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CAPITOLO QUARTO

IL TELELAVORATORE SUBORDINATO

 

. Premessa;

1. Premessa. Questo quarto capitolo prenderà in esame il caso del telelavoratore subordinato, e si interrogherà su quali regole del sistema legale inderogabile di tutela siano o non siano applicabili ovvero possano o debbano subire operazioni di interpretazione per essere applicate, il tutto in considerazioni delle peculiari modalità di svolgimento del rapporto di telelavoro.

Inoltre, si esamineranno alcune delle soluzioni offerte dalla contrattazione collettiva esistente in materia, che -come illustrato nel precedente capitolo- qualifica i rapporti cui si applica esclusivamente come rapporti di telelavoro subordinato, con l'eccezione del citato accordo Dun & Bradstreet che ricorre alla disciplina del lavoro subordinato a domicilio.

Il catalogo delle tematiche del rapporto di telelavoro subordinato esaminate non avrà peraltro alcuna pretesa di completezza, ma conterrà quelle che, prima facie, appaiono più dense di implicazioni, in considerazione del rango dei diritti oggetto della tutela inderogabile.

Le regole legali e contrattuali applicabili al rapporto di telelavoro verranno esaminate con riferimento ai momenti essenziali della costituzione e della estinzione del rapporto di telelavoro, oltre che con riferimento alla fase dello svolgimento del rapporto stesso.

Un paragrafo finale conterrà dei cenni sul diritto sindacale nel telelavoro, anche alla luce di qualche prima, interessante pronunzia giurisprudenziale.

 

. La costituzione del rapporto di telelavoro;

2. La costituzione del rapporto di telelavoro. Il momento costitutivo del rapporto di telelavoro può essere a sua volta distinto, a seconda che il rapporto stesso acceda ad un precedente rapporto di lavoro svolto in forma tradizionale ovvero che la costituzione del rapporto si configuri, fin dall'inizio, con le modalità del lavoro informatico a distanza.

Si definirà il primo caso come rapporto di telelavoro a titolo derivativo ed il secondo come rapporto di telelavoro a titolo originario.

.1. La genesi del rapporto di telelavoro (a titolo derivativo);

2.1. La genesi del rapporto di telelavoro (a titolo derivativo). Le principali questioni che si pongono in questa ipotesi sono due.

In primo luogo, se il debitore della prestazione debba prestare il proprio consenso a trasformare il rapporto da lavoro "interno" a lavoro "a distanza".

In secondo luogo, se esistano delle condizioni in presenza delle quali il debitore della prestazione lavorativa non abbia un diritto alla trasformazione del rapporto da "tradizionale" a "telelavoro".

. Il consenso del lavoratore;

A. Il consenso del lavoratore. Questo primo aspetto è stato preso in considerazione dalla contrattazione collettiva esistente, la quale contiene, in diversi casi, clausole di volontarietà.

Ciò vale per l' Accordo sul telelavoro subordinato per il Terziario, Distribuzione e Servizi del 20/6/97 ; l' accordo TELECOM del 1° agosto 1995 ; l'accordo SEAT del 31 marzo 1995 ; il verbale d'accordo ITALTEL del 17 gennaio 1995 e l' accordo DIGITAL del 13 febbraio 1996.

L'accordo DUN & BRADSTREET presenta invece qualche margine di ambiguità sul punto. Come anticipato, l'accordo prevede espressamente la sottoscrizione di un verbale di transazione, con il quale il lavoratore "rinuncia alle condizioni economiche e normative attuali" . Tuttavia, il successivo articolo 9, potrebbe consentire un'interpretazione, secondo cui la clausola di volontarietà si applicherebbe nel solo caso dei lavoratori con mansioni di reporter .

Una lettura complessiva dell'accordo, tuttavia, dovrebbe consentire -al di là della non felicissima formulazione del testo- di concludere circa la sussistenza del predetto criterio della volontarietà, anche se -come detto- la condizione della sottoscrizione del verbale di transazione risponde più alla finalità di evitare l'insorgere di contenzioso giudiziale sui trattamenti contrattuali applicabili, piuttosto che a quella di verificare l'effettività del consenso del lavoratore alla trasformazione delle modalità di svolgimento del rapporto.

Resta da osservare che, oltre alla differente qualificazione formale data dalle parti collettive all'elemento del consenso del lavoratore (nei casi DUN & BRADSTREET e DIGITAL si parla di criterio, mentre in altri casi si afferma il principio della volontarietà), la collocazione della clausola nell'ambito del testo contrattuale è difforme.

Nei citati casi DUN & BRADSTREET e DIGITAL, infatti, gli articoli che contengono il riferimento al criterio di volontarietà sono rubricati "Sfera di applicazione e verifiche", articoli nei quali sono contenuti i limiti numerici di estensione della sperimentazione ed in cui l'azienda contraente assume obblighi nei confronti della controparte sindacale.

Negli altri casi (accordo nazionale Terziario, Distribuzione e Servizi; SEAT), il principio di volontarietà è affermato in clausole autonome.

Sul piano strutturale dunque la collocazione delle norme è, nei primi casi, nella parte c.d. obbligatoria, mentre, nei secondi casi, è nella parte c.d. normativa.

Si potrebbe quindi porre la questione se, nella prima ipotesi, ci si trovi di fronte ad un diritto soggettivo perfetto costituito in capo ad ogni singolo lavoratore potenzialmente soggetto alla trasformazione del rapporto oppure ad una obbligazione del datore nei confronti delle controparti sindacali. Conseguenze diverse ne discenderanno, nell'una e nell'altra ipotesi, in ordine al tipo di azione ed alla legittimazione attiva, nel caso di trasformazione non consensuale.

Nel caso degli altri accordi citati, non pare revocabile in dubbio che il diritto soggettivo sia costituito in capo ad ogni singolo lavoratore e che questi sia titolare dell'azione giudiziale conseguente.

Il contratto collettivo delle aziende di telecomunicazione INTERSIND del 9 settembre 1996, non contiene riferimenti a clausole di volontarietà, come pure l'accordo SARITEL del 15 dicembre 1994.

Quest'ultimo, peraltro, introduce il telelavoro quale misura alternativa ai trasferimenti di sede derivanti dalla chiusura di alcune unità produttive, cosicché l'accordo svolge una funzione di tipo difensivo più che di regolazione della nuova modalità di svolgimento della prestazione.

*

In assenza di previsioni contrattuali, resta da analizzare la questione se vi siano norme di legge applicabili all'ipotesi di genesi del rapporto di telelavoro a titolo derivativo, norme di legge da cui sia desumibile la necessità dell'elemento del consenso del lavoratore o in cui comunque vengano in rilievo eventuali limiti al potere di conformazione del rapporto da parte del datore di lavoro.

Il riferimento non può che essere all' art. 2113 cod. civ., che -notoriamente- si articola in quattro periodi, ciascuno con una sua autonoma previsione:

a) la contrattualità delle mansioni e lo jus variandi laterale;

b) lo jus variandi in melius e la promozione automatica;

c) il trasferimento del lavoratore;

d) la nullità dei patti contrari.

Tralasciamo l'ipotesi in cui la trasformazione del rapporto in rapporto di lavoro informatico a distanza sia strutturalmente connessa con una variazione in peius delle "ultime mansioni effettivamente svolte". In tal caso, l'unilaterale modificazione peggiorativa degli aspetti qualitativi della prestazione incorrerebbe nel divieto posto nella prima parte del primo comma della norma in oggetto.

Del pari, verrà tralasciata l'ipotesi in cui la trasformazione del rapporto in rapporto di lavoro informatico a distanza sia strutturalmente connessa con una variazione in melius delle mansioni, nel cui caso andrebbe risolta la questione se la norma in oggetto richieda comunque la consensualità della promozione .

Ciò che rileva nel nostro caso è l'applicabilità dell'ultima parte del primo comma, secondo cui "(il prestatore) non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive".

In altre parole, ciò che rileva è se la fattispecie della trasformazione del rapporto "interno" in "telelavoro" sia assimilabile alla fattispecie del trasferimento, con il che essa richiederebbe l'esplicitazione dell' elemento giustificativo del provvedimento (le "comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive"), attraverso cui operare il controllo sull'esercizio del potere di conformazione del datore di lavoro.

A parere di chi scrive, la norma in esame trova applicazione nel caso di trasformazione del rapporto "interno" in rapporto di telelavoro, specie nell'ipotesi in cui il rapporto di telelavoro appartenga al sotto-tipo del "telelavoro a casa".

