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IL PRETORE DI MILANO - Sezione 5 PENALE

[Sentenza contro dirigenti IBM]


Da: Controlli a distanza e riservatezza

Vedere anche: Documentazione Giuridica


Reg. Inserz. N. 9780 337/82 Reg. Gen. Data 5/12/84

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL PRETORE DI MILANO - Sezione 5 PENALE

Dott. Walter Saresella

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

CONTRO

1- RIVERSO RENATO, nato a Milano il 2-2-1934, dom/to ex art. 171.
c.p.p. presso avv. Alberto Dall'Ora, via Quadronno n.4, Milano..
Nella sua qualita' di Presidente e Amministratore.
Delegato della IBM ITALIA S.p.A..

2- TRIPICIANO REMO, nato a Milano il 15-11-1921, dom/to ex art. 171
c.p.p. presso IBM ITALIA S.p.A. Segrate. Nella sua qualita' di Direttore Generale del Personale
della IBM ITALIA S.p.A..

3- FIUMARA ARMANDO, nato a Teano il 26-10-1922, dom/to ex art. 171
c.p.p. presso IBM ITALIA S.p.A. Segrate.
Nella sua qualita' di Direttore Generale della IBM ITALIA S.p.A..

4- APICELLA ROSARIO,nato a Napoli il 11-2-1923, dom/to ex art. 171
c.p.p. presso IBM ITALIA S.p.A. Segrate.
Nella sua qualita' di Direttore delle Relazioni Industriali
della IBM ITALIA S.p.A..

5- CARAMANI ROBERTO,nato a Milano il 25-12-1936, dom/to ex art. 171
c.p.p. presso IBM ITALIA S.p.A. via Lecco n. 61 - Vimercate.
Nella sua qualita' di Direttore del Personale dello stabilimento IBM
di Vimercate.

IMPUTATI

COME DA ALLEGATO [non disponibile in questo sito]

IL S. PROCURATORE della REPUBBLICA

(Dott. GUIDO VIOLA)

SVOLGIMENTO DEL FATTO

In data 7/11/82 i sigg. TRAINI, CAMUSSO e DI GIROLAMO per la FLM e i sigg. RIBONI, TOLONI ed ORIGO per il Consiglio di Fabbrica della IBM ITALIA S.p.A. denunciavano a questa Pretura la situazione che si era venuta a creare all'interno della sede della ditta in Segrate e nello stabilimento di Vimercate, a seguito dell'installazione di un complesso sistema Hardware e Software che, secondo la tesi dei denuncianti, rendeva ravvisabili gli estremi dei reati ex art. 4 e 38 L. 300/70. Infatti, si sosteneva, "attraverso l'utilizzo di strumenti personalizzati di accesso al sistema e connessi all'esplicazione delle mansioni del lavoratore (codici individuali) era possibile per il datore di lavoro controllare in termini di quantita' e di qualita' l'attivita' svolta dal lavoratore. In particolare, vi era la possibilita' di registrare orari di inizio e fine prestazione, eventuali pause e/o tempi morti, quantita' di operazioni svolte e dati trattati (quantificazione del lavoro svolto), eventuali errori e tempo impiegato per lo svolgimento delle singole operazioni.

Il Sindacato sosteneva, inoltre, che se il problema per l'azienda era quello di tutelare le "banche dati", esisteva comunque un modo per contemperare le esigenze di " riservatezza" della stessa e dei lavoratori, e cioe' si poteva applicare un sistema di accesso agli elaboratori costituito da un codice di gruppo, ma sul punto non si era raggiunto un accordo con la Dirigenza.
Sulla base di tale "notitia criminis", in data 12/1/1982, veniva inviata comunicazione giudiziaria ex art. 4, 8 e 38 s.l. ai sigg. RIVERSO, TRIPICIANO, FIUMARA, APICELLA, CARAMANI e PERSI, i quali il 21/1/1982, provvedevano a nominare i propri difensori.
Il 31/1/1982 veniva ordinato il sequestro di una serie di tabulati prodotti dal sistema SLR (Service Level Reporter) e, al fine della "lettura" degli stessi, veniva disposta perizia (9/2/1982). Il quesito veniva cosi' formulato: "dica il Perito il contenuto e gli eventuali tipi di informazioni contenute nei tabulati in questione".
Il consulente d'ufficio, scelto fra i documenti sequestrati un campione che fosse sufficientemente rappresentativo del tutto, procedeva ad una minuziosa analisi dei singoli tabulati, ed alla domanda quali fossero le valenze di controllo di un programma come SLR, concludeva con leosservazioni che e' utile e corretto riportare in modo integrale..

