Da: Forum;
Politica aziendale e risultati economici;
Quadri e dirigenti;
Sedi periferiche
Il team o la lobby?
di Francesco Alamia
Voglio soffermarmi, con questa breve analisi, su un fenomeno che, a mio parere, è stato ed è ancora poco considerato anche se presenta manifestazioni di potenziale criticità: il fenomeno del cosiddetto lobbing in azienda.
Premesso che non è mia intenzione vestire panni dell'idealista o teorico del bene collettivo, sono perfettamente cosciente delle esigenze personali e privatistiche all'interno dei gruppi sociali. Tuttavia penso che rivedere ogni tanto gli effetti potenziali di tali fenomeni può consentire a tutti noi di adoperarci affinché rientrino nella normale dimensione della vita di ogni persona o di ogni azienda.
Il fenomeno delle lobby è una caratteristica delle società nelle quali gli interessi di soggetti tra loro congruenti e sinergici convergono in una organica e solida organizzazione. Lo scopo è quello di tutelare gli interessi di categoria, tanto che possono essere considerate lobbies i sindacati, le associazioni, le filiere industriali, e persino le comunità territoriali. In questa accezione può apparire un elemento quasi positivo delle comunità.
Il lobbismo può però trasformarsi in un movimento di mutuo soccorso con il quale personaggi spesso di scarso spirito morale e aziendale si spalleggiano tacitamente col fine di proteggere e perpetuare la specie (loro). Normalmente il comune lobbista è potenzialmente un debole che posto in una situazione al di sopra delle proprie capacità cerca un sistema di sostegno e copertura, che gli consenta di sopravvivere anche contro gli eventi difficili da affrontare. In altri casi però il lobbista è un furbacchione, tutt'altro che debole, che sfrutta la incapacità, la negligenza, le illegittime aspirazioni di quanti si associano alla lobby, per condurre il gregge questo pensa degli altri - a sostegno della sua figura e dei suoi successori.
La caratteristica negativa principale del lobbismo italico è la sua natura segreta o di tacito interesse privato.
Uno dei comportamenti più diffusi e canonicamente più redditizi del lobbismo in azienda è quello di convincere i non associati che la lobby lavora per l'azienda e per il bene collettivo. Di conseguenza, chi non è d'accordo con il lobbista di turno non è aziendale e deve essere alienato forse mobbizzato ?- dai processi produttivi. In tal modo è possibile catechizzare i lavoratori per ottenerne il consenso e l'apatia consociativa. Il miglior metodo di sfruttamento dei lavoratori alle necessità delle lobby è quello dell'individualismo spinto. In pratica occorre individualizzare il rapporto tra il lavoratore ed il manager fino alle estreme conseguenze, al punto che lo stesso lavoratore possa identificare l'azienda nella lobby del manager ed ogni collega in un potenziale concorrente. Questa situazione porta ad incrementare velocemente il numero di aspiranti lobbisti e ad isolare i recalcitranti costringendoli prima o poi a sopravvivere in una specie di isolamento.
Esiste questo fenomeno in IBM?
Il modello americano sicuramente prevede manifestamente le lobby come elemento organico a qualunque organizzazione di persone ma qui siamo in Italia e le cose possono essere notevolmente diverse. In particolare sappiamo che in Italia certo lobbismo economico e sociale non è moralmente considerato un fenomeno positivo poiché indirizza l'interesse collettivo a favore di pochi. Se non è manifesto, come negli Stati Uniti, si configura come un atteggiamento di scarsa trasparenza e volto verso obiettivi illeciti. Provo a fare due esempi aziendali - per meglio descrivere i due aspetti.
· Il Sector o LOB (line of business), per il raggiungimento degli obiettivi assegnati, di fatto instaura un rapporto lobbistico all'interno dell'azienda che però è palese e volto comunque alla realizzazione di risultati calcolati nell'interesse collettivo, e cioè comunque aziendali. Questo concetto si estende poi verso il basso a tutto il Team di lavoro E' evidente che il successo della lobby si ripercuote poi positivamente sui componenti stessi della lobby.
· Un manager o comunque un soggetto con posizione di responsabilità cerca di costruire attorno a sé un Team che ne condivida gli interessi senza che questi siano necessariamente condivisibili dall'azienda. L'Obiettivo è di sostenere il manager nel suo cammino verso posizioni di maggiore prestigio o di consolidamento delle sue posizioni, contando sull'effetto domino indotto nelle gerarchie di basso cabotaggio nella lobby (se io mi salvo anche tu ti salvi, se io vado avanti anche tu vai avanti).
Il secondo esempio evidenzia un aspetto che pur essendo naturale nel comportamento umano di chi gestisce e ricopre incarichi di rilievo non sempre porta benefici alla collettività. Più questo comportamento è nascosto e più lascia pensare ad interessi prettamente personali.
No. Io penso che in IBM tendenzialmente non esista questo tipo di lobby e che tutti lavoriamo nell'interesse esclusivo dell'azienda.
Però
qualcosa sta cambiando.
Le ristrutturazioni in serie, che ormai subiamo giornalmente, portano incertezza nei lavoratori. Il senso d'attaccamento e di fiducia nell'azienda ha subito negli ultimi anni un ridimensionamento massiccio. I lavoratori più anziani sono ormai perseguitati dai continui messaggi volti alla loro esclusione e marginalizzazione, mentre i lavoratori più giovani hanno dovuto metabolizzare il concetto di precariato al punto tale da non poter identificare i loro interessi con quelli dell'azienda.