Nel caso in cui il "decentramento telematico" avvenga verso un "centro satellite" o un "centro comunitario" l'applicazione della norma codicistica potrà basarsi sul dato letterale, in considerazione del fatto che il "centro satellite" o altra configurazione può senz'altro essere assimilata alla nozione fisica di "unità produttiva".

Più controversa potrebbe essere l'applicabilità della norma all'ipotesi del telelavoro mobile.

Nel caso di trasformazione in "telelavoro a casa", occorrerà fare riferimento, sia alla finalità della norma codicistica, sia alla nozione di unità produttiva rilevante nel caso in esame.

Sotto il primo profilo, oggetto centrale di previsione della norma ex art. 2103 cod. civ., è la modificazione unilaterale della prestazione lavorativa, sia nei suoi aspetti qualitativi (le mansioni), sia nella modalità spaziale di svolgimento: in sostanza, il fenomeno che si può complessivamente definire della mobilità endoaziendale del lavoratore .

In questo senso, non è revocabile in dubbio che l'aspetto implicato dalla trasformazione del rapporto qui esaminata, sia proprio quello della modalità spaziale di svolgimento della prestazione, in ragione del fatto che il telelavoro, per definizione, incide proprio sull' elemento topografico dell'obbligazione.

Sotto il secondo profilo, si osservi che il legislatore, nel formulare la disposizione in esame, aveva avuto presente soprattutto quelle prassi, non infrequenti, di spostamenti vessatori del lavoratore in reparti, per così dire, "non ambìti", il più delle volte operati per rappresaglia antisindacale . Con il che si dovrebbe accedere alla tesi, invero minoritaria in giurisprudenza, secondo cui la norma in esame si applica anche alle ipotesi di trasferimenti "interni" da reparto a reparto. In questo caso nulla osterebbe a ritenere applicabile la norma anche al caso di trasformazione del rapporto in "telelavoro" (almeno nella forma del telelavoro "a casa").

Tuttavia, anche a non voler aderire all'ampia nozione di trasferimento qui prospettata, non si dovrebbe comunque escludere l'applicabilità della norma al caso in oggetto, qualora si consideri, attraverso una lettura sistematica della previsione complessiva dell'art. 2103, che "l'ulteriore bene (oltre al bene dato della posizione professionale) che trova protezione è evidentemente quello dell'appartenenza alla unità produttiva in cui il lavoratore si trova a prestare le mansioni effettive; appartenenza che risulta apprezzabile sotto un duplice profilo: quello, tradizionale, corrispondente all'interesse al non aggravamento della prestazione nelle sue modalità topografiche e quello -che presenta alcuni aspetti di collegamento con la parte precedente della norma- corrispondente a non allontanarsi da un'area dell'organizzazione produttiva, che in genere costituisce l'area all'interno della quale gli spostamenti del lavoratore sono caratterizzati da un certo grado di normalità". Questa interpretazione sistematica (e teleologica) della norma consente di osservare che il secondo ordine di interesse è certamente presente per il lavoratore nell'ipotesi di genesi a titolo derivativo del rapporto di telelavoro, con il che trova giustificazione l'applicazione della norma all'ipotesi in esame.

L'applicazione appare ancor più giustificata ove si consideri che, rispetto al bene dato dalla posizione professionale del lavoratore, quello dell'appartenenza alla unità produttiva non è stato dotato della medesima forza di resistenza, potendo il secondo ben essere sacrificato, a differenza del primo, alle esigenze dell'impresa, qualora il datore assolva all'onere probatorio.

L'attitudine ad incidere permanentemente sull'interesse del lavoratore ad appartenere ad una determinata unità produttiva, nel senso sopra precisato, potrebbe allora consentire di concludere nel senso dell'applicabilità dell'art. 2103, 1° comma, ultima parte, anche nell'ipotesi del c.d. "telelavoro mobile", qualora ciò comportasse una sorta di "disconnessione" del lavoratore dall'unità produttiva di appartenenza destinata a protrarsi nel tempo. Peraltro, sotto il profilo concreto, tale ipotesi viene forse ad essere sdrammatizzata dalla circostanza che accedono a tale forma di telelavoro perlopiù lavoratori già inquadrabili nella categoria dei c.d. "trasfertisti".

*

La ricostruzione qui prospettata della nozione di unità produttiva consente infine di concludere per la piena applicabilità della regola ex art. 22, legge 300/70, prevista a tutela dell'interesse sindacale a conservare il collegamento tra unità produttiva e rappresentante sindacale aziendale, cosicché il passaggio di quest'ultimo al "telelavoro", in tutte le sue forme, può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.

. Il diritto del lavoratore a "telelavorare" ovvero la trasformazione del rapporto come limite all'esercizio di poteri datoriali;

B. Il diritto del lavoratore a "telelavorare" ovvero la trasformazione del rapporto come limite all'esercizio di poteri datoriali. Con riferimento sempre al momento genetico a titolo derivativo del rapporto di telelavoro, occorre peraltro osservare che il problema può presentarsi in maniera del tutto speculare rispetto a quanto finora argomentato.

Vi può essere, infatti, il caso in cui il lavoratore "tradizionale" sia portatore di un interesse alla "trasformazione" del proprio rapporto in rapporto di "telelavoro".

Basti pensare, ad esempio, all'ipotesi in cui la trasformazione del rapporto in rapporto di telelavoro, perlopiù "a domicilio", costituisca l'alternativa al "trasferimento" di sede lavorativa, ipotesi quest'ultima particolarmente devastante per gli assetti esistenziali del lavoratore; si pensi al caso della chiusura di sedi periferiche nell'ambito di processi di riorganizzazione aziendale.

Oppure si potrebbe persino ipotizzare la trasformazione come misura alternativa alla riduzione di personale, magari in combinazione con altre forme di flessibilizzazione del rapporto, quale la contestuale trasformazione a tempo parziale di un rapporto originariamente a tempo pieno.

Questo aspetto viene affrontato da alcuni degli accordi aziendali citati, che assumono quindi la connotazione di accordi di telelavoro con funzioni difensive.

La natura difensiva degli accordi aziendali di telelavoro stipulati ad oggi in Italia, ne costituirebbe anzi uno degli aspetti preminenti secondo almeno alcune tesi.

Una funzione difensiva viene svolta dall'accordo TELECOM del 1°agosto 1995, così come è possibile evincere dalla stessa lettura del testo contrattuale. L'azienda aveva infatti deciso di chiudere alcuni reparti dedicati all'assistenza clienti acquisite dopo la fusione con IRITEL, il che avrebbe reso necessario il trasferimento di circa 800 lavoratori dal Sud al Nord. Per risolvere questo problema, si è ricorsi ad un espediente tecnico (c.d. remotizzazione) consistente nel trasferire le chiamate degli utenti dalle zone ad alto traffico verso quelle a basso tasso di utilizzo degli impianti, muovendo, per così dire, il lavoro invece dei lavoratori. La sperimentazione del telelavoro a domicilio viene dunque inserita all'interno di questo più ampio progetto di remotizzazione del servizio.

Se nel caso TELECOM il trasferimento geografico dei lavoratori è stato evitato attraverso la c.d. remotizzazione (dovendosi considerare la funzione del telelavoro a domicilio come meramente accessoria), il caso SARITEL costituisce un esempio di utilizzo del telelavoro alternativo al trasferimento. Il personale addetto alle vendite localizzato presso sedi destinate alla chiusura, poteva chiedere, in alternativa al trasferimento a Pomezia, di rimanere nella città di origine e lavorare da casa in collegamento con la sede centrale. Altri quattro impiegati avrebbero lavorato da Padova sperimentando una sorta di "centro di telelavoro" (rectius "centro satellite"). L'accordo esclude peraltro la trasformazione del rapporto, in alternativa al trasferimento di sede, per il personale delle stesse sedi addetto a mansioni di assistenza clienti e di natura amministrativa, il tutto senza che venisse fornita alcuna ragione oggettiva di tale esclusione.

Benché non emerga direttamente dal testo dell'accordo, la funzione difensiva sarebbe svolta anche dall' accordo DUN & BRADSTREET .

