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Da: Politica aziendale e risultati economici; Quadri e dirigenti; Parlamento e Governo italiani

IBM in Italia

Premessa

In questa breve analisi si intende in primo luogo tratteggiare il ruolo e l'influenza di IBM Italia sul sistema produttivo e su quello sociale del nostro Paese. I criteri di valutazione adottati sono i seguenti:

1. Qualità e quantità dei beni (hardware e software) e dei servizi forniti al sistema produttivo italiano.

2. Presenza produttiva e ricerca scientifica e tecnologica (hardware, software, servizi) in Italia.

3. Qualità e quantità dell'occupazione.

4. Contributo alla formazione di una classe dirigente e manageriale dinamica e innovativa.

5. Accountability e comportamento fiscale.

6. Relazioni con le Organizzazioni Sindacali e con le Rappresentanze Sindacali Unitarie.

Inoltre, si cerca di individuare alcuni elementi di influenza e di possibile governo delle scelte imprenditoriali.

Qualità e quantità dei beni (hardware e software) e dei servizi forniti al sistema produttivo italiano

IBM è presente in Italia, sotto varie denominazioni, dal 1927. In questi ottanta anni, ha indubbiamente rappresentato una "finestra" verso tecnologie e culture organizzative di livello mondiale, permettendo a enti pubblici e aziende private di disporre di strumenti di elaborazione dei dati analoghi a quelli utilizzati nei Paesi più avanzati del mondo (fra i primi clienti ci furono l'INPS e le Assicurazioni Generali).

Sino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, IBM realizzava la maggior parte dei propri fatturati con la fornitura di hardware: software e servizi erano considerate forniture di contorno, in qualche caso venivano addirittura regalati. Ancora nel 1993, IBM Italia realizzava quasi il 60% del proprio fatturato con l'hardware. Con gli anni Novanta, la diffusione dei Personal Computer prima e delle reti poi (soprattutto Internet) rivoluzionano completamente il mercato, e IBM, dopo una grave crisi, ribilancia la propria offerta incrementando sostanzialmente la parte servizi, che nel 2005 consegue oltre il 60% del fatturato.

IBM ha sempre mantenuto una quota molto significativa del mercato EDP (Electronic Data Processing) italiano: circa il 20% all'inizio degli anni Novanta, negli ultimi anni scesa al 15%. Nessun "campione nazionale" è riuscito a contrapporsi a questo predominio; non c'è riuscita Olivetti, nonostante avesse in mano due carte vincenti: la grande capacità innovativa dei propri tecnici (che riuscirono, per esempio, a realizzare degli elaboratori personali in anticipo di anni sulla concorrenza mondiale), e la presenza capillare e il prestigio presso la piccola e media impresa italiana, verso cui IBM, invece, come vedremo, si è sempre mossa in modo impacciato e contraddittorio.

Condividiamo l'opinione, espressa da molti, che la dissoluzione dell'esperienza Olivetti sia uno dei tanti drammatici sintomi dell'avversità del sistema-Paese all'investimento in scienza e tecnologia, avversità che ha accomunato, e che purtroppo accomuna tuttora, tanto una parte rilevante dell'imprenditoria privata quanto molti decisori pubblici. Questo elemento negativo di contesto sta ora contribuendo a mettere a rischio la qualità della presenza di IBM in Italia.

Volendo star vicino ai dati concreti, lo squilibrio più evidente di IBM Italia riguarda il portafoglio clienti: basterebbero le dita delle due mani per contare i clienti grazie ai quali viene realizzata la maggior parte del fatturato. Questo dato è preoccupante da due punti di vista: innanzitutto perchè, se si verificasse un contenzioso commerciale serio anche con uno solo di questi grandi clienti, quasi automaticamente IBM Italia si aggiungerebbe alla lunga lista di aziende a forte rischio occupazionale.

