo telelavoratore subordinato e quindi non va considerato come preliminare a quello della qualificazione del rapporto, ma presuppone che quest'ultimo sia già stato affrontato e risolto. Ciò sull'evidente presupposto che l'art. 4, legge 300/70 trovi applicazione esclusiva alla fattispecie del lavoro subordinato .

 

 

. Le alternative qualificatorie del rapporto di telelavoro.;

2. Le alternative qualificatorie del rapporto di telelavoro.

Secondo un autorevole dottrina, "alla luce del nostro diritto positivo sono possibili almeno cinque qualificazioni giuridiche del telelavoro: tre riguardano l'area del lavoro indipendente-autonomo e due quella del lavoro subordinato" .

Si noterà che questo approccio si discosta consapevolmente dal quadro fornito dallo stesso autore nel suo precedente lavoro , nel quale approdava -come già illustrato- ad una nozione unitaria ed ampia di subordinazione, tale da ricomprendere nel proprio ambito qualsiasi tipo di attività lavorativa, ivi compreso il lavoro tecnologico a distanza .

Le cinque qualificazioni giuridiche del telelavoro sono quindi astrattamente le seguenti:

imprenditore ;

lavoratore autonomo ;

• c.d. lavoratore parasubordinato ;

lavoratore a domicilio ;

lavoratore subordinato in senso proprio.

Saranno esaminate separatamente, con particolare riferimento ai criteri discretivi tra l'una e l'altra categoria.

.1. Imprenditore;

2.1. Imprenditore. La teleprestazione potrà essere qualificata come vera e propria attività imprenditoriale (ai sensi dell'art. 2082 cod. civ.) quando venga effettuata da un singolo o da un gruppo che si avvale dell'apporto di una vera e propria auto-organizzazione di attrezzature e mezzi e/o di altri soggetti dipendenti, organizzazione che risulti assolutamente prevalente rispetto al proprio lavoro individuale.

In questa categoria, dovrebbero ricadere quasi tutte le ipotesi "associate" di telelavoro, se connotate da una reale autonomia gestionale. Tra le sotto-categorie descritte nel primo capitolo, vi potrebbero rientrare i sistemi distribuiti e i centri di telelavoro. Non mi pare condivisibile, invece, la posizione di chi vi farebbe rientrare persino i centri-satellite, ove strutturati in maniera quanto più autonoma dall'impresa-madre .

Per evitare il rischio che tale categoria si riveli un terreno fertile di sottotutele, nel caso in cui il telelavoratore imprenditore sia legato da un forte od esclusivo rapporto di dipendenza economica con l'impresa committente, occorre effettuare un duplice test.

Il primo test avrà ad oggetto la verifica della reale prevalenza, nel caso concreto, dell'apporto "organizzativo" rispetto all' apporto "personale", con il conseguente degradare della fattispecie a telelavoro autonomo nel caso di suo esito negativo.

Il secondo test dovrà acclarare che l' "auto-organizzazione", caratteristica del lavoro imprenditoriale, non occulti in realtà una "etero-organizzazione", tipica invece del lavoro subordinato (con conseguente degradare della fattispecie e applicazione della normativa inderogabile di tutela).

Nell'ambito di questo secondo test (volto ad evidenziare i reali rapporti di dipendenza), potranno venire utili le disposizioni della legge 23/10/60, n. 1369, in materia di intermediazione vietata, ed in particolare la presunzione legale ex art. 1, terzo comma, qualora la fornitura dei video-terminali e delle altre apparecchiature informatiche provenisse dall'impresa - madre. Tale circostanza, peraltro facilmente eludibile, dovrebbe poi essere corroborata con l'ulteriore indagine relativa alla prevalenza dei macchinari forniti dall'appaltante rispetto ad elementi quali il software ed il know-how eventualmente in possesso dell'appaltatore, il tutto secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali sugli appalti informatici .

 

.2. Lavoratore autonomo;

2.2. Lavoratore autonomo. La seconda categoria è quella del lavoratore autonomo o della piccola impresa (rispettivamente ex artt. 2222 e 2083 cod.civ.).