In caso di assenza di uno specifico accordo sindacale con funzioni difensive, occorre interrogarsi se, a fronte dell' esigenza del lavoratore di non subìre l'alternativa tra la risoluzione del rapporto di lavoro e il traumatico "riassetto" dei propri equilibri esistenziali e familiari a causa del trasferimento, la concreta sussistenza della possibilità di trasformare il rapporto in rapporto di telelavoro non costituisca un effettivo limite al potere datoriale di conformazione. In altre parole, l'onere probatorio del datore in ordine alla sussistenza delle "ragioni tecniche, organizzative e produttive" idonee a sorreggere il trasferimento ex art. 2103 cod.civ., potrebbe estendersi, in caso di astratta "telelavorabilità" delle mansioni del lavoratore , alle ragioni oggettive che in concreto ostino alla trasformazione del rapporto .

Nel caso di svolgimento di procedure in cui la legge riconosce invece al sindacato la funzione di controllo e di tutela dell'interesse collettivo (come nel caso della procedura prevista dalla legge 223/91 e successive modifiche in materia di riduzione del personale), si potrebbe invece argomentare, sempre ove sussistesse un astratta "telelavorabilità" delle mansioni ritenute eccedentarie, circa il fatto che la trasformazione del rapporto in rapporto di telelavoro possa costituire una soluzione gestionale lato sensu conservativa, idonea a consentire -eventualmente in unione con altri strumenti espressamente richiamati dalla norma di legge- una ricollocazione del personale in soprannumero all'interno dell'organizzazione aziendale. Un'ipotesi di tal genere sarà ovviamente tanto più rafforzata quanto più si accede alla interpretazione del licenziamento, nella normativa comunitaria e nazionale, come extrema ratio .

.2. Il momento genetico a titolo originario;

2.2. Il momento genetico a titolo originario. Non pare che vi siano peculiarità per il rapporto di telelavoro sorto, per così dire, a titolo originario rispetto all'ipotesi del rapporto di lavoro "tradizionale", fatta salva l'individuazione della modalità esecutiva della prestazione e, in particolare, della peculiare e tipica connotazione dell'elemento topografico.

Va da sé che l'elemento del consenso del debitore a svolgere la prestazione "a distanza" viene a coincidere con il consenso dello stesso a concludere il contratto di lavoro.

Per il resto, dovrebbero trovare applicazione le ulteriori regole, in particolare quelle concernenti la forma scritta per il patto di prova e per l'apposizione del termine.

E' chiaro che il momento costitutivo del rapporto di telelavoro è quello che si presta maggiormente ad abusi e a fraudolenti aggiramenti delle normative di tutela, ma questo aspetto si risolve, in ultima analisi, in un problema di verifica dell'effettiva natura del rapporto di telelavoro, in funzione del concreto atteggiarsi dello stesso. Non presenta dunque alcuna "specialità" rispetto a modalità "tradizionali" di costituzione del rapporto (interno) di lavoro.

 

.3. La contrattazione individuale assistita. L'ipotesi dell'accordo nazionale 20 giugno 1997;

2.3. La contrattazione individuale assistita. L'ipotesi dell'accordo nazionale 20 giugno 1997. Prima di concludere questo paragrafo relativo alla costituzione del rapporto di telelavoro, è però interessante esaminare alcune delle regole del più volte citato accordo nazionale 20 giugno 1997 (per i dipendenti del Terziario, Distribuzione e Servizi).

Come detto, l'accordo prevede il principio della volontarietà, ma è anche attento a precisare che "i rapporti di telelavoro possono essere instaurati ex novo oppure trasformati, rispetto a rapporti in essere svolti nei locali fisici dell'impresa. Resta inteso che il telelavoratore è in organico presso l'unità produttiva di origine, ovvero, in caso di instaurazione del rapporto ex novo, presso l'unità produttiva indicata nella lettera di assunzione" (art. 3 -Prestazione lavorativa-, 1° comma).

Questa formulazione rafforza pertanto la connotazione del telelavoratore come lavoratore subordinato in senso stretto, oltre a consentire agevolmente l'imputazione numerica dello stesso ad una unità produttiva anche ai fini dell'applicazione della normativa di tutela. Nel contempo, tale formulazione non dovrebbe avere effetti sulle vicende successive di svolgimento del rapporto di telelavoro, in quanto, ad esempio, la reversibilità del rapporto (e quindi la trasformazione del rapporto in rapporto "interno" in senso stretto) viene regolata da apposite clausole.

Lo stesso art. 3, prevede, ai successivi commi terzo, quarto e quinto, che "gli agenti della instaurazione e/o della trasformazione della nuova modalità di lavoro sono rispettivamente l'impresa ed il lavoratore. Il lavoratore che ne faccia richiesta o conferisca mandato, potrà essere assistito dalla RSA/RSU, o in caso di sua assenza, dalla struttura territoriale di una delle Federazioni Sindacali firmatarie del presente accordo.

Le modalità pratiche di espletamento della prestazione lavorativa tramite telelavoro concordata tra le parti dovranno risultare da atto scritto, costituente l'accordo di inizio e/o trasformazione delle modalità di lavoro.

Tale accordo è condizione necessaria per l'instaurazione o trasformazione del telelavoro".

Viene qui sperimentato un modello contrattuale innovativo, che potremmo definire di "contrattazione individuale assistita", modello -a quanto consta- inedito nel nostro sistema .

Da un lato, l'autonomia individuale nella definizione delle modalità pratiche di espletamento della prestazione lavorativa (che dovrà poi condurre alla conclusione di un contratto scritto di telelavoro) non pare soggetta a limiti, né ad un rinvio per argomenti. La generica formulazione "modalità pratiche di espletamento" si presta ad una interpretazione assai estensiva, e quindi lascia aperto il varco anche ad interpretazioni volte a favorire la fuga dalla tutela inderogabile, quantomeno da quella di fonte contrattual-collettiva. In effetti, soltanto la materia retributiva sembrerebbe sottratta alla contrattazione individuale, in considerazione dell'espresso richiamo alla contrattazione nazionale e aziendale contenuto nel successivo art. 4.

D'altro canto, questa apertura alla contrattazione individuale è contemperata dalla facoltà di intervento, su richiesta del lavoratore ed in funzione di assistenza, del sindacato aziendale o, in caso di assenza, di quello territoriale di categoria. Benché la norma prevede l'intervento sia in caso di costituzione a titolo originario che a titolo derivativo, non sembra però difficile argomentare che lo spazio di effettiva applicazione della norma (e quindi i casi di reale intervento del sindacato in funzione di assistenza) sarà quello del contratto c.d. di trasformazione.

La verifica dell'esperienza concreta che trarrà origine da questa norma, sarà utile per comprendere se una soluzione come quella adottata (di contrattazione individuale assistita) potrà assicurare al contratto individuale un effettiva funzione di strumento indispensabile di programmazione personalizzata della prestazione lavorativa .

. Lo svolgimento del rapporto di telelavoro;

3. Lo svolgimento del rapporto di telelavoro. E' stato osservato che, una volta ritenuta applicabile la disciplina di tutela del diritto del lavoro, ogni norma, ogni istituto della stessa necessita, anche con riferimento allo svolgimento del rapporto, di un ripensamento e di un riadeguamento alle novità introdotte dal lavoro elettronico a distanza.

Si tratta allora di focalizzare l'attenzione, sia pure in modo sommario e quasi procedendo a campione, sui temi più significativi.

 

.1. Il tempo del telelavoro;

3.1. Il tempo del telelavoro. La prima questione che mette conto di trattare è quella del tempo della prestazione all'interno del rapporto di telelavoro, questione che, a sua volta, si scinde in due problematiche, a seconda che il punto di vista assunto sia quello del creditore della prestazione ovvero quello del telelavoratore.

Il primo punto si sostanzia nel quesito se la prestazione svolta a distanza, svolta cioè al di fuori della sfera di controllo diretto e "fisico" del datore, sia suscettibile di verifica e di misurazione quantitativa.

Il secondo punto discende dal fatto che il rapporto di telelavoro comporta intrinsecamente, per il debitore della prestazione, la commistione fra i vari "tempi" in cui l'arco della giornata può essere astrattamente suddiviso:

• tempo di lavoro nell'interesse del datore di lavoro;

• tempo di vita;

• tempo per i lavori di cura;

• tempo di viaggio casa-luogo di lavoro.

Nel modello temporale del lavoro "interno", la scansione della giornata tra tempo di lavoro e tempi per le altre attività era determinata, in maniera rigida, in funzione della presenza/assenza fisica del lavoratore nel luogo di lavoro, dato di per sé ricavabile "materialmente". Nel contempo, il tempo di viaggio poteva essere oggetto di contrattazione collettiva, così da poterlo eventualmente porre a carico, in tutto o in parte, del creditore della prestazione, attraverso forme di remunerazione diretta o indiretta. In ogni caso, anche ove ciò non fosse avvenuto, la sottrazione del tempo esistenziale del prestatore per le necessità di spostamento da/verso il luogo di lavoro, sarebbe stata comunque calcolabile in misura esatta.