Ma oltre a ciò, questo squilibrio rivela la disarmonia fra le scelte commerciali e organizzative di IBM e la realtà produttiva italiana, che, come è notissimo, è caratterizzata da un tessuto dinamico di piccole e medie imprese e non da grandi gruppi. La direzione di IBM Italia, insomma, sembra più orientata a mostrare un'obbedienza cieca, pronta e assoluta alle direttive d'oltreoceano piuttosto che cercare un adattamento creativo alla nostra realtà. La pesantezza delle strutture direttive e di controllo e delle procedure amministrative, concepite per gestire ordini di grandezza media molto maggiore (tipici del mercato statunitense) allontana ulteriormente l'offerta di IBM Italia dal nostro contesto economico. Ed ecco che tutta l'attività si concentra praticamente nei poli di Milano, Roma, Torino e Bologna-Firenze: le altre filiali sono a permanente rischio di chiusura, in particolare quelle del sud e delle isole. I rapporti con i clienti considerati minori (cioè un gran numero di imprese medie e piccole anche molto floride e innovative) sono affidati a distributori che hanno politiche commerciali proprie, spesso contrapposte a quelle di IBM, e che quindi "schermano" ulteriormente le necessità e l'evoluzione delle piccole e medie imprese.

Emblematica di questa scarsa volontà di capitalizzare l'esperienza italiana, magari per affrontare i mercati emergenti dell'Est e del Sud del mondo, è l'insufficiente enfasi data a un pacchetto software come le Applicazioni Contabili e Gestionali, prodotto interamente realizzato in Italia e a tutt'oggi in corso di aggiornamento, che pure ha fatto la storia dell'informatizzazione delle piccole imprese italiane.

Presenza produttiva e ricerca scientifica e tecnologica (hardware, software, servizi) in Italia.

L'organizzazione produttiva e di fornitura di servizi IBM è cambiata profondamente negli ultimi venti anni. Si è passati da una struttura multinazionale che prevedeva tre grandi aree "continentali" autosufficienti dal punto di vista produttivo (America, Europa-Africa-Medio Oriente, Asia-Pacifico), all'interno delle quali le Nazioni più grandi (come l'Italia) ospitavano insiemi di segmenti del ciclo produttivo complessivo, all'attuale organizzazione, definita globale. In sintesi, "organizzazione globale" significa che i clienti ricevono beni e servizi uguali in tutto il mondo, e che IBM fornisce questi beni e questi servizi procurandoseli ovunque nel mondo alle migliori condizioni qualità/prezzo, producendoli essa stessa o richiedendoli a subfornitori. Per portare un esempio tipico, un cliente italiano che esternalizza a IBM il proprio Centro di Elaborazione Dati con un contratto di outsourcing, può ricevere il servizio di assistenza telefonica agli utenti dall'Irlanda o dal Sud Africa, il servizio di manutenzione e sviluppo dei programmi e delle applicazioni dall'India o dal Pakistan, mentre l'elaborazione e la conservazione dei dati vengono svolte magari in Ungheria o in Slovacchia, dirette remotamente dalla Germania o dalla Gran Bretagna. A fianco di tutto ciò ci sono i grandi laboratori di ricerca scientifica e tecnologica che, ovunque essi siano situati nel mondo (nessuno in Italia), fanno comunque capo alla sede centrale di Armonk, Stato di New York, e non alle IBM delle nazioni in cui sono collocati.

Questa nuova organizzazione planetaria è divenuta possibile e conveniente non solo grazie allo straordinario sviluppo delle grandi reti di telecomunicazioni digitali (su cui si appoggia anche Internet), ma anche in conseguenza della diffusione del modello di business di tipo anglosassone (terminologia, legislazioni nazionali, formazione della forza-lavoro e della cultura manageriale ...), dell'apertura dei mercati, della diffusione di standard industriali internazionali, della fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti e potenzialmente in guerra (la tripartizione continentale era anche una garanzia di "ridondanza" produttiva in caso di conflitto generale). Osserviamo di passaggio che la nuova organizzazione parrebbe molto fragile nella malaugurata ipotesi di un riaccendersi di tensioni a livello planetario (ricordiamo che buona parte della produzione mondiale di elettronica di consumo, personal computer inclusi, è concentrata nell'Estremo Oriente).

