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LA GIUSTA CAUSA: MAI PIÙ LAVORI SENZA DIRITTI


Da: Diritti sindacali e dei lavoratori

Vedere anche : Documenti del Comitato per le libertà e i diritti sociali


Alla fine di agosto del 1999 costituimmo il Comitato per le libertà e i diritti sociali.

La prima spinta che ci mosse fu una reazione al silenzio – rotto solo dalle preoccupate interviste di Cofferati - che da sinistra “rispondeva” alla chiassosa campagna avviata dai radicali per raccogliere le firme sui referendum cosiddetti sociali. Ci chiedevamo come fosse possibile tacere di fronte a chi spacciava per libertari quesiti che intaccavano la dignità, prima ancora dei diritti, delle persone che svolgono un lavoro dipendente e la nostra era una indignazione anche culturale oltre che politica.

Non fummo soli a reagire: il Comitato raccolse adesioni non solo nel mondo del lavoro, ma in ampi strati della società tra avvocati, docenti, giuristi oltre che parlamentari e sindacalisti e questo ci consentì di svolgere un compito utile con due risultati assai importanti.

Il primo fu quello di presentare una memoria alla Corte Costituzionale: novità assoluta, per i rappresentanti legali della parte avversa nel dibattimento sulla legittimità costituzionale dei quesiti referendari, che contribuì a cassare ben nove degli undici quesiti “sociali”.

Il secondo fu quello di contribuire alla vittoria dei NO nel voto del 20 maggio del 2000 sul referendum per l’abrogazione dell’art.18 S.d.L. Il comitato sostenne la necessità di votare, anche contro l’opinione di chi riteneva più conveniente far decadere i referendum con il mancato raggiungimento del quorum. Fu l’unica vittoria, sui quesiti ammessi, ottenuta anche perché la volontà popolare, che esprime il senso comune e l’opinione diffusa, a maggio 2000 non era ancora pronta a superare l’ultimo ostacolo al totale dispiegamento dell’arbitrio nei luoghi di lavoro. Sugli altri quesiti una campagna martellante fece breccia, non passò cioè l’idea che si potesse rinunciare alla tutela legale contro la sopraffazione sul cardine della vita di una persona: il suo posto di lavoro.

Oggi, quindi, possiamo partire da quel lavoro e da questo dato per costruire una proposta che nasce anch’essa da una reazione indignata alla debolezza con la quale si risponde, nella società e nella sinistra, al più radicale degli attacchi al sistema di regole e diritti costruiti in un secolo di lotte sociali, politiche e giuridiche che riguardano il lavoro.

Certo molte cose sono cambiate da quando lo Statuto dei Lavoratori diventò legge nel maggio del 1970.

L’Italia degli anni 70 era quella del grande protagonismo sindacale sia all’interno delle grandi fabbriche sia nella società che evolveva nella cultura e nel costume. A questo processo corrispondeva la crescita della sinistra politica, culminata nel voto a metà degli anni 70.

Oggi, trent’anni dopo, siamo di fronte alla crisi della politica, e quindi della sinistra, che ha radici profonde prima di tutto nella grande difficoltà ad affrontare la questione dei diritti sociali dopo l’enorme rimescolamento di carte di questi anni.

In questi trent’anni sono profondamente cambiati la struttura produttiva, l’organizzazione e il mercato del lavoro.

Ÿ         gli addetti nelle medie e grandi imprese erano maggioranza: ora il rapporto si è rovesciato a favore delle imprese sotto i 15 dipendenti

Ÿ         negli ultimi dieci anni si è rovesciato anche il rapporto tra lavoro a tempo determinato e lavoro a tempo indeterminato: ora oltre il 60% dei contratti è atipico;

Ÿ         si è ridisegnata la struttura sociale con due grandi fratture che si intersecano tra loro: una tra lavoro ed esclusione sociale e una tra lavoro regolare e lavoro irregolare.