L'elemento discriminante rispetto all'ipotesi precedente è costituito dalla prevalente personalità della prestazione.

Questo schema potrebbe dunque riferirsi al caso del telelavoratore che si serva solo in via ausiliaria, e cioè in misura non prevalente rispetto all'apporto del proprio lavoro, di manodopera esterna e/o di attrezzature lavorative.

Si osservi che quasi tutte (ma non certo il "centro satellite"), le tipologie di telelavoro descritte nel primo capitolo potrebbero essere collocate in questa "casella". Sarebbe, al proposito, sufficiente che il "committente" provvedesse ad affidare la teleprestazione a soggetti già in possesso delle necessarie apparecchiature informatiche.

Ciò detto, ai fini dell'esatta qualificazione del caso concreto, occorrerà effettuare anche in questa ipotesi un duplice test.

Sotto un primo profilo, si tratterà infatti di verificare l'effettiva prevalenza del lavoro personale rispetto all'apporto della strumentazione informatica di proprietà, perché ove così non fosse la fattispecie dovrebbe essere inquadrata nella categoria superiore (quella del teleimprenditore).

Sotto un secondo profilo, si tratterà di verificare che la fattispecie "lavoro autonomo" non celi, in effetti, una situazione di sostanziale sottoposizione alle direttive e alle strategie dell' impresa committente, cosicché, ai fini di un corretto procedimento di qualificazione, si rende necessario verificare puntualmente l'eventuale sussistenza dei requisiti tipici del lavoro subordinato .

Il criterio discretivo è quello dell'organizzazione, che qualora fosse genuina, impedirebbe di ricondurre la fattispecie al lavoro subordinato in senso stretto. Si potrebbe però verificare il caso di un inquadramento nell'ipotesi del lavoro subordinato a domicilio, in quanto -come detto- la sua nozione giurisprudenziale consente una auto-organizzazione di mezzi e attrezzature.

Nel caso poi in cui si fosse in presenza, oltre che di una certa organizzazione di mezzi, di un "gruppo" di telelavoratori, si potrebbero ipotizzare varie tecniche, tutte funzionali ad introdurre qualche elemento di tutela per i debitori della teleprestazione.

Una prima possibilità potrebbe essere quella di ritenere soltanto uno degli "associati" quale lavoratore subordinato a domicilio, qualora si dimostrasse del tutto accessoria ed irrilevante giuridicamente la prestazione degli altri "associati". Questa ipotesi ovviamente sarebbe pacificamente praticabile nel caso in cui gli ausiliarii fossero familiari, in considerazione dello stesso dettato normativo sul lavoro a domicilio.

Va peraltro aggiunto che, qualora l'apporto lavorativo degli "associati" (familiari o meno) non fosse meramente accessorio, potrebbe persino darsi luogo alla figura della intermediazione vietata, con la conseguenza che sia l' intermediario che gli altri associati dovrebbero essere considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'impresa committente. Secondo l'art. 2, comma quarto, della legge 877/73, infatti, "è fatto divieto ai committenti di lavoro a domicilio di valersi dell'opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali, unitamente alle persone alle quali hanno commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e nell'interesse del quale hanno svolto la loro attività".

Altre tecniche anti-elusive vengono suggerite poi da autorevole dottrina sulla base di (isolate) sentenze rese in caso di lavoro a domicilio tradizionale e sulla base di altre suggestioni dottrinali.

.3. Lavoratore parasubordinato;

2.3. Lavoratore parasubordinato. Un'alternativa potrebbe invece essere quella di ricondurre il caso alla fattispecie del lavoro c.d. parasubordinato, al fine di consentire l'applicazione della (limitatissima) disciplina di tutela prevista per questa "ambigua" categoria.

Rientrerebbero in questa categoria, i soli casi di telelavoratori che prestino la propria opera continuativamente collegati con un committente e che risultino dotati di una certa organizzazione, oltre che di mezzi, anche di manodopera non familiare, comunque non prevalente rispetto all'apporto del proprio lavoro personale .

