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Centralità della periferia


Da: Forum; Politica aziendale; Telelavoro


L'ingarbugliata trattativa attualmente in corso in IBM (di cui al momento non è possibile prevedere l'esito) riguarda, fra altre questioni importanti, un punto che le RSU IBM ritengono particolarmente qualificante: la difesa del ruolo e della consistenza quantitativa e qualitativa delle filiali distribuite sul territorio.
Esistono delle ragioni strettamente sindacali che da sole giustificherebbero a sufficienza questa linea, a incominciare dalla preoccupazione che il progressivo assottigliamento delle forze disponibili in periferia renda prima o poi inevitabile la chiusura delle sedi minori, ponendo gli ultimi rimasti di fronte alla scelta secca di trasferirsi a centinaia di chilometri di distanza o di lasciare l'azienda. Altri elementi sono le minori possibilità di sviluppo professionale, e l'aumento dei carichi di lavoro - non ultimi i tempi e le fatiche di viaggio - dovendo sempre meno persone seguire aree geografiche ormai molto vaste. (In molti casi la possibilità di svolgere parte della propria attività professionale in telelavoro ridurrebbe la necessità di spostamenti, ma finora IBM ha respinto le richieste delle RSU di regolare questa materia).

A queste e altre considerazioni più strettamente legate alla salvaguardia delle condizioni di lavoro e ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori di IBM Italia, vorrei aggiungere un interrogativo più generale che riguarda le prospettive di questa azienda per i prossimi anni.
La rivoluzione tecnologica e organizzativa che stiamo vivendo - l'interconessione in rete informatica di centinaia di milioni di persone, aziende, istituzioni - può essere affrontata da IBM adottando vari modelli organizzativi, e il futuro aziendale sarà in buona misura determinato dalle caratteristiche del modello assunto.

Estremizzando per brevità e chiarezza, possiamo ragionare su due case study opposti.

Nel primo, si assume che la Rete permetta anche a realtà lontane dalle aree di maggiore ricchezza economica di farsi avanti e inserirsi nel processo di sviluppo sfruttando vantaggi competitivi legati al proprio territorio e a competenze professionali specifiche (scolarità, bassi costi, senso artistico, capacità artigianali o cooperative, risorse fisiche come miniere, clima o coltivazioni particolari). In questo scenario, il delta di opportunità che la Rete offre alle periferie è maggiore di quello che aggiunge alle metropoli, nelle quali molte sinergie erano comunque già presenti ed efficaci (per esempio il circuito università - innovazione tecnologica - comunicazione specializzata). Da ciò se ne dedurrebbe che un'azienda come IBM dovrebbe irrobustire maggiormente le strutture territoriali e considerare per esempio i clienti attualmente inseriti nel Mercato Base come una specie di "serra", da cui aspettarsi in poco tempo qualcosa di più interessante di qualche upgrade all'AS/400.

Nel secondo caso, si può vedere nella Rete l'occasione per ridurre drasticamente i costi di struttura e relazione, mettendo in contatto diretto il cliente con un'IBM "virtuale", da contattare principalmente se non esclusivamente via Internet (l'ormai famoso B2B, Business-To-Business). Le risorse umane di IBM possone essere fisicamente collocate ovunque ci sia aria respirabile, acqua, cibo, e accesso alla Rete. In questo modello, i due sistemi - IBM e il suo mercato - sono geograficamente disaccoppiati: la distribuzione spaziale del primo non ha alcuna relazione forte con quella del secondo. Questo approccio forse può funzionare - e in effetti in parte già funziona - nei confronti di grandi aziende clienti, specie multinazionali, già omogenee all'offerta IBM per la familiarità con lingua inglese, le consuetudini commerciali internazionali, gli standard tecnologici e organizzativi adottati. Meno evidente è che i clienti di dimensioni più ridotte non preferiscano fornitori che percepiscono come culturalmente più vicini, e che quindi in questo modo non sfugga il contatto con quelle "opportunità periferiche" di cui si ipotizzava al punto precedente. Comunque sia, se il modello adottato da IBM è più simile a questo secondo, ben si capisce il desiderio di IBM di far sparire più o meno rapidamente le filiali territoriali.
Disgraziatamente, se questo è il modello, la stessa IBM Italia può essere considerata una filiale periferica di IBM World Trade.
Insomma: se un cliente di Napoli o di Palermo può essere seguito da Milano o Roma anche in assenza di riferimenti locali, allora potrebbe essere gestito altrettanto bene da Dublino, Budapest o Capetown. Ma in questo caso, le numerosi assunzioni di giovani di cui IBM Italia si vanta (e che sono in sé un'ottima cosa, naturalmente, per le quali lo stesso sindacato si è battuto), rischiano di entrare in conflitto con scelte sovraordinate che potrebbero costringere a drastici dimagrimenti. Esiste, a questo proposito, il notevole precedente della crisi dei primi anni Novanta, in cui si passò in pochi mesi dalle assunzioni a tutto spiano all'espulsione traumatica di quote consistenti di impiegati e operai.
Non vorremmo, insomma, assistere alla preparazione delle condizioni per una trattativa sulla mobilità nel 2003 o nel 2004.
La lettura dei bilanci di IBM Italia (SpA e Gruppo) non ci conforta particolarmente. Dal 1993 al 1999 il capitale investito del Gruppo diminuisce di circa il 20%, mentre il patrimonio netto si riduce a poco più di un terzo, con una progressione accelerata negli ultimi anni (la differenza è coperta da un crescente indebitamento, che rende la redditività aziendale sempre più vulnerabile da un eventuale aumento dei tassi di interesse). Questo fenomeno non ha alcun parallelo nei numeri di IBM WT: per lo stesso periodo 1993 - 1999 il patrimonio rimane all'incirca costante, mentre il capitale investito aumenta di circa il 10% (La forbice fra le due realtà apparirebbe ancor più divaricata se si tenesse conto del progressivo deprezzamento della lira rispetto al dollaro), Tutto ciò rafforza la sensazione di un lento disimpegno di IBM dall'Italia, e le vicende manifatturiere - il trasferimento in Irlanda della produzione dell'AS/400 e la successiva cessione degli stabilimenti a Celestica - non contraddicono certo questo quadro.

Con tutto ciò, non si vuole sostenere che tutte le scelte siano già state fatte, e che il futuro sia deterministicamente generato dalle condizioni attuali.
In tutto il mondo, e in particolare nell'Information Technology, ci sono tendenze contrastanti, e conflitti fra linee strategiche diverse.
Si può decidere. Ci si può schierare. Si può cercare di favorire gli uni o gli altri.

Giovanni Talpone

Milano, 27/9/2000