In questa trasformazione, l'Italia ha pagato un prezzo salato, tanto in termini di volume di affari quanto di qualità dell'occupazione: sono stati chiusi due centri scientifici (Pisa e Venezia), due centri di istruzione (Novedrate, presso Como, e Rivoltella del Garda), due stabilimenti per la produzione di elaboratori piccoli e medi (a Santa Palomba e Vimercate). Il valore dell'export generato dai due stabilimenti, tradotto in euro, oscillava fra un miliardo e mezzo e due miliardi. Ciò fino al 1999, anno in cui la produzione italiana è terminata.

Oggi, in Italia, rimane solo il pur rilevante Rome Tivoli Laboratory (sviluppo software).

Quantità e qualità dell'occupazione.

Quando si parla di IBM in Italia si deve distinguere fra il Gruppo IBM Italia, che include (senza dirigerle) anche società IBM di altri Paesi (come IBM Portogallo e IBM Sud Africa), oltre a controllate italiane (come Sistemi Informativi), e la società capogruppo IBM Italia SpA. Negli ultimi quindici anni quest'ultima ha visto quasi dimezzarsi i propri dipendenti (da 12000 a meno di 7000), mentre l'intero Gruppo ha oscillato nello stesso periodo fra i 16000 e i 18000 dipendenti. Il Gruppo realizza circa due terzi del suo fatturato in Italia e il rimanente nell'area Europa-Medio Oriente-Africa.

Fino a due anni fa, IBM Italia era anche responsabile del coordinamento delle operazioni nell'Europa meridionale, del Medio Oriente e dell'Africa, ruolo perso a favore della Spagna. La riduzione del ruolo (e di conseguenza dell'occupazione) di IBM Italia è tuttora in corso, e nella normale conversazione fra i colleghi si sente spesso la frase "l'attività del mio ufficio, la stanno trasferendo a...", a cui segue il nome di una località esotica. Questo smagrimento, che origina frequenti offerte di incentivi alle dimissioni, è in parte favorito e in parte rallentato da vari fattori. E' favorito dalla pesantezza delle struttore direzionali e di controllo: in IBM il numero di persone che vanno dai clienti a "fare qualcosa" è relativamente basso rispetto alla quantità di manager e di persone in staff che rimangono in sede a gestire, a riunirsi, a controllare e a controllare i controlli. Ciò comporta il rischio che alcune attività escano dal mercato per i costi eccessivi delle attività indirette. Questo costituisce un forte incentivo a trasferire tali attività in qualche remoto Paese in cui i costi del lavoro siano minori: ciò permette di conseguire un vantaggio economico immediato, oltre ovviamente a provocare un po' di esuberi. L'effetto meno evidente è quello di allontanare maggiormente l'organizzazione aziendale dal cliente: non tutti gradiscono colloquiare con un call center o navigare in siti labirintici. Molti dipendenti ritengono che alcune attività tornerebbero ad essere profittevoli se soltanto l'organizzazione del lavoro favorisse più la frequentazione dei clienti e meno la presenza nelle sale riunioni e negli uffici dei capi, ma la tendenza vincente finora è stata quella opposta.

D'altra parte, vi sono fattori che rallentano lo spostamento delle attività all'estero. Innanzitutto, un aspetto paradossale dell'organizzazione di IBM: la scarsa efficienza amministrativa, che rende più complicate e rischiose le delocalizzazioni. Queste ultime, infatti, distruggono le relazioni informali fra i dipendenti, che normalmente permettono di sopperire, grazie alla buona volontà (e alla fatica, e al tempo) delle persone, alle rigidità e alle incongruenze dei processi formalizzati e delle applicazioni informatiche. Insomma, l'azienda che offre e realizza grandi trasformazioni e innovazioni nei sistemi informativi delle aziende clienti, non è riuscita a evitare che il proprio sistema informativo diventasse un labirinto di applicazioni disomogenee, che richiedono una quantità eccessiva di integrazioni e correzioni manuali (purtroppo in genere di scarso contenuto professionale) per produrre un risultato valido.