 

.4. Lavoratore a domicilio;

2.4. Lavoratore a domicilio. La fattispecie si differenzia dal telelavoro autonomo, in considerazione dell'assoluta impossibilità per il telelavoratore a domicilio di avvalersi di manodopera non familiare, nonché per la sua minore esposizione "sul mercato" .

Quanto alle differenze con il telelavoro subordinato in senso stretto, esse potrebbero apprezzarsi sotto due profili.

Il primo, di tipo quantitativo, relativo cioè al dimensionamento organizzativo del telelavoro, riguarda la circostanza che l'inquadramento nella categoria del lavoro a domicilio consente il possesso di mezzi, attrezzature e strumenti lavorativi (di non preponderante entità) e consente altresì l'aiuto accessorio dei familiari del lavoratore, riconoscendo quindi quella minima auto-organizzazione, che il rigido personalismo tipico del lavoro subordinato in senso stretto non potrebbe ammettere.

Il secondo profilo, di tipo qualitativo, relativo cioè alle modalità concrete di effettuazione della teleprestazione, riguarderebbe l'assenza, nel lavoro a domicilio, di un controllo datoriale continuo e diretto che non sia meramente iniziale (le "direttive") e successivo (verifica della rispondenza del "prodotto" alle istruzioni). Se così fosse, la categoria del lavoro a domicilio si attaglierebbe alle ipotesi di telelavoro individuale non interattivo (il c.d. telelavoro off line). Questa conclusione è quella cui è approdata quella parte della dottrina che ritiene che, quando nel telelavoro non sussiste un coordinamento spazio-temporale della prestazione (e cioè quando manchi il collegamento "in tempo reale" che costituirebbe l'elemento discretivo del lavoro subordinato in quanto tale), potrebbe comunque avvenire l'inquadramento nella fattispecie del lavoro a domicilio.

Peraltro alcuni dati normativi sembrerebbero porre qualche ulteriore problema all'inquadramento del telelavoro nella fattispecie del lavoro subordinato a domicilio.

E' stato osservato che l'art. 10 della legge n. 877/73 richiede la compilazione di un libretto di controllo dai contenuti molto specifici, ma, aldilà del fatto che tale norma non riguarda tanto la definizione normativa della fattispecie quanto piuttosto gli effetti disciplinari che ne derivano, non pare esservi incompatibilità assoluta tra questa richiesta e l'ipotesi di telelavoro, fermo restando che le minuziose informazioni di controllo ben potranno essere contenute, non tanto nel libretto, quanto nello stesso software su cui il telelavoratore opera.

Maggiori problemi sono posti dal luogo della prestazione, che la legge identifica in un "locale" di cui il lavoratore abbia la disponibilità.

Ora, fermo restando che la fornitura del locale, a qualunque titolo, da parte del datore di lavoro, trasformerà sempre il rapporto automaticamente in subordinato "ordinario", l'interpretazione rigorosa del requisito topografico comporterebbe l'esclusione dalla fattispecie del telelavoro "mobile", che ovviamente non richiede il necessario svolgimento della prestazione in un luogo fisso, utilizzando per la stessa un personal computer portatile.

Con il che potrebbero aprirsi "vie di fuga" verso la disapplicazione di qualsivoglia normativa di tutela nell'ipotesi in cui il caso non fosse altrimenti riconducibile alla subordinazione tout court.

Inoltre, si potrebbe giungere "all'assurdo che una prestazione assolutamente identica sarebbe giuridicamente qualificata in modo diverso a seconda delle dimensioni fisiche dello strumento di lavoro".

Si imporrebbe, a questo punto, una lettura più aperta del dato normativo, puntata sulla sufficienza del richiamo alla estraneità del datore rispetto al luogo della prestazione, così da evitare simili distorsioni .