Nel "telelavoro", la divisibilità e la calcolabilità del tempo nella giornata non sussiste più.

 

. Orario di lavoro, clausole di reperibilità e clausole di rientro nella contrattazione;

A. Orario di lavoro, clausole di reperibilità e clausole di rientro nella contrattazione. Considerando ora il primo profilo, l'orario di lavoro è un elemento sicuramente verificabile nel telelavoro, per le caratteristiche stesse dello strumento lavorativo impiegato, in grado di registrare tutta una serie di dati relativi alla quantità e alla qualità della prestazione, il che vale sia nel caso dell'ipotesi di collegamento interattivo, sia in quello di "telelavoro" off line (nel cui caso l' orario potrà essere rilevato solo successivamente).

Ciò premesso, sul piano astratto, il telelavoro è compatibile con gli istituti legali e contrattuali che tradizionalmente hanno regolato la prestazione erogata al di fuori dell'orario "normale" di lavoro.

Si parla, in questo senso, di "ammissibilità del telelavoro straordinario, notturno e festivo".

Nel contempo, il telelavoro comporta la facoltà del prestatore di distribuire discrezionalmente l'orario di lavoro nel corso della giornata, salve peraltro le esigenze aziendali (ad esempio, la fornitura dei servizi alla clientela in determinate fasce orarie) .

Gli accordi sindacali intervengono su questo aspetto, affermando, con l'eccezione della TELECOM, la flessibilità della distribuzione di orario, fatto salvo, per lo più, un obbligo di reperibilità.

In questo senso: il CCNL del 9/9/1996 per le Aziende di telecomunicazione INTERSIND ; l'accordo nazionale del 20/6/97 per le Aziende del terziario, distribuzione e servizi ; l'accordo ITALTEL del 17/1/95 ; l'accordo SEAT del 31/3/95 ; l'accordo DUN & BRADSTREET dell'8/6/95; l'accordo DIGITAL del 13/2/96.

Nulla viene previsto dall'accordo SARITEL del 15/12/94, il che si spiega agevolmente con il fatto che i lavoratori coinvolti erano, gli uni, venditori (e quindi con orario di lavoro già elastico e prestazione di lavoro esterna sia alla sede aziendale che al proprio domicilio) e, gli altri, erano tecnici collocati in un "centro satellite" (riproducendo così, con riferimento all'orario di lavoro, le modalità propria della prestazione "interna" all'azienda).

Sia i contratti settoriali che alcuni di quelli aziendali regolano altresì le condizioni e le modalità del rientro in "azienda" del telelavoratore. La previsione di clausole di rientro in azienda viene ritenuta necessaria per mitigare uno degli effetti del telelavoro generalmente valutati come negativi: quello dell'annullamento del rapporto con l'ambiente sociale dell'azienda. La contrattazione esistente pare, sul punto, piuttosto carente: le clausole di rientro previste, non sono tanto finalizzate a contrastare il detto effetto di "isolamento" del telelavoratore, quanto piuttosto a salvaguardare un residuo potere di conformazione "spaziale" del datore, anche nel caso di prestazione "delocalizzata".

. Il controllo sul tempo effettivo della prestazione;

B. Il controllo sul tempo effettivo della prestazione. Considerando il secondo aspetto del problema, esso concerne la sussistenza ovvero l'introduzione di regole finalizzate ad impedire, o quantomeno a scoraggiare, il superamento di fatto dell'orario "normale" da parte del singolo telelavoratore, sia con riferimento ad esigenze di tutela individuale, sia con riferimento ad interessi collettivi (quali, ad esempio, l'esigenza sindacale di controllo degli orari di lavoro in un'ottica di salvaguardia dei livelli occupazionali).

Non pare che la contrattazione esistente abbia affrontato, in maniera puntuale, questo aspetto.

L'accordo nazionale 20/6/97 per le Aziende del terziario, distribuzione e servizi, oltre al già citato principio del rispetto dei limiti orari legali e contrattuali, introduce anche un principio di equivalenza dei livelli qualitativi e quantitativi di attività prestata dal lavoratore "interno" e dal "telelavoratore", senza però prevedere le modalità concrete di attuazione del principio e l'eventuale presenza di regole di controllo per affermarne l'effettività.

L'accordo ITALTEL esclude la previsione del ricorso a prestazioni straordinarie, notturne e festive, salvo il caso di esplicita richiesta da parte dei superiori per prestazioni da fornire, al di fuori del normale orario di lavoro, presso gli uffici aziendali o in trasferta.

Analogamente l'accordo SEAT non prevede il ricorso a prestazioni straordinarie, notturne e festive.

Entrambi gli accordi non prevedono né meccanismi di controllo, né regole "sanzionatorie", o quantomeno disincentivanti, nel caso di effettiva prestazione lato sensu straordinaria. Il detto problema di controllo dell'orario effettivo non viene dunque affrontato neppure da questi due accordi. Non pare quindi condivisibile il commento di chi ha ritenuto che i citati accordi introducessero una sorta di divieto del telelavoro straordinario, notturno e festivo .

Per concludere sul punto, va citato l'accordo DUN & BRADSTREET che prevede, in coerenza con la qualificazione del telelavoro come prestazione di lavoro a domicilio, la corresponsione di una maggiorazione della retribuzione da intendersi a titolo di indennità per il lavoro festivo .

 

.2. Cenni sugli aspetti retributivi;

3.2. Cenni sugli aspetti retributivi. E' stato osservato in dottrina che "nel momento in cui la prestazione può essere misurata, sia pure talora indirettamente, sul dato tempo e non solo su quello quantità di lavoro, appare lecito nutrire grossi dubbi sull'ulteriore ammissibilità, (anche) per il telelavoro che venga qualificato a domicilio, di un sistema retributivo quale quello del cottimo pieno, previsto appunto dall'art. 8 della legge del 1973. Si imporrebbe quantomeno il ricorso al sistema del cottimo misto, ma ci si chiede perché non possa prevalere, almeno per le teleprestazioni in cui l'orario di lavoro sia più agevolmente riscontrabile, l'ordinaria retribuzione a tempo".

In ogni caso, il problema non sembra porsi nell'ipotesi di telelavoro subordinato ed i contratti che così qualificano il rapporto riconoscono appunto la retribuzione a tempo.

Il contratto DUN & BRADSTREET, unico accordo che qualifica come lavoro a domicilio la teleprestazione, prevede un (complesso) metodo di calcolo della retribuzione variabile, legato ad indici di produttività .

Alcuni accordi prevedono poi l'erogazione di somme aggiuntive al telelavoratore, mentre altri rinviano ad ulteriori sedi di contrattazione aziendale per la definizione di tali trattamenti. La questione giuridica rilevante sul punto, investe l'esatta natura di tali trattamenti, dovendosi valutare se essi esplichino in concreto funzione risarcitoria ovvero funzione di corrispettivo per le peculiari modalità spaziali di svolgimento della prestazione. E' evidente che, nel secondo caso, tali trattamenti entrerebbero, secondo la giurisprudenza consolidata, nella base di calcolo degli istituti retributivi indiretti (ferie, festività, mensilità aggiuntive) e del trattamento di fine rapporto.

 

.3. La tutela della salute del telelavoratore;

3.3. La tutela della salute del telelavoratore. Le norme di riferimento sono quelle che pongono un generale obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro (art. 2087 cod. civ.) e le specifiche disposizioni sull'uso di attrezzature munite di videoterminali (artt. 50-59 del D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, con le quali sono state recepite le norme comunitarie in materia e, specificamente, la Direttiva n. 90/270/CEE) .

Non pare in discussione il fatto che la disciplina specifica, pur essendo stata originariamente concepita per il lavoro "interno", trovi applicazione alle ipotesi di telelavoro subordinato in senso proprio. Sul punto, si può osservare che occorre la massima attenzione al fine di evitare elusioni o disapplicazioni della tutela. Si pensi, ad esempio, al caso dei c.d. "telelavoratori mobili" e alla previsione normativa che esclude i lavoratori addetti ai sistemi denominati "portatili" ove non siano oggetto di utilizzazione prolungata in un posto di lavoro. Non sarebbe tuttavia corretto concludere per la disapplicazione automatica, in quanto va considerata l'ipotesi concreta, in cui gli stessi, pur utilizzando saltuariamente il computer portatile per collegarsi con l'elaboratore centrale del datore di lavoro, trascorrano comunque la gran parte del tempo di lavoro dinnanzi ad un videoterminale, collocato per lo più presso i locali di un' azienda cliente. E' pertanto evidente, in tale ipotesi, che il parametro di riferimento per l'applicazione della normativa di tutela dovrà essere, non certo la caratteristica dimensionale della dotazione informatica, quanto piuttosto l'effettiva modalità di svolgimento della prestazione lavorativa complessiva.