Un secondo, paradossale elemento che si contrappone alla globalizzazione sono le particolari norme legislative che riguardano i bandi pubblici e in generale le consuetudini commerciali italiane, che possono comportare la richiesta di traduzioni giurate e documenti cartacei, magari autenticati dal notaio e sigillati con ceralacca ...

Si citano questi aspetti, autentici, anche se al limite del grottesco, per affermare però che non ci si può contrapporre alla globalizzazione semplicemente mettendosi di traverso e sfruttando inefficienze e arretratezze: prima o poi si verrà spazzati via.

Anche per quanto riguarda la formazione, la politica di IBM è profondamente cambiata: se fino a quindici anni fa due settimane all'anno di istruzione erano il minimo obbligatorio per ogni impiegato, oggi accedere ai corsi è considerato un privilegio di alcune figure professionali e un favore elargito dai capi. Nelle valutazioni di impegno lavorativo, la partecipazione ai corsi equivale a un'assenza. A volte i capi sono disposti a "concedere" la partecipazione a corsi, da effettuarsi come Formazione a Distanza, purchè la frequentazione avvenga fuori dall'orario di lavoro.

Contributo alla formazione di una classe dirigente e manageriale dinamica e innovativa.

La carriera dirigenziale in IBM Italia è sempre stata caratterizzata dal conflitto fra l'ubbiedienza a norme di carattere internazionale (ma in realtà sostanzialmente statunitense), e le richieste effettive del mercato italiano. Poichè la politica aziendale si è sempre più spostata a favore delle prime a scapito delle seconde, ciò ha selezionato negli anni un gruppo dirigente sempre più orientato all'esecuzione acritica di disposizioni superiori e sempre meno all'iniziativa e alla creatività.

Nella nuova prospettiva globale, il sommarsi della debolezza del sistema-Paese con la scarsa determinazione del gruppo dirigente locale, rischia di costituire il maggior fattore di rischio per il valore della presenza di IBM in Italia, e di perdita di opportunità di sviluppo. Infatti, se ci fosse la capacità e la volontà di investire con convinzione e costanza in qualche segmento di offerta sinergico con l'ambiente economico italiano (e volendo guardare proprio fra quei piccoli e medi clienti che invece vengono gestiti a distanza, ce ne sarebbero parecchi), l'effetto della globalizzazione agirebbe al contrario: si avrebbe la possibilità diventare leader mondiali per quei segmenti. Ma non sono traguardi che si raggiungono leggendo le e-mail d'oltreocano e sbattendo i tacchi.

Accountability e comportamento fiscale

Dalla lettura dei bilanci, si dovrebbe concludere che IBM Italia SpA si comporta come un'organizzazione senza scopo di lucro. Infatti il Gruppo, a fronte di un fatturato di oltre quattro miliardi di euro, presenta risultati annui oscillanti per qualche decina di milioni di euro fra profitti e perdite: la media pluriennale rimane molto prossima a zero. Le autorità fiscali italiane, nella loro grande benevolenza, non hanno mai voluto studiare in modo approfondito questo curioso fenomeno.

Nel 2005 l'allora Segretario Generale della FIOM di Milano, Maurizio Zipponi, scrisse una lettera al General Manager di IBM Italia chiedendo alcune delucidazioni sui criteri di redazione dei bilanci di IBM Italia. La risposta, piuttosto secca e stringata, non chiarì alcuna delle questioni sollevate.

I bilanci dell'intera IBM Corporation sono certificati da oltre mezzo secolo dalla PriceWaterhouse Cooper, da cui IBM nel 2002 ha acquisito il ramo consulenziale e informatico.