Questa lettura "aperta" è stata di recente criticata, da chi ha affermato che "giungere a considerare connotato tipico della prestazione domiciliare l' "estraneità" del datore di lavoro dal suo luogo di svolgimento, sembra, de jure condito, un'operazione non suffragata dal dato testuale, estranea all'intenzione del legislatore, sicuramente ignaro all'epoca delle potenzialità offerte dall'elettronica, e inevitabilmente destinata a dilatare eccessivamente la nozione legale di lavoro a distanza. Inoltre i rischi di discriminazione paventati devono essere ridimensionati potendosi comunque considerare come pur sempre prevalentemente svolte in un luogo fisicamente circoscritto (casa, ufficio satellite, centro di lavoro comunitario) quelle attività telelavorative la cui esecuzione è scomposta in più momenti solo alcuni dei quali richiedono l'assoluta mobilità del telelavoratore e comportano la completa destrutturazione occasionale del luogo di lavoro".

Si dovrebbe allora concludere che "... la nozione legale di lavoro a domicilio ... (è) realmente costruita su connotati che ... si mostrano di un'ampiezza tale da tollerare la sua estensione, almeno sotto un profilo descrittivo, ad alcune delle più diffuse nuove forme "elettroniche" di lavoro a distanza. La lettura aggiornata dei tratti descrittivi della fattispecie legale del lavoro a domicilio infatti se, da un lato, ha consentito di ricomprendervi anche le moderne forme di lavoro a distanza non necessariamente finalizzate ad una produzione materiale di carattere propriamente industriale e, al contempo, dotate di una certa organizzazione di mezzi e (con maggiori cautele) di manodopera, la stessa operazione, d'altro canto, non ci ha permesso di ricomporre nella nozione legale quelle figure di telelavoro caratterizzate dall'estrema mobilità del telelavoratore ("telelavoro mobile") ovvero, dal punto di vista organizzativo, dal fatto di essere svolte in locali nella disponibilità o di pertinenza dell'imprenditore ( .... "centri di lavoro satellite" ... "centri di lavoro comunitari"....). Pertanto non tutto il telelavoro, ...., può essere considerato espressione ammodernata del lavoro a distanza secondo la nozione legale di tale fenomeno offertaci dal legislatore del ' 73: di fronte ad una fattispecie legale del lavoro a distanza onnicomprensiva e unitaria sembra così spezzarsi ogni pretesa descrittiva omogeneizzante del telelavoro, in quanto solo le prestazioni telelavorative organizzate secondo i tratti (aggiornati) delineati nell'art. 1, 1° e 3° comma della legge 877/73 potranno essere inquadrati nella nozione legale unitaria di lavoro a distanza, non residuando, per le altre, che una loro descrizione nei termini di (tele)lavoro "interno", ancorché decentrato ".

La legge 877/73 contiene poi due disposizioni che possono consentire di garantire la tutela della disciplina del lavoro subordinato "ordinario", nei casi di "decentramento telematico".

Tali regole sono quelle previste dai commi 2° e 3° dell'art. 2, legge citata, che prevedono il divieto del ricorso al lavoro a domicilio per le aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione seguiti da licenziamenti o sospensioni dal lavoro e nei casi di cessione di macchinari e di attrezzature con l'intento di proseguire fuori dall'azienda delle attività "interne" .

L'interpretazione della norma sembrerebbe dunque consentire il decentramento nel domicilio "informatico" nel domicilio del telelavoratore, purché questo venga ad assumere (rectius conservi) la qualificazione di lavoratore subordinato in senso stretto .

 

.5. Lavoratore subordinato in senso proprio;

2.5. Lavoratore subordinato in senso proprio. La categoria del telelavoratore subordinato in senso proprio, alla luce delle considerazioni appena svolte con riferimento alle altre possibili classificazioni astratte, potrebbe subire dunque un processo di ampliamento, processo che sarebbe, in questo caso, non tanto l'esito derivante dall'accoglimento di una nozione ampia ed "indifferente" di subordinazione, quanto delle conseguenze derivanti dall'applicazione di tecniche funzionali ad evitare l'utilizzo in chiave derogatoria degli altri tipi (o sotto-tipi) legali.

In altre parole, ogni volta che venisse accertata la sussistenza di una simulazione o di un intento fraudolento o comunque venisse accertato l'effettivo atteggiarsi del rapporto, il caso in esame dovrebbe essere inquadrato nella categoria della subordinazione.