Sono dovuti passare da una situazione nella quale il loro status gli garantiva l'appartenenza ad una elite nomenclatura conservativa degli interessi del gruppo, ad una situazione nella quale il loro status rappresenta ormai un significativo elemento di precarietà.
In ogni situazione l'uomo si adatta e quindi qualche manager può aver avuto la tentazione di crearsi una lobby volta a consolidare e proteggere la sua esistenza in azienda.
E qui casca l'asino! Il tanto consacrato team diventa la parrocchia personale di un manager che se è abbastanza furbo (ed ha pochi impegni lavorativi) si passa il tempo a cucire la tela della propria lobby. E l'Azienda? .............In questo siparietto non c'è, anzi spesso è proprio parte lesa.
Chi controlla che questo non avvenga, e come?
Se qualche volta un lavoratore evidenzia un comportamento lobbistico da parte del proprio o di altri manager, i mezzi di comunicazione e di denuncia messi a disposizione dei lavoratori dall'azienda potrebbero permettere di isolare e correggere la deviazione.
Ad esempio, l'Open Door potrebbe essere un esempio calzante di strumento difensivo nei confronti di lobbisti senza scrupoli.
Ma vediamo come funziona
. oggi.
Supponiamo che il lavoratore si rende conto che il manager persegue interessi non proprio aziendali ma esclusivamente carrieristici e di interesse privato e per farlo utilizza il lobbismo anche di bassa lega - nei confronti dei colleghi e persino dei manager suoi pari grado.
Il lavoratore, che non gradisce il reclutamento nella lobby, viene fatto oggetto di pressioni e di esclusioni dal gruppo, con conseguente mortificazione del ruolo e dei trattamenti. Allora, si rivolge con l'Open Door, ad una struttura indipendente rispetto al manager lobbista, e chiede di aprire un confronto obiettivo volto a indagare sulla laicità dei comportamenti in gioco, ......compresi i propri.
L'organizzazione Open Door, senza preventivamente mettersi d'accordo con il manager convoca il lavoratore e ascolta le ragioni di insoddisfazione.
Nel frattempo il manager medita sull'accaduto e senza ricorrere al sostegno della propria e delle altre lobby valuta se e come ha commesso degli errori.
Dopo una attenta e precisa analisi e approfondimento dei fatti e dei misfatti l'Open Door senza lasciarsi influenzare dalle lobbies, come un gran giury d'onore emette la sentenza e suggerisce le iniziative da intraprendere.
In tal modo si arriva alla correzione dei comportamenti del manager ed al reinserimento del lavoratore nella struttura di gruppo, oppure in una proposta di trasferimento del lavoratore o di un suo reimpiego in altre mansioni al di fuori del gruppo che può risolvere brillantemente il problema senza che si arrivi provocare pericolose necrosi da asportare.
La certezza della soluzione più adatta è validata dalla totale assenza di lobbisti nel processo di Open Door.
Purtroppo l'approccio Open Door presenta una falla come si suole dire "architetturale".
Come in tutti i contenziosi, la garanzia dell'imparzialità del giudizio deve essere affidata ad un organismo indipendente e sovrano. E' evidente che il lavoratore è l'anello debole della catena e quindi rappresenta il ruolo del tutelato. Tuttavia a giudicare non ci sono diversi livelli di rappresentanza aziendale bensì soltanto i colleghi del manager!
E' come se, un consumatore in lite con un commerciante si facesse tutelare dall'associazione dei commercianti.
Si potrebbe malignamente pensare che un manager potrebbe essere portato a comprendere meglio le esigenze di un altro manager piuttosto che quelle del lavoratore, ma questo sarebbe come considerare l'Open Door come uno strumento di crudele presa in giro, ma nel caso dell'IBM è preferibile pensare che questo strumento sia stato (ed è stato) concepito per ben altri scopi.
Il problema è: l'Open Door è in grado di identificare il sottile filo che distingue l'interesse aziendale dall'interesse privato in situazioni dove spesso le voci sono contrastanti e sbilanciate in favore del manager?
La risposta più immediata al quesito è: no!
E allora, nell'interesse collettivo e soprattutto dell'azienda, perché non istituire una Open Door ad hoc per queste problematiche, nella quale coinvolgere sia manager che rappresentanti dei lavoratori (qualcuno del coordinamento sindacale?) per arrivare ad una valutazione equilibrata?
Non è un tentativo di invasione dei rappresentanti dei lavoratori nei confronti delle autonomie dei manager, piuttosto una garanzia di qualità nei rapporti tra le unità operative e l'azienda nell'interesse comune.
Questo strumento al servizio del lavoratore dell'azienda è soltanto un piccolo esempio di come l'IBM tenderebbe a incentivare e proteggere i lavoratori contro chi vuole fare un suo sistema all'interno del sistema azienda.
Sono tante le iniziative che spingono i lavoratori a non individualizzare i rapporti con l'azienda ma a considerare il bene e la crescita collettiva come obiettivi prioritari da raggiungere. Qualche sigla o slogan per meglio precisare: PBC, IDP, aumenti di merito, assegnazioni di quota, spalmatura dei risultati indiretti di vendita, variable pay, etc., dovrebbero essere tutti elementi e iniziative ad alta credibilità e rendimento nei rapporti tra il lavoratore e la sua azienda.
Su ciascuna di queste iniziative però aleggia uno spettro: non è che italianissimamente sono applicati svalutandone l'importanza e la credibilità a favore di un non meglio identificato apparente occhio di mondo?