"Per poter dare una risposta a questa domanda e' bene evidenziare i fini per i quali questi tipi di programmi sono o possono essere usati.
1)Una finalita' e' quella di fornire dati per pianificare e ottimizzare l'uso delle risorse di elaborazione (macchine e programmi). A tal fine vengono calcolati dati sul "carico" e sull'utilizzo delle varie componenti degli impianti di elaborazione, etc. suddivisi anche per le varie categorie e modalita' di utilizzazione delle risorse di elaborazione.
2) Una seconda classica finalita' e' quella "contabile". Si tratta di contabilizzare l'uso delle risorse da parte dei vari utenti per poter loro attribuire il costo.
3) Una terza effettiva o potenziale finalita' e' quella che genericamente potrebbe essere chiamata VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI: valutazioni complessive o analitiche di efficienza e di efficacia dell'"installazione" (sistemi di elaborazione) e delle sue componenti, in rapporto ai "servizi" che devono garantire, secondo certi livelli di prestazione standard definiti o definibili (classico esempio: tempi di attesa medi o massimi per avere certe elaborazioni, ma anche picchi massimi di utilizzo delle risorse di elaborazione oltre i quali il "servizio" della risorsa degrada).

E' utile sottolineare che questi dati sulla produttivita' delle risorse sono significativi solo in un contesto interpretativo definito: in altre parole, solo se e' noto il sistema di obiettivi o standard cui levarie misure devono rapportarsi (e se la significativita' dei singoli obiettivi standard tecnici e' documentata) e' possibile fare delle effettive valutazioni delle prestazioni.
Per fare degli esempi, il fatto che il tempo di risposta medio per avere un'elaborazione sia di un certo numero di secondi o un certo numero di terminali collegati a un calcolatore sia in funzione contemporaneamente non e' significativo se non in rapporto a dei valori obiettivo o standard del tempo di risposta o del numero massimo di terminali collegabili contemporaneamente fissati per quello specifico contesto.
Per questa terza finalita' e' ovvio che possono rientrare misure di prestazioni associate in qualche modo alle componenti "umane" del sistema di elaborazione. L'esempio e' quello stesso oggetto della denuncia: numero di "lavori" eseguiti in un certo periodo di tempo, da un utente del sistema di elaborazione, individuato attraverso uno specifico identificatore che potrebbe anche essere personale, numero di lavori "terminati anormalmente" (errori?), tempo consumato dell'unita' di elaborazione, etc.

Anche in questo caso e' giusto dire che non e' possibile effettuare una effettiva valutazione se questi dati non sono correlati ad altri che li spieghino (un "job", un "lavoro" puo' essere costituito da poche o tante istruzioni di elaborazione, di un tipo o un altro e quindi consumare piu' o meno risorse, l'elaborazione di un programma puo' "terminare anormalmente" per varie e definibili e misurabili ragioni, da punto di vista tecnico e senza che questo comporti un giudizio negativo sulla "qualita'" della prestazione dell'utente del sistema; anche la durata di elaborazione di un programma, ad esempio, batch, non e' correlata alla presenza dell'utente al terminale, bensi' dipende in parte dalle dimensioni del programma scritto dal programmatore e soprattutto dal numero di cicli di esecuzione previsto dal programma stesso) e se tutto a dati obiettivo/standard ( in 15% di "abend" per certi tipi di "job" e' alto o basso? Una data quantita' di "job" eseguiti in un certo periodo di tempo e' alta o bassa?).
Orbene, questi dati di contesto interpretativo o dati obiettivo/standard di qualsiasi natura sono assenti sia nel materiale sequestrato,sia nella documentazione fornita sul programma SLR.
Dal materiale sequestrato (e dalla documentazione sullo SLR) non e' desumibile inoltre un controllo in tempo reale di qualsivoglia prestazione (comprese quelle interessanti la denuncia) del sistema di elaborazione (macchine e relativi utenti) oggetto di controllo da parte del programma SLR.
Le frequenze di tabulazione sono al minimo settimanale, e i dati misurati sono aggregati per giorno, settimana, mese, anno e talvolta per ora (specie per calcolare statistiche sull'uso di specifiche risorse di elaborazione nell'arco della giornata). Un solo tipo di tabulato riporta lavoro per lavoro (job) l'orario di inizio e fine e alcuni altri dati.
Il programma SLR lavora per definizione su DATI STORICI, archiviati in una base di dati. Questa base di dati e' interrogabile, se si vuole, con risposta immediata ("in linea") e a distanza dagli utenti del programma SLR (sempre relativamente ai dati storici ivi archiviati, ben inteso).
E' ovvio che i dati raccolti, archiviati e visualizzati o visualizzabili con SLR, che forniscono, come detto, indicazioni sull'uso delle risorse, possono (oltre che a fungere da deterrente contro usi impropri del sistema di elaborazione) anche fornire elementi per una valutazione del lavoro di persone o gruppi. Pero', e' bene ripetere, non ci sono i tabulati e nella documentazione standard SLR elementi che indichino (in assenza anche di dati standard/obiettivo di interpretazione), se e come questa valutazione venga fatta."