D'altro canto, la categoria potrebbe in concreto essere soggetta ad un processo contrario ed opposto, diciamo così, di "svuotamento" o di riduzione, qualora l'interprete dovesse accedere ad una nozione ristretta e rigorosa di subordinazione. Ciò si verificherebbe, in particolare, nel caso in cui il requisito dell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo dell'imprenditore venisse inteso nel significato più rigoroso .

Al proposito, mette conto segnalare, tra le ipotesi che cercano di conciliare la rigorosa ricerca dell'etero-direzione con il carattere della teleprestazione, la tesi di chi ritiene che "il potere direttivo del creditore che assume rilievo ai fini della qualificazione della prestazione può essere individuato in linea generale, e salve le particolarità dei singoli casi -quando la prestazione abbia per oggetto essenzialmente il trattamento informatico dei dati-, nella facoltà contrattualmente riservata al creditore stesso di scegliere e sostituire unilateralmente in qualsiasi momento il programma operativo specifico (c.d. software applicativo) " .

E' evidente, da un lato, l'evanescenza di un simile criterio discretivo, e, dall'altro, il rischio di facili elusioni della normativa di tutela, specie nel momento in cui la sussistenza di tale facoltà viene richiesta e verificata al momento della stipulazione del contratto.

D'altro canto, come più volte ripetuto, il telelavoro (ed in generale la tecnologia informatica) enfatizza le potenzialità del controllo della prestazione, elemento che costituisce componente essenziale dell'assoggettamento del lavoro subordinato. Pertanto, la ricerca dell'adeguamento della nozione di subordinazione alle modalità del lavoro a distanza "elettronico", dovrebbe essere spinta proprio su questo terreno .

In ogni caso, l'approccio più proficuo sembra quello che valorizza gli indici giurisprudenziali del "secondo tipo", ed, in particolare, il "criterio dell'integrazione del lavoro prestato nel ciclo produttivo organizzato dall'imprenditore", criterio che valorizza, in senso funzionale, l'elemento tecnologico del modello strutturale di telelavoro qui proposto.

Per la tesi del telelavoro come lavoro subordinato, allora, può essere proficua la rilettura dell'eterodirezione nei termini di "vincolo funzionale intercorrente tra prestazione lavorativa e risultato atteso dal creditore, indipendentemente dalla presenza di quella "discrezionalità tecnica" consistente nell'uso variabile della tecnologia (un programma piuttosto che un altro)". Secondo l'attenta dottrina qui considerata, infatti, "sarebbe sbagliata ai fini della determinazione (dell'assoggettamento del telelavoratore a domicilio al potere direttivo dell'imprenditore) tradurre il vincolo di subordinazione in mero vincolo tecnologico. La variabilità del software applicativo è un dato strutturale permanente delle nuove tecnologie quindi del sostrato della prestazione, ma è di per sé inidoneo a fornire indicazioni all'individuazione del potere direttivo ... la totale assenza di autonomia nell'esecuzione della prestazione è strutturalmente impossibile. La tecnologia a distanza consente autonomia della prestazione, pur nel vincolo della subordinazione, in quanto la prestazione non può essere resa senza una destinazione all'organizzazione produttiva complessiva entro cui essa è inserita".

Inoltre, "anche l'altro elemento su cui si basa la sussistenza della subordinazione, cioè la dipendenza è ugualmente presente, ove si consideri che il telelavoratore a domicilio è inserito, almeno funzionalmente, nell'organizzazione produttiva da altri predisposta.

L'esistenza del vincolo di subordinazione apparirà più fondato ove si valorizzi il criterio dell'inerenza della prestazione all'organizzazione produttiva dell'impresa. E' questo un criterio più ampio della mera identità merceologica dell'oggetto della prestazione, valorizzato dalla legge sul lavoro a domicilio. Tale criterio consente di distinguere l'acquisto sul mercato di prodotti informatici realizzati da lavoratori autonomi dallo svolgimento di attività destinate al funzionamento dell'organizzazione di impresa. Il dato della connessione diventa così forma della dipendenza intesa come inveramento di un oggettivo legame organizzativo" .