Ciò detto con riferimento all'ambito di applicazione della disciplina, è stato osservato che alcune norme della stessa potrebbero dar luogo a qualche difficoltà in considerazione del fatto che il luogo della prestazione rientra nelle pertinenze del lavoratore ("telelavoro a casa") o comunque non è svolto in locali di pertinenza dell'impresa. In questo senso, l'effettività della tutela richiede la responsabilizzazione del singolo telelavoratore ed il "rafforzamento" della sua posizione individuale di fronte al creditore.

Nel contempo, pienamente compatibile con le modalità di svolgimento del telelavoro è invece tutta l'altra parte della normativa di tutela: l'obbligo di sorveglianza sanitaria, consistente nella visita medica preventiva e in visite periodiche di controllo (art. 55, D. Lgs. 626/94), e gli obblighi di informazione e formazione gravanti sul datore di lavoro circa le misure di prevenzione da adottare per l'uso del videoterminale (art. 56, cit.) .

Un'elusione della normativa di tutela potrebbe poi aversi nell'ipotesi in cui il telelavoro fosse qualificato come lavoro subordinato a domicilio, ai sensi della legge 877/73. Infatti, l'art. 1, comma 3°, del citato decreto legislativo, prevede che le disposizioni di tutela si applichino ai lavoratori a domicilio "solo nei casi espressamente previsti", senza che le norme dedicate al lavoro al videoterminale provvedano ad effettuare tale espresso richiamo. L'omissione del legislatore viene valutata dalla dottrina, sia come indicativa di una tendenza restrittiva all'applicazione della disciplina del lavoro a domicilio alla fattispecie telelavoro, sia come indice di sfavore verso forme di decentramento informatico che comportino l'uso di apparecchiature nocive se non utilizzate secondo i criteri di sicurezza predisposti dalle norme apposite.

In attesa di un auspicabile intervento del legislatore, vale la pena passare in rassegna le soluzioni adottate dalla contrattazione collettiva.

L'accordo nazionale del 20/6/97 per le aziende del terziario, distribuzione e servizi, contiene un'articolata serie di disposizioni in relazione alle misure di protezione e sicurezza da adottare.

In primo luogo, dispone che "in ottemperanza a quanto previsto dal D. Lgs. 626/94 e successive modifiche ... saranno consentite, previa richiesta, visite da parte del responsabile aziendale di prevenzione e protezione e da parte del delegato alla sicurezza per verificare la corretta applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza relativamente alla postazione di lavoro ed alle attrezzature tecniche ad essa collegate". Si può osservare che viene affrontato, in questo modo, il problema di adattamento al telelavoro della norma relativa alla conformità della postazione, pur essendo questa fisicamente collocata al di fuori del dominio del datore.

In secondo luogo, ribadito che il telelavoratore è tenuto all'utilizzo diligente e rispettoso delle norme di sicurezza della postazione di lavoro, si afferma che "ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone in prossimità del suo spazio lavorativo, conformemente alla sua formazione e alle istruzioni relative ai mezzi ed agli strumenti di lavoro utilizzati.

Il datore di lavoro è sollevato da ogni responsabilità qualora il lavoratore non si attenga alle suddette disposizioni".

Con riferimento a questa seconda regola, si può osservare che, mentre è da condividere il principio di auto-responsabilizzazione del telelavoratore, suscita non pochi dubbi e perplessità la previsione di una esenzione di responsabilità del datore in caso di omissione del telelavoratore. Non si può ritenere valido che l'autonomia collettiva ponga nel nulla una responsabilità fondata su norme inderogabili. Meglio sarebbe stato introdurre, fatta salva la responsabilità del datore, una sorta di astreinte, così da "rafforzare" l'interesse del telelavoratore a prendersi cura della propria salute. Resta poi aperto un problema di interpretazione circa l'esatta portata del parametro di diligenza introdotto dalla norma convenzionale (conformità alla formazione del telelavoratore potrebbe, infatti, intendersi sia come la formazione data, sia come quella impartita specificamente dal datore in relazione ai mezzi e agli strumenti di lavoro utilizzati).

In terzo luogo, si prevede che i telelavoratori dovranno essere informati sul corretto uso degli strumenti, in particolare, alla luce del citato decreto legislativo, circa le pause necessarie per chi utilizza il videoterminale.

Tra gli accordi aziendali, quelli più risalenti (SARITEL, ITALTEL e SEAT) non contengono norme specificamente dirette a regolare le condizioni di tutela e sicurezza, dovendo pertanto ritenersi che a questi casi si applichi la normativa generale e speciale, con i detti problemi di adattamento. Peraltro, nel caso SARITEL, la normativa dovrebbe applicarsi, senza necessità di adattamenti, per gli addetti del "centro satellite" di Padova, in quanto le postazioni di lavoro non sono collocate in locali di pertinenza del telelavoratore.

I successivi accordi aziendali, al contrario, contengono norme in tema di tutela della salute. In particolare, merita attenzione l'accordo DUN & BRADSTREET, in ragione del fatto che, pur qualificando le prestazioni come telelavoro subordinato a domicilio, prevede esplicitamente l'applicabilità del D. Lgs. 626/94. Nello stesso senso, l'accordo DIGITAL.

L'accordo TELECOM subordina infine la trasformazione del rapporto in rapporto di telelavoro alla conformità dei locali rispetto alle norme legali volte alla tutela della sicurezza e della salute dei telelavoratori .

 

.4. Il controllo del telelavoratore e la tutela della sfera privata;

3.4. Il controllo del telelavoratore e la tutela della sua sfera privata. Come noto, l'art. 4, legge 300/70, pone un divieto assoluto in ordine all'utilizzo da parte del datore di apparecchiature finalizzate al controllo a distanza dell'attività dei lavoratori (comma 1°). Nel contempo, il legislatore condiziona l'installazione di "impianti ed apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori ....(al) previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali" (comma 2°, prima parte). In difetto di accordo, il legislatore dispone che "su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità d'uso di tali impianti".

Benché il legislatore del '70 non avesse avuto di mira l'utilizzo lavorativo degli elaboratori elettronici, la diffusione dell'informatica nei luoghi di lavoro impose ben presto all'attenzione dell'interprete la questione dell'applicabilità della norma citata all'uso del computer. In un noto caso giurisprudenziale, la questione fu posta all'attenzione del giudice che concluse per l'applicabilità della norma.

Sulla base di tali premesse, è stato recentemente osservato in dottrina se non sia lecito "dubitare della stessa ammissibilità giuridica del telelavoro on line". Per sfuggire a tale drastico esito, si ritiene allora di superare la questione "interpretando il divieto di legge come riferito solo agli strumenti che forniscono una rappresentazione analogica della realtà (come telecamere e microfoni aperti, intercettazioni telefoniche). Viceversa, per gli apparecchi che memorizzano dati parziali da cui è possibile ricavare informazioni significative solo in via induttiva viene in luce il riferimento al tema della raccolta dei dati attinenti alla persona.

Qui opera un'altra norma dello statuto, l'art. 8, che vieta le indagini sulle opinioni non rilevanti ai fini del rapporto di lavoro; norma anch'essa obsoleta, perché legata alla repressione delle "schedature" delle grandi fabbriche, e destinata ora a disciplinare il tema del potere imprenditoriale di "incrociare" ed elaborare elettronicamente dati che in precedenza potevano apparire innocui. Rispetto al telelavoro, può dirsi che il tradizionale diritto alla riservatezza, inteso come aristocratico diritto "ad essere lasciato solo", si trasforma nel diritto del lavoratore di controllare l'uso che viene fatto dei dati riferiti alla sua persona, se non proprio nel divieto assoluto di immagazzinarli" .