Nel frattempo, a seguito di tali eventi processuali, le parti siglavano un accordo (23/2/1982), sul quale si avra' modo di discutere in seguito, relativo all'uso di codici di gruppo e alla individuazione di aree protette in relazione alle quali sarebbe stato, invece, necessaria l'utilizzazione di codici individuali. Per consequenzialita' se non cronologica, almeno sistematica, occorre dire ora che successivamente intercorreva una corrispondenza tra le parti tendente a dare regolamentazione concreta alla convenzione, sulla quale, pero', le stesse non raggiungevano una intesa, anche se le trattative si prolungavano fino al momento dell'apertura del dibattimento.
In data 15/11/1982, veniva depositata perizia di parte IBM a firma del prof. Bracchi, il quale rilevava che i dati riferentesi a persone aveva no le seguenti caratteristiche:

1) Erano rilevati, in quei pochi casi venuti in esame, solo in quanto riferiti a dati macchina.
2) Erano estremamente ridotti se commisurati alla totalita' dei dati macchina rilevati.
3) Erano riferiti ad una parte ridotta della normale attivita' degli utenti stessi.

Il consulente di parte concludeva, dunque, precisando che i dati di cui sopra, da soli, non erano tali da fornire la base per una valutazione delle prestazioni e, comunque, non si avevano riscontri circa la sussistenza di parametri idonei ad interpretare gli stessi al fine di cuisopra.
Nel frattempo (27/1/1982) veniva sentito il teste Gentini Lanfranco il quale, richiesto di interpretare alcuni codici contenuti nei tabulati riconosceva il proprio numero (155) e considerava che lo stesso era preceduto dalla sigla S SN. Egli, inoltre, dava alcuni ragguagli circa il modo con il quale si procedeva alle promozioni nell'ambiente della IBM ITALIA.
In data 19/2/1982 la FLM e le RSA dell'azienda, nelle persone dei sigg. Camusso, Traini, Di marco, Origo, Villa, Toma e Toloni, si costituivano parte civile.
L'8/3/1983, essendo terminate le operazioni peritali, veniva disposta la restituzione della maggior parte del materiale sequestrato. Si procedeva, dunque, all'interrogatorio degli imputati che comparivano a seguito del mandato regolarmente notificato. Il Tripiciano, sentito in data 19/4/1983, dichiarava che prima della notifica della comunicazione giudiziaria nulla sapeva del problema di cui alla presente causa ed ignorava completamente la possibilita' di produrre tabulati di controllo di efficienza.
Il Caramani Roberto, interrogato nella stessa mattinata, faceva il punto circa il modo con il quale furono condotte le trattative con il sin-dacato. Aggiungeva che prima dell'esposto delle RSA non aveva mai visto il tabulato riportato a pag. 97 della perizia Maggiolini e neppure ne sapeva dell'esistenza.
Premesso che tale statistica aggregava dati riferiti ad eventi-macchina sulla base di un codice individuale "RUN", l'imputato, a fronte di una specifica contestazione, ammetteva che, per quello che ne sapeva, il tabulato 97 aveva la stessa funzione del 103, che aggregava dei dati operazioni-macchina sulla base di riferimenti non rapportabili in alcun modo a persone fisiche.
Il Fiumara, in data 24/5/1983, sosteneva che la finalita' del programma SLR era quella di ottimizzare l'uso delle risorse e non gia' quella di effettuare un controllo a distanza dei lavoratori. Comunque, asseriva di avere iniziato ad occuparsi del problema di cui al capo d'imputazione dal gennaio 1982 e di sapere che nel febbraio successivo fu raggiunto un accordo tra IBM e RSA circa la possibilita' di limitare gli accessi ad alcune aree riservate, in relazione alle quali l'Azienda, a detta dell'imputato, avrebbe dovuto dare comunicazione al Sindacato, una volta individuate le stesse.
Nella stessa data veniva sentito Apicella Rosario, il quale dichiarava di essere stato coprotagonista nella vicenda in questione ed escludeva qualsiasi fine di controllo sull'attivita' dei lavoratori da parte dell'Azienda.