Relazioni con le Organizzazioni Sindacali e con le Rappresentanze Sindacali Unitarie

Per comprendere l'approccio che la Direzione aziendale intende mantenere verso l'iniziativa sindacale è meglio scegliere i temi su cui le posizioni delle parti potrebbero, in teoria, trovare convergenze e sinergie; in cui dovrebbe essere più facile individuare delle soluzioni win-win, come si usa dire ora. Purtroppo le cose non stanno esattamente così.

Osservatorio Paritetico in sede aziendale: previsto dal Contratto Collettivo Nazionale, tiene una riunione annuale in cui faticosamente i Rappresentanti Sindacali ottengono qualche indicazione sull'andamento aziendale, spesso sotto vincoli non sempre comprensibili di riservatezza, da interlocutori che quasi certamente sono essi stessi all'oscuro delle effettive decisioni che vengono prese più in alto. In sostanza, riesce a svolgere solo il modo molto ridotto le funzioni per cui è stato creato, cioè dare ai lavoratori e alle forze sindacali indicazioni attendibili sulle prospettive produttive, professionali e occupazionali.

Formazione: esiste una Commissione Paritetica, in cui i membri di parte aziendale hanno da sempre assunto un atteggiamento evasivo e dilatorio, rifiutandosi di comunicare anche i dati più elementari sulle frequenze ai corsi da parte dei dipendenti.

Telelavoro: per circa un decennio IBM è stato un caso, unico in Italia e forse al mondo, in cui le Rappresentanze Sindacali erano FAVOREVOLI al telelavoro e la Direzione aziendale CONTRARIA (pur offrendo ai clienti, come azienda, le soluzioni tecnologiche per realizzarlo...). Poi un accordo si è fatto, ma tuttora l'Azienda preferisce forme di telelavoro non registrato ufficialmente, sregolato, concesso come favore dai capi, e quindi fuori da ogni tutela INAIL, esponendo in teoria il dipendente al licenziamento per assenteismo, e comunque senza alcuna rifusione, anche solo simbolica, dell'uso dell'ambiente domestico del dipendente per scopi aziendali.

Disagio sul lavoro: condizioni di lavoro sempre più stressanti stanno lasciando il segno su molti dipendenti, con possibili conseguenze sulla salute, sulla vita familiare e sociale, e anche sulle stesse attività lavorative dei singoli e dei gruppi. L'Azienda si è sempre rifiutata di discutere l'argomento con le Rappresentanze Sindacali.

Controllo a distanza: per ottenere un accordo ragionevole e praticamente senza costi aggiuntivi per l'azienda, è stato necessario portare il caso davanti a un magistrato del Tribunale di Milano, con l'assistenza di uno studio legale per ciascuna delle due parti. Il testo dell'accordo raggiunto alla fine è sostanzialmente identico a quello proposto inizialmente dalle RSU, molti mesi e molti euro prima.

Ma al di là di questi singoli episodi, seppur emblematici dell'approccio della Direzione IBM nelle relazioni sindacali, colpisce l'indifferenza e l'ostilità verso qualsiasi contributo – conoscitivo, critico, propositivo – che possa venire dalle Rappresentanze Sindacali elette dalla maggioranza dei dipendenti, quasi le RSU fossero un corpo estraneo e non un'espressione del pensiero e della volontà di migliaia di lavoratori interessati al proprio sviluppo professionale e al buon andamento dell'azienda presso cui sono impiegati.

Elementi di influenza e di possibile governo delle scelte imprenditoriali

Nei punti precedenti è stata presentata un'azienda che se ne va per la sua strada e che sembra poco interessata a confrontarsi con la realtà produttiva, culturale e sociale del nostro Paese. Ciò corrisponde in effetti a quello che ha dichiarato l'anno scorso il Chairman, President and Chief Executive Officer di IBM Corporation, circa il minore interesse dell'azienda verso un continente troppo statico economicamente, troppo vecchio demograficamente e con troppe regole a tutela dei lavoratori. Questo giudizio a nostro parere deve essere separato in due aspetti: uno da respingere, perchè le tutele europee, peraltro purtroppo in fase di indebolimento, sono comunque una conquista di civiltà e una garanzia di stabilità che si traducono anche in un vantaggio economico sistemico; uno da accogliere, perchè è certamente vero che ci sono Paesi, l'Italia fra tutti, che investono troppo poco in scienza e tecnologia; questo elemento di contesto dà ad aziende come IBM la forza di chi dichiara di potersi alzare dalla sedia e andarsene.