Nel contempo, la dottrina in esame esclude la riconducibilità del telelavoro a domicilio all'ambito applicativo della legge 877/73. Anzi "il telelavoro a domicilio è lavoro nell'impresa, essendo basato sulla configurazione della subordinazione del tutto analoga a quella del tradizionale lavoro dipendente. Tale configurazione sarà di facile accettazione a tre condizioni.

Innanzitutto un assetto giuridico della subordinazione non condizionata dalla tradizione industriale ... la forte terziarizzazione dell'economia dovrebbe aver fatto saltare l'equazione lavoro subordinato uguale lavoro nell'impresa industriale, cosa che il codice civile ... aveva già fatto, allorquando ricorda che l'impresa è anche un fenomeno di produzione o di scambio di servizi oltre che di beni.

In secondo luogo occorre superare la concezione che fa coincidere il lavoro nell'impresa come equivalente del lavoro nell'azienda. Questa equivalenza non solo salta nelle situazioni descritte precedentemente, ma è strutturalmente esclusa nel rapporto di lavoro con i datori non imprenditori.

(In terzo luogo) anche se l'impresa non può essere separata dall'azienda, il rapporto di lavoro non implica l'azienda. Ciò significa che è ipotizzabile un rapporto di lavoro non prestato nell'azienda, ma instaurabile da un imprenditore. Sarebbe contraddittorio considerare datore di lavoro non imprenditore l'impresa che stipuli un rapporto di lavoro senza azienda, appunto perché l'azienda non è condizione strutturale per l'instaurazione di un rapporto di lavoro ... Se non si vuole perdere la tradizione fisicistica del rapporto di lavoro localizzabile, è possibile utilizzare per il telelavoro a domicilio la formula coniata dalla IBM tedesca di "posto di lavoro al di fuori dell'azienda", purché si aggiunga: nel quadro di un rapporto giuridico di lavoro subordinato con o nell'impresa" .

 

 

 

. Il telelavoro e la giurisprudenza;

3. Il telelavoro e la giurisprudenza. Nonostante l'ampio interesse teorico-dottrinale suscitato dalla problematica del telelavoro, è stato osservato che la questione della qualificazione giuridica del telelavoro non è mai arrivata a porsi in un aula giudiziaria . Lo stesso autore che rileva questa singolare contraddizione afferma che il dato non può spiegarsi semplicemente "con una ancora troppo scarsa diffusione del telelavoro nel nostro Paese, dal momento che i dati disponibili consentono di valutare, pur molto prudenzialmente, il numero dei telelavoratori italiani almeno nell'ordine delle decine di migliaia: categorie assai meno numerose di lavoratori collocati nelle "zone di confine" tra lavoro autonomo e subordinato hanno prodotto fioriture giurisprudenziali ricche e durature in materia di qualificazione del rapporto ..... la spiegazione sta forse in questo: che i telelavoratori attuali, per la parte che si colloca nelle fasce professionali inferiori, sono lavoratori pacificamente inquadrati come dipendenti, e sovente alternano le prestazioni a distanza con le prestazioni di tipo tradizionale, svolte all'interno dell'azienda; per la parte che si colloca invece nella fascia professionalmente più elevata, è presumibile che essi siano in grado di negoziare efficacemente la propria posizione contrattuale con la committenza: per questi ultimi la forma del contratto di collaborazione autonoma è quella che consente di trarre il massimo frutto dalla propria professionalità, dalla propria capacità di offrire una prestazione quantitativamente elastica e qualitativamente flessibile, dalla propria disponibilità al rischio di navigare in mare aperto, senza reti di sicurezza" .

Questa spiegazione dell'assenza di contenzioso giudiziario in tema di qualificazione del rapporto di telelavoro non appare del tutto convincente e sembra più frutto dei desiderata dell'autore, che sorretta da fattori esplicativi reali.

La tesi, da un lato, non viene suffragata con dati quantitativi relativi alla composizione interna della più comprensiva categoria dei telelavoratori e, dall'altro, non si vede come figure di telelavoratori pacificamente subordinati, come quelli della IBM o della ITALTEL , possano essere ricondotti allo stereotipo della "bassa qualificazione".