Lo stesso ammetteva che, gia' in precedenza, venivano elaborati dati di tipo personale, ma questi rappresentavano una parte irrilevante sia quantitativamente che qualitativamente in relazione alla mole dei dati presi in considerazione. Tali dati (personali), inoltre, non sarebbero stati rapportabili a parametri di valutazione che, peraltro, non esistevano; la stessa indicazione percentuale di lavori non andati a buon fine, inoltre, non era significativa, in quanto il dato non era unicamente rapportabile ad un lavoratore, ma vi erano cause di fine anormale (abend) imputabili alle macchine.
L'imputato aggiungeva ancora che il dato individuale complessivo era ancora meno significativo in quanto il lavoro al terminale era parziale rispetto all'intera attivita' lavorativa.
Quanto, poi, al problema relativo alle trattative con il Sindacato, l'imputato sosteneva che la IBM non aveva mai inteso abdicare al proprio potere di scelta delle aree da considerare riservate.
Sempre in data 24/5/1983, Persi Roberto escludeva l'uso di tabulati per il controllo a distanza dell'attivita' dei lavoratori. Infine, il giorno 30/6/1983, veniva sentito l'imputato Riverso Renato, il quale iniziava testualmente in questo modo: "la IBM non ha mai fatto ne' ha mai avuto l'intenzione di fare, ne' ha installato apparecchiature idonee a fare controlli a distanza sul personale"; asseriva, inoltre, che i sistemi di cui al capo d'imputazione erano oggettivamente inidonei allo scopo di cui sopra.
In data 15/6/1983 la Difesa IBM depositava un supplemento di perizia di parte, con la quale il consulente analizzava un tabulato contenente le seguenti indicazioni, aggregate in relazione a singoli RUN: 1) JOBS, 2) FAILED, 3) CPU TIME-HOURS, 4) TOT TAT-HOURS, 5) TOTEXCP, 6) TOT ELAPS-HOURS, 7) AVG JOBCORE e 8) TOT NUNLINE. Concludeva sul punto assumendo che tutte le informazioni dei punti 3) - 8) servivano a fornire una indicazione statistica media del carico degli elaboratori sotto diversi aspetti, e, quindi, servivano ad integrare le informazioni dei punti 1) e 2).
Anche l'informazione circa i lavori non andati a buon fine (punto 2) era significativa, a detta del consulente, sia per analizzare i livelli di servizio e disponibilita' della macchina e dei programmi, sia per pianificare e dimensionare nel futuro le risorse di macchina. Il predetto, inoltre, assumeva che le informazioni contenute nel tabulato non rivestivano un preciso significato al fine di una valutazione della quantita' e qualita' del lavoro ne' di un controllo circa la presenza fisica dei lavoratori ai terminali. All'uopo, tra l'altro, osservava che il numero di jobs era composto sia da lavori di notevoli dimensioni, che da transazioni di modesta entita'; inoltre, la percentuale "failed" accomunava fini anormali di lavoro imputabili a cause diverse.
Il consulente di parte concludeva dicendo che non esistevano ne' erano definibili standards di riferimento con cui le informazioni raccolte potevano in qualche modo essere confrontate per dedurre una valutazione del lavoro degli operatori.
In data 19/9/1983, con sentenza istruttoria, il Persi Roberto veniva prosciolto per non aver commesso il fatto e il 9/2/1984 i rimanenti imputati venivano rinviati a giudizio.
Seguiva una corposa produzione di memorie depositate dalle parti ex art. 145 c.p.p..
Dava inizio al dibattito la Difesa degli imputati con atto depositato in data 15/3/1984, il quale si compendiava di due "pareri pro veritate" sul caso di specie e di un secondo supplemento di perizia.
[Gino Giugni, Mario G. Losano, Bracchi]
Nel primo documento, il primo consulente si chiedeva se l'utilizzo di programmi standardizzati che contenevano dati riferibili agli operatori, realizzavano le fattispecie previste dall'art. 4, primo e secondo comma, L. 20/5/70 n. 300.
Osservava il Giurista che pregiudiziale era l'analisi circa la possibilita' di controllo a distanza, in quanto tale dato era assorbente di entrambe le ipotesi di cui alla norma citata.
L'analisi prendeva le mosse da una considerazione: non si doveva considerare l'idoneita' astratta, ovvero intrinseca, dell'apparecchiatura, di esercitare il controllo, bensi' la sua concreta idoneita' derivante dalla modalita' dell'utilizzazione dell'impianto, donde il concetto normativo testuale di impianto di controllo".