E in effetti la componente italiana del fatturato del Gruppo, deinflazionata, risulta nel 2005 solo l'80% di quella del 1993 (nello stesso periodo la quota di mercato è passata dal 20% al 12%). Se in parte questa riduzione di peso di IBM può essere vista come positiva per il sistema Italia, perchè ha lasciato spazio a una maggiore diversificazione dell'offerta, due periodi di recessione del mercato italiano dell'Information Technology (dal 1993 al 1996 e dal 2001 al 2004, sempre al netto dell'inflazione), non hanno reso il nostro Paese particolarmente interessante per gli operatori.

Scontato quindi che senza una svolta radicale nelle politiche di incentivo alla ricerca scientifica, agli investimenti in tecnologica e all'istruzione, tutto quanto segue non può avere particolare presa, si può vedere come orientare IBM e aziende consimili a svolgere un ruolo più positivo per il sistema-Paese. Qui ci sono alcune proposte che andrebbero approfondite:

· Dovrebbe essere definito uno schema di bando di gara-tipo per gli Enti Pubblici che intendano qualificare e stimolare i loro potenziali fornitori, in cui si chieda in modo più preciso di quanto non si faccia oggi la qualifica della forza lavoro, la quantità e la qualità dell'istruzione ricevuta, gli investimenti effettuati in ricerca scientifica nel nostro Paese, e così via.

· I banditori non dovrebbero limitarsi a chiedere certificazioni di qualità (tipo ISO 9000), ma effettuare vere e proprie ispezioni, com'è loro diritto. Ricordiamo che la verifica della certificazione ISO 9000 non è affidata a un ente pubblico di controllo, ma al diritto dei clienti di ispezionare il fornitore.

· Nel caso dei contratti di Outsourcing, bisognerebbe sempre tenere presente i rischi connessi alla delocalizzazione dell'elaborazione e della conservazione dei dati fuori dall'Europa, anche quando economicamente più conveniente.

Più in generale, dovrebbe essere contrastata la tendenza a un'eccessiva frantumazione geografica della realizzazioni tecnologiche, frutto di un malinteso "federalismo". Al contrario, si dovrebbe puntare sulla massima omogeneità, possibilmente a livello europeo, di cartelle sanitarie elettroniche, sistemi di pagamento autostradali, informazioni catastali e così via. In questo modo si otterrebbe un'effettiva concorrenza e intercompatibilità fra le offerte dei vari fornitori, e non dei micromonopoli locali.

Per le stesse ragioni, dovrebbero essere preferite soluzioni basate su software "aperto" (Open Source), in modo da poter controllare meglio le caratteristiche dei prodotti adottati, ed avere meno problemi in caso di indisponibilità degli aggiornamenti.

Nelle regole di compilazione dei bilanci societari, dovrebbe essere richiesti maggiori dati e informazioni sugli effettivi investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Inoltre si dovrebbe esaminare attentamente tutta la normativa circa royalties, transfer price e rapporti con le aziende controllanti estere, per vedere se vi siano varchi per l'elusione fiscale e lo svuotamento della responsabilità direzionale.


Fonti dei dati e delle informazioni

I dati sull'andamento di IBM Italia Spa, del Gruppo IBM Italia e di IBM Corporation sono tratti dai bilanci pubblicati di queste società. I dati sul mercato italiano sono quelli citati nei bilanci stessi. Le considerazioni sui comportamenti di IBM sono una sintesi degli interventi pubblicati agli indirizzi Internet gestiti dalle RSU IBM www.rsuibm.org/pare.htm (Politica aziendale, risultati economici, processi lavorativi, qualità) e http://www.rsuibm.org/fol.htm (Forum).