Sul problema della riservatezza nel nostro ordinamento, prima della recente normativa di tutela sul trattamento dei dati personali (legge 31 dicembre 1996, n. 675), autorevolissima dottrina ha osservato che"a differenza di altre borghesie, quella italiana non sa (non vuole?) iscrivere nel suo codice la regola della riservatezza, sì che ancora negli anni '60 i giuristi s'interrogano se nel nostro sistema sia possibile ritrovare un generale diritto della personalità, come tale comprensivo anche della tutela della riservatezza, o se si debba stare alla lettera di una legge che di una tutela del genere non faceva parola.

La fragilità del vecchio impianto concettuale e legislativo viene clamorosamente rivelata nel 1970 dalla legge n. 300, lo "Statuto dei lavoratori". E' una vicenda significativa: un diritto tipico dell' "età dell'oro della borghesia" trova il suo primo riconoscimento legislativo nella carta dei diritti dei lavoratori. Non è un paradosso. E' il segno d'un cambiamento d'epoca, che nasce dalla reazione contro il pesante uso delle informazioni personali come strumento di discriminazione politica dei lavoratori e contro i rischi tecnologici legati alle crescenti possibilità di controlli a distanza (ascolti, intercettazioni, riprese fotografiche e cinematografiche) ed alla nascente tecnologia del trattamento elettronico delle informazioni grazie al computer" .

In questa prospettiva, viene pertanto da interrogarsi se non sia utile valorizzare le previsioni dell'art. 4, perlomeno nella parte in cui esso prescrive l'accordo con le rappresentanze sindacali aziendali come condizione per l'installazione di dispositivi, funzionali sì alle esigenze produttive ed organizzative, ma altrettanto idonei ad esercitare un controllo subdolo ed invasivo della sfera del lavoratore. In questo senso, non mi pare che l'art. 4 sia norma obsoleta; al contrario, in un sistema vieppiù orientato alla cosiddetta procedimentalizzazione dei poteri dell'imprenditore, l'art. 4, 2° comma, sembra regola "moderna" e, in una certa misura, quasi anticipatoria di successive tendenze. Il confronto finalizzato all'accordo con la rappresentanza sindacale aziendale, in ordine alle modalità di effettivo funzionamento del sistema informativo aziendale, consente dunque di soppesare le esigenze aziendali e di assicurare, nel contempo, che il software di sistema e il software applicativo non contengano "istruzioni" e "procedure" tese a realizzare un controllo intrusivo ed occulto (e quindi tendenzialmente vietato) .

In questa prospettiva, occorre sottolineare due aspetti. Da un lato, è necessario assicurare che il soggetto contrattuale sia la rappresentanza sindacale aziendale, sul presupposto che essa conosca, in modo approfondito e puntuale, le effettive esigenze della situazione da normare e abbia la competenza anche tecnica per valutare le soluzioni informatiche adottate o da adottare. Dall'altro, non si potrebbe neppure inferire che, imponendo la "procedura sindacale" per ogni applicazione potenzialmente intrusiva, si consegnerebbe una sorta di "potere di veto" al sindacato aziendale in ordine alle scelte tecniche, produttive ed organizzative dell'impresa. Qualsiasi irragionevole ed immotivato diniego di consenso all'accordo, da parte della r.s.a., potrebbe infatti essere rimosso dall'istanza datoriale rivolta al competente Ispettorato del lavoro.

Ciò detto, esaminiamo le soluzioni adottate sul punto dalla contrattazione collettiva in materia di telelavoro.

Gli accordi collettivi aziendali, che affrontano la questione, affermano esplicitamente che le parti ritengono insussistente qualunque tipo di violazione dell'art. 4.

Così, infatti, l'accordo DUN & BRADSTREET, l'accordo TELECOM e l'accordo DIGITAL.

Per testarne la validità e quindi la loro efficacia nei confronti dei telelavoratori interessati, occorre distinguerli in funzione della natura dei soggetti sindacali contraenti.

In questo senso, gli accordi DUN & BRADSTREET e DIGITAL paiono validi ed efficaci, in quanto sono sottoscritti, non soltanto dalle associazioni territoriali di categoria, ma anche dal Consiglio di azienda, soggetto che, verosimilmente, deve intendersi svolgere le funzioni della r.s.a. nelle concrete realtà aziendali.

Non così l'accordo TELECOM che risulta stipulato dalle associazioni nazionali di categoria, senza la partecipazione dei soggetti sindacali legittimati ex art. 4, 2° comma.

Conclusioni analoghe a quelle cui si è testé pervenuti per l'accordo TELECOM, vanno tratte per l'accordo nazionale del 20/6/97 per le Aziende del terziario, distribuzione e servizi, accordo concluso dalle organizzazioni di categoria.

Si deve intendere invalida la clausola dell' accordo con la quale "le parti convengono che i dati raccolti per la valutazione sulle prestazioni del singolo lavoratore, anche a mezzo di sistemi informatici e/o telematici, non costituiscono violazione dell'art. 4 della legge n. 300/70 e delle norme contrattuali in vigore, in quanto funzionali allo svolgimento del rapporto". In questo caso, non soltanto sussiste la carenza di legittimazione del contraente sindacale, ma pare persino incongrua la collocazione di una siffatta norma in un contratto collettivo di livello nazionale, funzionalmente destinato a regolare una pluralità indefinita di situazioni aziendali concretamente difformi. In questo senso la norma statutaria prevede invece, nella sua struttura, l'esame puntuale, caso per caso, del dispositivo di controllo concretamente applicabile.

Non si ravvisa neppure, nel caso del citato accordo nazionale, un'ipotesi di delega del livello di contrattazione nazionale a quello aziendale, dovendo ritenersi i poteri in materia delle r.s.a. costituiti direttamente ex lege.

Non resta che concludere per la nullità per violazione di norma inderogabile della citata clausola contrattuale, finalizzata ad "espropriare" a priori le singole r.s.a. delle loro prerogative di fonte legale.

.5. Il problema degli strumenti di lavoro;

3.5. Il problema degli strumenti di lavoro. Alcune brevi osservazioni merita la tematica, affrontata da alcuni accordi, riguardante il titolo giuridico attraverso cui il telelavoratore detiene lo strumento di lavoro.

In realtà, tale aspetto non avrebbe dovuto essere, a rigor di logica, oggetto di trattazione da parte degli accordi collettivi esistenti, in quanto gli stessi, avendo già provveduto alla preventiva operazione di qualificazione del rapporto in termini di lavoro subordinato, avevano regolato anche implicitamente la materia della fornitura degli strumenti di lavoro, i quali avrebbero dovuto intendersi di proprietà aziendale, con assunzione dei relativi costi di gestione da parte del datore.

Ciò nondimeno alcuni accordi affermano che la cessione della strumentazione avviene in comodato ai sensi degli artt. 1803 e ss. cod. civ..

Questa clausola può comportare, potenzialmente, un duplice ordine di effetti per il telelavoratore comodatario: un effetto di assunzione dell'onere economico per l'uso della cosa (ai sensi dell'art. 1808, 1° comma, il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa) ed un effetto di assunzione di responsabilità per il perimento della cosa (ai sensi dell'art. 1805, 1° comma, il comodatario è responsabile se la cosa perisce per un caso fortuito a cui poteva sottrarla sostituendola con la cosa propria o se, potendo salvare una delle due cose, ha preferito la propria, e, ai sensi del successivo 2° comma, il comodatario che impiega la cosa per un uso diverso o per un tempo più lungo di quello a lui consentito, è responsabile della perdita avvenuta per causa a lui non imputabile, qualora non provi che la cosa sarebbe perita anche se non l'avesse impiegata per l'uso diverso o l'avesse restituita a tempo debito).

In concreto, quanto al primo effetto, si può osservare che gli accordi che prevedono la cessione in comodato prevedono anche che le spese connesse all'installazione e gestione della postazione di telelavoro presso il domicilio del lavoratore sono a carico dell'azienda.

Con riferimento al secondo effetto, tralasciando l'ipotesi di scuola del 1° comma, occorre verificare se gli accordi citati limitino l'utilizzo della cosa a quello aziendale oppure ne "tollerino" un uso privato. Su questo aspetto, l'accordo nazionale del 20/6/97 è silente, come pure l'accordo DUN & BRADSTREET. Pare quindi si possa concludere che le ipotesi di comodato in oggetto ammettano un uso dello strumento anche per fini privati (ad esempio, il telelavoratore potrebbe, nel tempo libero e a sue spese, "navigare" in INTERNET), senza che ciò comporti una sua responsabilità ex art. 1805, 2° comma, in caso di perimento della cosa.