A tale proposito, a mo' di esempio, si faceva l'ipotesi dell'installazione (legittima) di una telecamera fissata in modo inamovibile su un determinato settore dove non operavano dipendenti. Si concludeva sul punto con l'affermazione secondo la quale anche il calcolatore dovevavenire in considerazione per come "attualmente usato" e quindi, bisognava valutare se sussisteva una concreta possibilita' di controllo da parte anche di una sola delle funzioni che lo strumento era in grado di elaborare.
Si proseguiva nell'esame dicendo che non vi erano dubbi circa il fatto che il calcolatore doveva considerarsi una "macchina" ai fini e per gli effetti dell'art. 4 S.L. e che il concetto di "controllo a distanza", non si risolveva in una accezione meramente spaziale ma comprendeva anche quella di differimento temporale.
Si prospettava pero' la necessita' di individuare altri criteri oltre a quelli sopra descritti, in quanto se cosi' non fosse stato, si sarebbe giunti alla abnorme conseguenza di vedere rientrare nella previsione dell'art. 4 qualsivoglia ipotesi di attivita' lavorativa che lasciasse una traccia di se' - accessibile al datore di lavoro - attraverso un utensile.
Il primo criterio suggerito era quello della possibilita' di imputare all'esclusiva attivita' di un lavoratore l'attivita' registrata dalla apparecchiatura, con il conseguente fatto che cio' si risolvesse o meno in un giudizio sull'attivita' del prestatore.
Il secondo conseguente criterio ipotizzato si basava sulla distinzione fra "modalita'" della prestazione e "qualita'" della stessa: controllo illecito ex art. 4 S.L. doveva considerarsi solo il primo. Per confortare la conclusione con un esempio di "buon senso", si proclamava la liceita' del controllo a distanza di tempo sul prodotto del lavoro effettuato da una segretaria con una macchina da scrivere.
Sulla base di tali parametri si procedeva al minuzioso esame di un tabulato-tipo per concludere circa la impossibilita' di un controllo a distanza.
Nel secondo dei pareri "pro veritate", il secondo consulente partiva dalla premessa che se il controllo a distanza vi era, questo rilevava solo ai fini dell'art. 4, comma 2, S.L. in quanto lo scopo principale di SLR e RACF era organizzativo e, quindi, lecito.
Procedendo sull'analisi di una analisi della giurisprudenza, l'Autore traeva le conclusioni secondo le quali un controllo a distanza soltanto potenziale, non ON LINE, e settoriale rispetto all'attivita' del singolo lavoratore non poteva violare l'art. 4, comma 2, S.L.: infatti, per controllo a distanza si doveva intendere solo il "controllo contemporaneo", la "possibilita' di controllo" andava valutata in astratto e si doveva considerare l "natura del comportamento controllato", nel senso che erano rilevanti solo gli aspetti non immediatamente connessi al rap porto di lavoro (es. colloquio privato tra due centralinisti in un momento morto).
Si concludeva dicendo che i programmi SLR e RACF non violavano lo Statuto dei Lavoratori.
Il consulente procedeva all'analisi degli artt. 23, 28 Legge 29/3/1983 n. 93 relativa al pubblico impiego. Si ravvisava una sfasatura fra l'art. 24 riproducente la dizione dell'art. 4 S.L., integrato da disposizioni adatte alla P.S., e l'art. 22, comma 2, disciplinante un obbligo di controllo dei capi degli uffici verso i dipendenti.
La soluzione, ad avviso del giurista, era fornita dalla chiave di lettura dallo stesso individuata nei termini e modi di cui si e' detto. Si lamentava, comunque, il vuoto legislativo su una materia tanto delicata ed emergente nella sensibilita' sociale come il diritto alla riservatezza.
