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Scambio occupazione fra pubblico e privato

di Giuliano Bavila


Da: Forum sull'Organizzazione del Lavoro


Le aziende private tendono a disfarsi dei lavoratori ultra cinquantenni per sostituirli con giovani perché meno costosi, più entusiasti e dotati di una mentalità più compatibile con la competitività del mercato. La riduzione del personale anziano viene attuata con onerosi prepensionamenti o con dimissioni incentivate. Le aziende, in fin dei conti, lamentano la scarsa flessibilità del lavoro e rifuggono l'espansione qualora comporti un allargamento dell'occupazione. Valutano un rischio eccessivo i 37 anni di anzianità di un lavoratore nella stessa azienda.

Le aziende pubbliche soffrono di apatia in quanto hanno la difficoltà di premiare i meriti dei propri dipendenti, hanno scarsa necessità di capacità d'analisi e indirizzo del mercato (marketing) come nelle aziende private e, soprattutto, una facile tendenza a ignorare le esigenze degli utenti e del loro desiderio di qualità specialmente se raffrontata agli alti costi produttivi.

Non si comprende perché le aziende pubbliche, pur avendo caratteristiche tanto diverse dalle aziende private, ricorrano alle stesse risorse che sono molto utili a queste ultime: i giovani. Questi, per giunta, ricercano un impiego pubblico solo per mancanza di alternative perché, se è vero che un posto pubblico è molto appetibile per la sicurezza del lavoro, è anche vero che non entusiasma per le prospettive economiche o di carriera. Diventa inevitabile finire col fare qualsiasi lavoro, anche se antitetico alle proprie attitudini e aspirazioni e le conseguenze sono i brutti risultati a noi noti.

Pensiamo a come funzionano scuola, sanità, giustizia, trasporti, poste, amministrazioni comunali, regionali, provinciali ecc.: sono straboccanti di persone frustrate e apatiche. Oppure, ed ecco un altro grave difetto, sono troppo interessate, il che è anche peggio: responsabili inamovibili tengono le fila di grandi ragnatele di interessi di parte che finiscono col diventare supporto per le attività illegali alimentando una serie di protezioni reciproche per garantirsi maggior potere. Tra l'altro, siccome soffriamo di un penoso livello di disoccupazione, soprattutto giovanile, assistiamo a concorsi in cui per poche decine di posti partecipano molte migliaia di aspiranti.

Perché le aziende private e quelle pubbliche non si scambiano il personale?

Perché non eliminiamo tutti i concorsi pubblici?

La proposta è questa:

Alle aziende pubbliche ci vadano, e senza concorso, persone ultra cinquantenni provenienti da aziende private favorendole così nel desiderio di flessibilità e rendendosi esse stesse più flessibili in conseguenza del fatto che il proprio personale entro sette anni (57 meno 50) maturerebbe l'età minima pensionabile. Questi lavoratori avrebbero il vantaggio di svolgere un lavoro di pubblica utilità, per giunta con maggiori possibilità di scelta, unitamente al vantaggio di sottrarsi ai ritmi stressanti delle aziende private. Altro vantaggio potrebbe essere quello di avvicinarsi al proprio domicilio riducendo l'enorme pendolarismo i cui costi sociali sono altissimi. Inoltre, vista la loro breve residua permanenza lavorativa (7 anni), potrebbero essere assunti in sovrannumero per particolari periodi che comportino picchi di lavoro in settori quali fisco, scuola, giustizia, Comune, Regione, Provincia, poste, lavori pubblici, cultura, patrimonio artistico o naturale, protezione civile, assistenza ecc. in quanto facilmente variabili di volume in tempi relativamente brevi.

Questi lavoratori potrebbero anche fluttuare da un settore all'altro, sia per insoddisfazione nella nuova mansione, e sia per curiosità personale. Infine si potrebbe offrire loro una maggiore permanenza al lavoro oltre l'età pensionabile con lavori part-time (a ore, a giorni, a mesi o anche a stagioni) nei settori più vari: turismo, scuola, musei e mostre, attività assistenziali necessarie in estate o inverno.