Si osservi che, a fronte della facoltà di un uso privato dello strumento informatico che si verrebbe così a costituire, la presunzione di legittimità in materia di controlli a distanza, così come configurata dai detti accordi, assume valenze ancor maggiormente negative, proprio in considerazione di questa sorte di "compenetrazione informatica" tra sfera lavorativa e sfera privata.

L'accordo DIGITAL esclude invece la facoltà di uso privato degli strumenti dati in comodato.

La soluzione prevista dagli altri accordi comporta l'assegnazione di mero fatto dello strumento al telelavoratore, che lo detiene, a fronte dell' obbligo di utilizzarlo esclusivamente per la prestazione di lavoro e del rimborso dei costi di gestione da parte del datore.

 

 

 

. La cessazione del rapporto di telelavoro;

4. La cessazione del rapporto di telelavoro. Sotto il profilo teorico, ed in modo esattamente speculare a quanto avviene nella fase costitutiva, la cessazione del rapporto di telelavoro può coincidere tout court con la cessazione del rapporto di lavoro oppure può dar luogo alla trasformazione del rapporto che prosegue ma con modalità di esecuzione tradizionali.

Sotto il primo profilo, non mi pare che si possa parlare di una specificità della cessazione del rapporto di telelavoro, rispetto alle regole generali sulla risoluzione del rapporto di lavoro, sia in ordine alle causali, sia in ordine agli effetti.

Sotto il secondo profilo, è stato invece osservato che "il telelavoro dovrebbe avere almeno tre caratteristiche importanti: nascere da una scelta volontaria, non divenire una decisione irreversibile, non assumere uno status "assoluto" . L'idea di lavorare sempre fuori dall'azienda può essere bislacca, come dimostra il dramma della protagonista del film The Net che, a forza di vivere in casa davanti agli schermi dei suoi computer, diviene una sconosciuta per tutti ... E' indispensabile insomma una grande flessibilità e duttilità ..... flessibilità (che), per ergersi a diritto, ha bisogno di qualche forma di regolazione sociale".

Il problema della trasformazione del rapporto di telelavoro in rapporto di lavoro 'interno' si sostanzia dunque nella verifica della sussistenza di queste forme di regolazione sociale.

 

.1. Le clausole di reversibilità;

4.1. Le clausole di reversibilità. Una prima forma di regolazione può essere costituita dalle clausole di reversibilità previste dalla contrattazione collettiva.

Alcuni degli accordi sindacali esaminati contemplano tali clausole.

Così l'accordo nazionale del 20/6/97 per i dipendenti delle aziende del terziario, distribuzione e servizi, che afferma, tra i principi di disciplina del rapporto di telelavoro, "la possibilità di reversibilità del rapporto, trascorso un periodo di tempo da definire in caso di trasformazione, ferma restando la volontarietà delle parti" (cfr. art. 3, punto 2).

Così anche, fra gli accordi aziendali, l'accordo ITALTEL; l'accordo SEAT; l'accordo TELECOM e l'accordo DIGITAL.

.2. Da telelavoratore a lavoratore 'interno' subordinato ?;

4.2. Da telelavoratore a lavoratore 'interno' subordinato? Nell'ipotesi di assenza di norme di fonte contrattuale, resta da verificare se il telelavoratore possa invocare norme di fonte legislativa per regolare l'eventuale ritorno alla condizione di lavoratore 'interno'.

Al proposito, si può osservare che, specularmente a quanto si verifica nel caso di costituzione a titolo derivativo del rapporto di telelavoro, anche nel caso della trasformazione inversa, il potere datoriale di conformazione spaziale del rapporto dovrebbe soggiacere ai limiti di cui all'art. 2103 cod. civ., 1° comma, ult. parte. In altre parole, il datore potrebbe esercitarlo unilateralmente solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Si potrebbe, inoltre, ipotizzare che, assumendo il rapporto di telelavoro come rapporto atipico, trovino applicazione, in via analogica, le previsioni di cui all'art. 5, comma 3 bis, legge 863/84, che configurano una sorta di diritto di prelazione costituito in capo ai lavoratori a tempo parziale, da far valere nel caso in cui il datore di lavoro proceda ad assunzioni a tempo pieno, con la facoltà degli stessi part timer di convertire a tempo pieno i loro rapporti. Ove si accedesse a tale interpretazione, il telelavoratore avrebbe la facoltà di convertire il proprio rapporto in rapporto 'interno', qualora il datore intendesse procedere ad assunzioni per posizioni di lavoro 'interne'.

 

. Cenni sul diritto sindacale del telelavoro;

5. Cenni sul diritto sindacale del telelavoro. E' stato affermato che il diritto sindacale del telelavoro è tutto da inventare. Del resto risulta sufficientemente intuitivo che, nell'ambito del rapporto di telelavoro, la partecipazione alle attività e alle azioni sindacali è certamente ostacolata dalla condizione di isolamento del telelavoratore rispetto ai colleghi e dall'indebolimento del legame tra lo stesso e l'impresa, con la conseguenza di vanificare o quantomeno di attenuare fortemente le possibilità di tutela collettiva.

Paradigmatico delle difficoltà di esercizio effettivo dei diritti sindacali da parte dei telelavoratori è, in primo luogo, il tema dell'autotutela collettiva, per il quale "se il ricorso ai tradizionali strumenti di lotta è astrattamente configurabile, non è tuttavia facile che si realizzi quella aggregazione necessaria per concretizzare l'astensione concertata dal lavoro. In ipotesi, le varie fasi in cui si articola uno sciopero potrebbero realizzarsi sempre in via telematica: dalla proclamazione, alla adesione dei singoli lavoratori -che si rivelerebbe assolutamente necessaria per manifestare la propria volontà in tal senso-, alla stessa astensione della prestazione, che potrebbe concretizzarsi nello spegnimento del terminale. La qual cosa consentirebbe la valutazione dell'ammontare della corrispondente trattenuta sulla retribuzione".

Per quanto riguarda poi l'esercizio dell'attività sindacale, va osservato che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del Titolo III dello Statuto dei lavoratori, la soglia numerica prevista dall' art. 35 dello Statuto non costituisce una "barriera" al riconoscimento delle prerogative e delle guarentigie sindacali in situazioni di telelavoro. Non sarebbe certo accettabile il considerare ciascuna postazione esterna di telelavoro come "unità produttiva". Infatti, il necessario collegamento con l'azienda -requisito assolutamente caratterizzante la figura- impone di concludere nel senso che, costituendo la postazione di telelavoro non già un' entità "autonoma" ma piuttosto un'entità legata al ciclo produttivo del "datore di lavoro" o del "centro di imputazione della prestazione", l' unità produttiva andrà identificata con "l'insieme di tutti i soggetti -compresi i telelavoratori- che concorrono alla realizzazione dell'attività per la quale risultano coordinati, dimostrandosi naturalmente a tal fine irrilevante la loro dislocazione sullo stesso territorio comunale".

Un terzo ordine di questioni, logicamente connesso al precedente, riguarda l'eventuale adeguamento delle norme del titolo III dello Statuto dei lavoratori, per renderle compatibili con la realtà delle aziende che impieghino telelavoratori. Tale adeguamento può essere meramente funzionale, oppure può essere un adeguamento tipicamente informatico.

E' stato osservato che un elemento di debolezza della contrattazione esistente è rappresentato dalla "genericità con cui si affronta la questione dei diritti sindacali".

Benché lo studio si limiti a considerare gli accordi aziendali e, fra questi, non consideri l'accordo IBM del 29/1/97, che viceversa ha per proprio oggetto esclusivo la bacheca sindacale elettronica, l'osservazione pare condivisibile.

Il CCNL 9/9/96 per le aziende di telecomunicazioni aderenti all'INTERSIND, si limita ad un formula assai generica, secondo cui "le sperimentazioni (di telelavoro) individueranno ... le necessarie garanzie che consentano al lavoratore il soddisfacimento delle particolari esigenze formative, informative, di socializzazione e di comunicazione, anche per quanto attiene alle tematiche di natura sindacale".

L'accordo nazionale 20/6/97 per le aziende del terziario, distribuzione e servizi, prevede che "ai lavoratori che espletino telelavoro, viene riconosciuto il diritto di accesso all'attività sindacale che si svolge in azienda, tramite l'istituzione di una bacheca elettronica, o altro sistema di connessione a cura dell'azienda. Tale diritto è finalizzato a consentire ai telelavoratori di accedere alle informazioni di interesse sindacale e lavorativo, ivi compresi i dibattiti di natura sindacale in corso in azienda".