Vero è che quest'ultima categoria di telelavoratori non ha tanto un problema di qualificazione del rapporto, che viene regolato da un'altra fonte normativa , quanto eventualmente un problema di conservazione dell' effettività delle tutele.

Nel contempo, è già stato osservato che "ogni nuova ondata di lavoro a distanza (è) sempre passata con almeno una decina d'anni di ritardo nelle aule giudiziarie (e nelle pagine delle riviste), provocando una curiosa sfasatura temporale tra le ricostruzioni dei giuristi e quelle dei giudici; mentre, naturalmente, il legislatore, appesantito dalle sue rigidità, sembra viaggiare ormai con ritardi siderali".

Se così fosse, anche con riferimento al lavoro a distanza "informatico", saremmo alla vigilia di una nuova fase di contenzioso giudiziario in materia di qualificazione del rapporto di telelavoro.

Per intanto, il telelavoro esistente, almeno quello "emerso", sembra accedere per lo più ad un precedente rapporto di lavoro tradizionale e trova la sua fonte di qualificazione nella contrattazione collettiva.

 

 

. Qualificazione del telelavoro ed autonomia collettiva;

4. Qualificazione del telelavoro ed autonomia collettiva. La dottrina ha riconosciuto alla contrattazione collettiva in materia di telelavoro una espressa funzione qualificatrice .

I contratti collettivi in materia convengono tutti sulla natura subordinata del rapporto di telelavoro, uno nella variante del lavoro a domicilio (si tratta dell'accordo aziendale Dun & Bradstreet).

Ciò vale sia per i contratti settoriali, sia per quelli aziendali.

L'accordo aziendale Dun & Bradstreet dell' 8/6/95 contiene invece, nella premessa, la definizione della fattispecie regolata.

I successivi articoli 1 e 2, introducono poi una modalità di retribuzione a cottimo e la previsione del libretto prospetto di controllo, applicando così alla fattispecie la disciplina del lavoro a domicilio.

E' interessante notare che l'accordo aziendale DIGITAL del 13/2/96 contiene anch'esso, nella premessa, la definizione della fattispecie regolata, utilizzando una formulazione che riproduce quella dell'accordo DUN & BRADSTREET. Tuttavia, in questo caso, non soltanto non viene prevista l'introduzione del libretto prospetto di controllo, ma, all'art. 1, si prevede che "in relazione alla particolarità dell'attività svolta, organizzata e definita per progetti tendente alla realizzazione di opere predeterminate, la retribuzione degli addetti al telelavoro non subirà modifica alcuna rispetto alla situazione attuale, nonché al loro inquadramento attuale". In questo modo, la fattispecie rientra nella categoria della subordinazione in senso stretto.

Alla luce delle differenze del tipo di attività, così come descritte dai rispettivi articoli 1, non pare pienamente convincente l'osservazione di chi ha rilevato l'anomalia di due fattispecie sostanzialmente non dissimili, qualificate in modo diverso e regolate in modo quasi letteralmente identico .

Vero è che, nel caso Dun & Bradstreet, l'accordo determina un peggioramento della condizione lavorativa, tant'è che le parti collettive richiedono, al successivo art. 8, la sottoscrizione da parte dei lavoratori interessati di un verbale transattivo nelle forme qualificate previste dall'art. 2113 cod. civ.. Nel contempo, l'esame dell'ulteriore disciplina prevista dell'accordo DUN & BRADSTREET revoca in dubbio la corrispondenza della fattispecie concreta al tipo legale del lavoro subordinato a domicilio .

In conclusione, la contrattazione collettiva esistente ha risolto univocamente il problema di qualificazione del rapporto di telelavoro affermandone la natura subordinata, in un caso nella variante a domicilio.

In questo senso si può affermare che, allo stato, l'autonomia collettiva ha per così dire "sdrammatizzato" la questione della qualificazione, benché essa si applichi e si riferisca ad un numero assai limitato di situazioni e di rapporti.

Pare tuttavia opportuno ribadire che anche l'autonomia collettiva è soggetta a quei limiti costituzionali di disponibilità del tipo contrattuale già affermati dalla Corte Costituzionale nei confronti del legislatore ordinario.