Nel documento 3) allegato alla memoria IBM del 15/3/1984, qualificato come secondo supplemento di perizia, il consulente tecnico per la IBM si dilungava nell'analisi congiunta di tabulati oggetto dell'esame del perito di ufficio, ed in specifico si soffermava sul 29, 97 e 103, al fine di dimostrare che le statistiche provenivano da ambienti diversi e, cioe', alcuni dalla "progettazione" ed altri dalla "produzione". La ragione per la quale nel tabulato 97 comparivano codici individuali, a detta del perito di parte, stava nel fatto che, essendo tale tabulato proveniente dal primo ambiente, i dati, per essere utili, dovevano risultare disaggregati il piu' possibile.
Il consulente concludeva affermando che il tabulato da ultimo citato, dunque, veniva a soddisfare le seguenti esigenze: 1) fornire al program matore informazioni sulle prestazioni dei programmi che egli stesso stava sviluppando; 2) fornire al gruppo di certificazione un profilo sintetico sulle prestazioni fornite dal programma in fase di prova finale; 3) risalire alle prestazioni che i singoli programmi avevano fornito in fase di messa a punto nel caso che si presentassero comportamenti inadeguati; 4) consentire l'addebito di costi di elaborazione alle funzioni aziendali.
La parte civile replicava con un parere in data 5/6/1984, col quale si intendeva fornire una ricostruzione sistematica dell'istituto "de quo". Infatti, premesse alcune osservazioni circa la nocivita' del lavoro effettuato per mezzo di video terminali e il conseguente livello della contrattazione sindacale sul punto nei principali Paesi europei, si considerava che erano le stesse apparecchiature cui il lavoratore si rivolgeva quelle che registravano in modo continuo, assiduo e minuzioso tutti i particolari delle operazioni che si stavano eseguendo su di loro.
Da cio' il predetto riteneva che, stante l'elaborazione operata autonomamente dalla macchina, considerato che l'impulso veniva dato dall'operatore, l'identificazione di quest'ultimo era previo rispetto all'elaborazione software .
Notava, inoltre, che la pluralita' delle fini anormali dei lavori non escludeva, per un fatto statistico, lo scopo di controllo sugli errori umani, e la non esclusivita' del lavoro svolto sui video terminali era irrilevante in quanto il controllo dei ritmi delle operazioni lavorati- ve riguardava proprio il tratto temporale in cui si svolgevano le prestazioni al video. Concludeva sul punto considerando che anche se il lavoratore azionava la macchina, egli era sempre un soggetto passivo sia che usasse la stessa sia che non la usasse (lettura in negativo dei dati memorizzati).
Il consulente proseguiva nell'analisi sostenendo che un congegno di controllo, secondo la Legge, era tale quando da esso derivasse una pos- sibilita' di controllo e quando potesse essere usato in funzione dello stesso, purche' lo scopo, anche se non concretamente attivato, fosse pero' praticamente attingibile.
Il predetto, inoltre, non negava al datore di lavoro il diritto di controllare personalmente o attraverso i propri preposti l'attivita' svolta dal lavoratore, ma individuava la illiceita' nel trasmodare da un controllo sul prodotto ad una osservazione globale sull'"uomo che lavora".
Si osservava, ancora, che l'art. 4 S.L. distingueva fra momento del controllo sull'attivita' lavorativa da quello della sua utilizzazione, non rilevando per la fattispecie in esame tale secondo aspetto.
Per controllo "a distanza", secondo lo stesso, si doveva intendere sia il controllo simultaneo che quello differibile ad un momento successivo, ed era rilevante sia il controllo attuale che quello potenziale, sempre che, naturalmente, tale scopo fosse raggiungibile concretamente. Il giurista, insistendo nella sua ricostruzione dell'istituto "de quo", individuava nella "intenzionalita'" e "preterintenzionalita'" i tratti caratterizzanti delle fattispecie di cui al primo e secondo comma dell'art. 4 S.L., e postulava la non disponibilita' del diritto a non subire impersonali controlli a distanza.
Lo stesso aggiungeva che il controllo non doveva necessariamente avvenire intempo reale, potendosi produrre anche attraverso un controllo saltuario e/o posteriore all'esecuzione del lavoro.