Ÿ         è andato in pezzi il vecchio sistema per cui lo sviluppo dell’industrialismo, attraverso la concentrazione e la massificazione del lavoro, favoriva lo sviluppo della sinistra e la sua organizzazione: il sindacato sul fronte sociale, il partito su quello politico-istituzionale

In questo scenario il “libro bianco” del ministro Maroni e la legge delega sul mercato del lavoro, di cui la sospensione dell’articolo 18 SdL è solo la punta dell’iceberg, stravolgono l’intero diritto del lavoro - dalla tutela si passa alla istituzionalizzazione della precarietà – e propongono una vera, profonda rivoluzione del patto sociale su cui si regge la Costituzione dello stato italiano. Una rivoluzione che il governo Berlusconi è ben intenzionato a portare a compimento, forte della sua maggioranza e della debolezza dell’opposizione.

Mentre

Ÿ         si celebrano i centenari della fondazione delle prime Camere del Lavoro che segnano la nascita del movimento operaio e del percorso di conquiste sociali, civili, politiche che ha caratterizzato il secolo scorso;

Ÿ         mentre in Europa si comincia a utilizzare la Carta dei diritti fondamentali sul piano anche legale;

il governo italiano vuole cancellare, nel tempo di applicazione della legge delega (uno/due anni), tutta questa storia e portare il Paese alle condizioni da cui cercano ora di uscire i Paesi del terzo mondo.

Di fronte a ciò l’opposizione parla d’altro: “Rutelli schiera l’Ulivo” era uno dei primi titoli del nuovo anno. Contro l’aumento a raffica di tariffe e tasse regionali, lo sfascio della sanità o la privatizzazione della scuola, in difesa del mondo del lavoro sottoposto al più violento attacco dopo Bava Beccaris? No, contro qualsiasi debolezza sul conflitto di interessi, forse al penultimo posto tra i problemi degli italiani, dopo che il governo di centro-sinistra ha fatto di tutto per non affrontarlo.

Il sindacato, e in particolare la CGIL, è solo, in una terra di nessuno:

Ÿ         tra le incompiute della passata maggioranza sulla legislazione in tema di rappresentanza nei luoghi di lavoro, di lavoro atipico e di telelavoro;

Ÿ         e gli attacchi dell’attuale maggioranza che si appresta a dare il colpo di grazia a un sindacalismo confederale in crisi di rappresentanza per quanto riguarda i nuovi lavori e in crisi politica dopo la rottura dell’unità con le firme separate dal patto di Milano al Contratto dei Metalmeccanici.

Anche il nuovo scenario determinato dagli attacchi terroristici dell’11 settembre, il clima di guerra con i suoi inevitabili riflessi e le nuove limitazioni alle libertà personali favoriscono questa deriva.

Non è possibile rispondere a questo attacco a tappeto limitandosi a un’azione, puramente difensiva e di contenimento, dell’aggressività di una destra che ha vinto con un programma chiarissimo:

Ÿ         impresa e competitività al governo dell’economia, del lavoro e dello stato sociale;

Ÿ         attacco al modello universale di scuola e sanità;

Ÿ         messa in discussione della mediazione sociale realizzata attraverso il ruolo delle rappresentanze sociali e politiche su cui si fonda la nostra Costituzione.

La proposta del COMITATO PER LE LIBERTÀ E I DIRITTI SOCIALI, in un quadro così profondamente mutato e di fronte a un attacco così decisivo, è quella di mettere in campo un’azione altrettanto profonda e incisiva.

L’alternativa è secca: da una parte un mondo del lavoro senza diritti e quindi una società senza democrazia, dall’altra il tema dei diritti del lavoro, come fondamento della cittadinanza e dell’inclusione sociale nella struttura democratica, ricollocato al centro dello scontro politico.

Intorno a questa scelta netta si può rilanciare l’iniziativa, aggregando segmenti di società, riunificando i pezzi sparsi della sinistra sociale e politica, i nuovi movimenti e chiunque ritenga segno di civiltà e modello di convivenza il riconoscimento di dignità e diritti al lavoro.