Chi più di un ex utente potrebbe meglio interpretare le esigenze del pubblico e, finalmente, potremmo sperare in un miglioramento della comprensione dei nostri bisogni e istanze. I tempi sono profondamente cambiati e non è possibile sperare che le vecchie regole possano essere sufficienti. Non ha più molto senso considerare il settore pubblico e quello privato come si à fatto fino ad ora. Il settore pubblico deve sempre più efficacemente sopperire alle nuove esigenze della società moderna a partire da una funzione di stimolazione e supporto delle nuove esigenze del settore privato.

Lo Stato con tutte le sue attività occupa più di tre milioni di addetti e spesso la loro attività richiede una responsabilità ben superiore alla mera produttività. I nostri sportelli per i servizi al pubblico sono spesso disumani, i nostri insegnanti mancano di esperienza pratica e mancano di aggiornamento sia per le innovazioni scientifiche e sia per le più moderne metodologie divulgative, la nostra sanità non è capace di ascolto, la nostra cultura e il nostro patrimonio artistico sbiadiscono, i nostri amministratori sono svogliati e distratti, le risorse naturali vanno in distruzione. Servono nuove energie di persone mature con un più alto grado di responsabilità e preparazione professionale e queste energie sono facilmente reperibili nel settore privato che, per la competitività del mercato, è il più capace di realizzare.

La flessibilità non deve significare precarietà o incertezza, bensì ricchezza e miglioramento. Va qui chiarito che ogni prospettiva di attività in settore pubblico deve essere volontariamente accolta dal lavoratore dell'azienda cedente e liberamente scelta dall'azienda pubblica ed è anche in questo che serve introdurre regole di mercato: chi cede persone dovrà rendere appetibile la cessione e chi acquisisce dovrà imparare a comprare il meglio che c'è in offerta. In cambio l'azienda privata che cede un suo dipendente si impegna all'assunzione a tempo indeterminato di un giovane.

Si può facilmente intuire come questo scambio di lavoratori dal settore privato a quello pubblico in cambio di nuove assunzioni di giovani vada a vantaggio di una maggiore occupazione in quanto l'imprenditore privato assume un giovane per un massimo di 30 anni mentre il settore pubblico lo assume solo per 7 anni. Questa automatica crescita dell'occupazione produrrebbe un maggiore apporto tributario e quindi darebbe spazio a una riduzione del carico fiscale per accelerare la riduzione del costo del lavoro soprattutto per le aziende private che verrebbero stimolate ad accrescere le opportunità imprenditoriali. Inoltre il settore pubblico potrebbe migliorare la politica retributiva per favorire il fenomeno trasfusionale dei lavoratori a cui aspirare e, pilotando i propri flussi occupazionali, otterrebbe più efficacemente il raggiungimento della piena occupazione.

Ovviamente vi sono settori molto limitati in cui il passaggio dal privato al pubblico sarebbe meno possibile, come in quelli dove l'operatività richieda una vigoria fisica o vincoli istituzionali particolarmente delicati (es. giudici, ordine pubblico, militari) o una professionalità in cui l'esperienza è la principale dote (es. personale medico o paramedico). Ma occorre non confondere queste attività con quelle che ne sono semplicemente di supporto quali amministrazione, gestione, controllo ecc. Non ha senso incontrare infermieri agli sportelli, agenti di polizia in uffici amministrativi. Persino in settori militari sono impropri una serie di ruoli gestionali che se svolti da militari diventano poco credibili.

Un altro aspetto sociale particolarmente delicato, che spesso è una odiosa cambiale per la collettività, riguarda gli anziani senza pensione o i disoccupati che fino a cinquant'anni non hanno mai lavorato (o che si trovino comunque senza lavoro) e che presto soffriranno una penosa indigenza. Questi potrebbero finalmente essere impiegati nel settore pubblico e cominciare a costruirsi una pensione almeno minima evitandogli un futuro di indigenza in tarda età.

Giuliano Bavila

Segrate, 20 luglio 1999