Più generiche, in effetti, le formule degli accordi aziendali che contengono previsioni in materia.

L'accordo ITALTEL prevede che "la "continuità delle comunicazioni" (tra azienda e telelavoratore) riguarderà anche le informazioni sindacali a cura della RSU, adottando i sistemi più idonei (posta elettronica, fax, ecc.), peraltro nel rispetto della volontà e della privacy dei singoli", mentre in occasione delle riunioni di verifica "potranno essere previste anche riunioni congiunte Azienda/RSU con i telelavoristi e incontri degli stessi con la sola RSU".

L'accordo SEAT prevede, del tutto genericamente, che "al fine di salvaguardare i diritti sindacali, l'Azienda metterà i Rappresentanti dei lavoratori in condizione di comunicare con i telelavoratori".

L'accordo DUN & BRADSTREET prevede la possibilità che le comunicazioni sindacali siano effettuate, oltre che con i sistemi tradizionali, anche con i supporti telematici/informatici (art. 2.7 - diritti di informazione).

L'accordo TELECOM utilizza la formula "le agibilità sindacali saranno compatibilizzate con le caratteristiche specifiche dell'attività lavorativa".

L'accordo DIGITAL condiziona l'utilizzo del fax o di altri strumenti elettronici per le comunicazioni sindacali, alla circostanza che gli stessi siano "resi disponibili per tutti gli impiegati DIGITAL ITALIA".

Sul tema dei diritti sindacali in situazioni di telelavoro (o comunque di azienda telematica), iniziano, peraltro, ad esservi alcune prime pronunzie giurisprudenziali.

Ci si riferisce, in primo luogo, alla decisione del Pretore di Milano con la quale è stata ritenuta antisindacale la condotta consistita nel rifiuto del datore di lavoro di mettere a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali una bacheca elettronica, all'interno del sistema informatico aziendale di comunicazione, in violazione dell'art. 25 Stat. lav., norma che deve essere interpretata e applicata in relazione all'evoluzione della specifica organizzazione aziendale. Ai fini della presente trattazione, si noti come la rilevante presenza di azienda di "telelavoratori mobili" sia stata presa in considerazione nell'iter argomentativo della decisione.

Una seconda, recente decisione del Pretore di Milano, resa in una più ampia vicenda di antisindacalità, ha poi dichiarato illegittimi "la pretesa di proibire alla rsa l'utilizzo della posta elettronica per comunicazioni di carattere sindacale, (nonché il) provvedimento cautelare di disattivazione della casella di posta elettronica (del rappresentante sindacale)".

Il Pretore osserva, dapprima, che la "bacheca sindacale" è "nozione suscettibile di essere spogliata degli usuali caratteri e persino di ogni tratto di materialità (con la conseguenza che deve ritenersi ammissibile, in via di interpretazione, una sua natura e dimensione "elettronica", in forme organizzative del lavoro diverse da quelle della fabbrica o dell'ufficio tradizionali e, in particolare, nel c.d. "telelavoro")". Proseguendo nel suo iter argomentativo, si chiede poi se la disposizione dell' art. 25 Stat. lav. "concluda ed esaurisca le forme della comunicazione sindacale nell'unità produttiva" e conclude, osservando che "le disposizioni di cui agli artt. 1, 14 e 26 co. 1° l. n. 300/1970, sembrano consentire una risposta negativa con l'unico limite ... dell'assenza di pregiudizio al normale svolgimento dell'attività aziendale ... (e che) ... non pare, inoltre, coerente e realistico limitare i modi della comunicazione tra r.s.a. e lavoratori, all'interno dell'unità produttiva, al solo diritto di affissione, in strutture organizzative aziendali ormai profondamente mutate, nelle quali i tradizionali e usati spazi di aggregazione si sono ridotti (o sono addirittura scomparsi) e nelle quali il "computer", con le sue procedure informatiche, anche informative e di collegamento, rappresenta la presenza stabile e centrale del luogo della prestazione e l'interlocutore privilegiato (se non unico) del lavoratore".

*

Vi è un ulteriore aspetto dell'impatto della telematica sull'assetto dei diritti sindacali, che vale la pena di accennare. Si tratta dell'eventuale alterazione, derivante dalle intrinseche caratteristiche della tecnologia, dell'equilibrio potere datoriale-contropotere sindacale stabilito dal nostro ordinamento.

La tesi presuppone una idea della tecnica che, superando la tradizionale concezione di "una tecnologia bifronte, buona o cattiva a seconda della volontà di chi la usa", ritenga invece che "il concreto ruolo di una tecnologia deriva anzitutto dalla sua forma e dalle sue specifiche modalità d'uso, che contribuiscono a definirne senso e portata sociale".

Il presupposto ulteriore è quello di un sistema telematico aziendale all'interno del quale:

• il datore di lavoro sia in grado di indirizzare i propri messaggi, in modo pervasivo ed in tempo reale, verso tutti gli utenti del sistema;

• il soggetto sindacale non ha eguale facoltà;

• i singoli utenti non l'hanno tra di loro, salvo che per le comunicazioni inerenti lo svolgimento della prestazione.

Il modello che ne deriva può definirsi un modello di comunicazione verticale, modello intrinsecamente autoritario, contrapposto ad uno, pluralistico, di tipo orizzontale.

Ciò premesso, il quesito che si pone è se tale "modello verticale di comunicazione telematica" sia, indipendentemente dai contenuti dei messaggi trasmessi dal datore di lavoro, compatibile con il modello di articolazione dialettica dei poteri nell'impresa, così come presupposto dalla Costituzione ed inverato dallo Statuto.

Non è certo questa la sede per affrontare compiutamente un argomento di tale spessore. Ciò nondimeno è suggestivo osservare che le due citate pronunzie giurisprudenziali paiono abbozzare risposte difformi a questioni sostanzialmente analoghe.

La pronunzia resa nel caso IBM nega, infatti, che costituisca condotta antisindacale l'utilizzazione da parte del datore di lavoro del sistema informatico di posta elettronica per comunicare direttamente con i propri dipendenti, il tutto sul presupposto che "lo strumento ... non è in quanto tale buono o cattivo". Sul punto è stato però osservato che "la soluzione adottata ... può comunque indurre a riflettere sulla verità dell'assunto per cui il mezzo in sé non è né "buono", né "cattivo", in quanto esistono alcuni mezzi che, a causa dello straordinario potere che attribuiscono a chi li possiede, devono essere regolamentati proprio in virtù delle loro caratteristiche e non dell'eventuale uso "buono" o "cattivo" che se ne può fare.

Indubbiamente le tecnologie informatiche presentano caratteristiche tali da non consentirne una equiparazione, se non molto approssimativa, ai mezzi di comunicazione tradizionali ... di conseguenza, ciò che rileva è che la natura, la capacità e l'efficacia dei mezzi informatici li rendono di per sé uno strumento di potere. Ora, se lo spirito della normativa di tutela della attività sindacale è proprio quello di favorire l'equilibrio dei poteri in conflitto rafforzando il contropotere sindacale, è evidente che una interpretazione evolutiva di tale disciplina non può che ricercare i mezzi per rendere effettiva e concreta la capacità sindacale di confrontarsi con il potere aziendale, evolvendosi di pari passo ... La procedimentalizzazione dei poteri discrezionali d'impresa impone una regolamentazione dell'uso degli strumenti informatici indipendentemente dall'uso concreto che l'azienda può farne dato che è proprio il mezzo stesso ad essere "pericoloso" ... ".

La seconda decisione si apre invece ad interessanti sviluppi, laddove argomenta che "non è senza rilievo che il comportamento addebitato alla r.s.a. sia stato posto in essere in pura e semplice replica all'utilizzo dello strumento della posta elettronica da parte dell'azienda, al fine di raggiungere, con la rapidità e la capillarità garantite da tale strumento, tutti i dipendenti in servizio e al fine di presentare in tal modo direttamente a ciascuno, con un rilevante anticipo sui tempi di elaborazione e di comunicazione di qualsiasi diversa risposta, le linee di azione e gli orientamenti aziendali.

Se può anche rifiutarsi l'idea che il conflitto sindacale debba essere una contesa "ad armi pari", è certo comunque che non vi si può ragionevolmente ammettere un troppo forte squilibrio ... tra gli strumenti a disposizione delle parti in conflitto, che devono essere poste in grado di esprimere e far conoscere, in un quadro di sostanziale pariteticità, le proprie determinazioni ... ".