La proposta che facciamo è quella di lanciare una grande campagna - estesa, unitaria, duratura e non episodica - su un progetto cardine del principio dell’universalità dei diritti che leghi insieme:

Ÿ         le questioni della rappresentanza, come diritto del cittadino lavoratore;

Ÿ         l’estensione dell’art.18 come diritto alla dignità della persona;

Ÿ         la parità dei diritti e delle tutele sul lavoro a prescindere anche dalla nazionalità del lavoratore.

L’atteggiamento difensivo che prevale a sinistra è destinato a spostare progressivamente sempre più indietro la trincea della tutela dei diritti (c’è per esempio, sull’articolo 18, chi può vedere anche con interesse la proposta dell’arbitrato che, eliminando il ricorso al giudice, cancella il deterrente del giudizio terzo e rimanda alle parti il potere di decidere). Occorre una campagna che affronti e ponga, nei luoghi di lavoro e nella società, la questione delle caratteristiche di un Paese civile nel terzo millennio e su questo sappia mobilitare le coscienze.

Per questo a noi pare oggi necessario rovesciare la logica dominante. Non difenderci, non resistere in trincee sempre più strette, dietro NO sempre più fievoli, ma contrapporre a un disegno chiaro, perseguito con determinazione, un altrettanto chiaro e determinato disegno: siamo convinti che su questo si giocano non solo i diritti e le condizioni di lavoro, ma il modello stesso di società e i livelli di civiltà del Paese.

Come strumento di questa campagna proponiamo un progetto articolato su una combinazione di referendum e di proposte di leggi di iniziativa popolare che ci veda impegnati, per tutto il 2002, con lo slogan:  “MAI PIÙ LAVORI SENZA DIRITTI”.

I referendum che proponiamo rendono praticabile: il principio della universalità dei diritti in generale, in particolare il principio di giustizia che non si può essere licenziati senza giusta causa come prevede anche la Carta europea dei diritti fondamentali e infine il principio secondo cui non si può ricevere un’offesa senza tutela.

In concreto essi riguardano quindi:

Ÿ         l’estensione dell’articolo 18, con l’abolizione della parte che ne limita l’applicazione alle aziende sopra i 15 dipendenti;

Ÿ         l’abolizione del decreto legislativo del settembre 2001, che di fatto vanifica l’efficacia dell’articolo 18 perché non pone limiti all’uso del part-time.

Ai referendum, e con essi strettamente intrecciati, si accompagnano le proposte di legge di iniziativa popolare sui diritti e le tutele dei lavori, sulla rappresentanza e il diritto di voto per quanto riguarda contratti e accordi sindacali: diritti elementari del cittadino lavoratore e completamento della definizione di cittadinanza (vedi anche le più di 350.000 firme dei metalmeccanici).

Per questo progetto a noi riserviamo il compito di lanciare la proposta: le forze del Comitato per le libertà e i diritti sociali non sono straordinarie, ma nella nostra scelta di lanciare questa proposta, ci ha confortato l’esperienza passata di lavoro insieme a soggetti, tra loro diversi, intorno all’obiettivo chiaro di respingere la barbarie di una società concepita come una giungla in cui prevale il diritto del più forte. E ci spinge la convinzione che, se non si tira il sasso, l’acqua non si increspa e oggi è necessario sollevare una tempesta sulla palude che ci sta inghiottendo.

A questo progetto noi vogliamo lavorare insieme con tutti coloro che ne condividono l’ispirazione e rifiutano la ideologia liberista e la pratica dell’arbitrio sociale. Siamo convinti che intorno a esso, senza logiche di primazia o di schieramento, si possa costruire un fronte sociale e politico molto ampio che:

Ÿ         restituisca alla sinistra le ragioni per un’azione unitaria, in una prospettiva di ricomposizione e di crescita intorno a un’idea di società solidale;

Ÿ         offra anche ai nuovi movimenti, come i molti Forum sociali che stanno crescendo dopo Genova e ai giovani che vi aderiscono con passione, l’occasione di una partecipazione e di una mobilitazione per cambiare oggi le condizioni della loro vita di domani.

 

Milano, gennaio 2002