La prova circa la sussistenza del controllo a distanza, secondo il parere dello stesso, stava nel fatto che esistevano dei tabulati (es. 22 e 97 che perseguivano gli stessi fini di cui rispettivamente alle statistiche di pag. 29 - 31 e 103), che erano aggregati sulla base di codici di riferimento individuali.
Le conclusioni del consulente erano nel senso che la soluzione pratica del problema passava per il tramite di "chiavi di accesso di gruppo", che, quindi, consentissero l'anonimato dell'operatore. br> In data 11/6/1984 di difensori di P.C. depositavano memoria con la quale si avventuravano nell'analisi del sistemainformatico di cui trattasi, definendo i prodotti programma SMF - RMF - SLR.
SMF era un insieme di programmi che raccoglievano e registravano i dati nel controllo dei sistemi di elbaorazione nei files SMF.
RMF consisteva in un gruppo di programmi per la visualizzazione su video o stampa di tabulati relativi ai dati registrati su files SMF. RMF accedeva la Monitor Two Session.
SLR erano i programmi per la stampa di tabulati relativi ai dati registrati nei files SMF.
Successivamente si osservava che tutti i dati contenuti nei records SMF erano rilevati e registrati simultaneamente all'attivita' di elaborazio ne dati richiesti dai vari utenti nel corso delle sessioni di lavoro al terminale. In tali files SMF si trovavano incluse, quindi, quelle registrazioni relative alla interazione uomo macchina, che configurava, a detta degli sciventi, l'ipotesi di controllo a distanza.
La P.C. prospettava due possibilita' di osservazione: la prima era costituita dalla Monitor Two Session che consentiva la visualizzazione su monitor dell'attivita' svolta su ogni singolo terminale; la seconda era la funzione di elaborazione dati prodotta da SLR mediante tabulati del tipo di quelli considerati nella perizia d'ufficio.
A tale ultimo proposito, si prospettava il fatto che anche quando i ta- bulati non riportavano dati individuali, pur sempre si trattava di aggregazioni di valori sempre dedotte dai dati individuali contenuti nei records SMF.
Nella memoria 11/6/1984, inoltre, si considerava comein IBM il lavoro fosse organizzato per picoli gruppi: infatti, a fronte di 13.000 dipendenti che si avvalevano di circa 3.000 terminali, vi erano 1.700 capi; si narrava, quindi, di un episodio avvenuto nella filiale di Padova, nella quale un capo si era avvalso di tabulati per verificare l'utilizzo da parte dei lavoratori dei terminali, ma su tale vicenda ci si soffermera' in seguito.
Si passava successivamente ad analizzare i tabulati gia' esaminati dal perito d'ufficio soffermandosi soprattutto su quelli che, ad avviso degli scriventi, mettevano in luce la funzione di controllo dell'attivita' dei lavoratori operate da SLR. In particolare fermavano l'attenzione sui tabulati 22e 37, al fine di dimostrare che gli stessi altro non erano che i doppioni rispettivamente di quelli di cui a pag 29 - 31 e 103, in quanto tutti erano relativi alla misurazione del carico di macchina, ma i primi aggregavano i dati sulla base di codici di riferimento individuali. Concludevano, infine, facendo una distinzione fra controllo ad uso degli strumenti di controllo, assumendo che la norma di cui all'art. 4 S.L. vietava il controllo, mentre l'uso di esso e' un qualche cosa di piu' non richiesto dalla Legge. A tali argomenti si replicava nuovamente da parte di IBM con un terzo supplemento di perizia (14/6/1984), nel quale si partiva da una osservazione metodologica: l'esame di SLR si doveva soffermare sui moduli effettivamente operanti e non gia' su quelli astrattamente previsti dal manuale.
Si ribadiva che la funzione del sistema non era quella di controllo, bensi' era quella di pianificare, contabilizzare e valutare l'efficienza dell'impianto di elaborazione e dei suoi componenti. Per fornire, quindi, una base sufficientemente analitica per tutti questi scopi in una situazione complessa come quella dei sistemi di elaborazione, occorreva aggregare e disaggregare le informazioni di macchina. Tali aggregazioni consentivano, cioe', di analizzare la situazione degli impianti di elaborazione secondo l'asse temporale, l'asse fisico della macchine, l'asse del software, l'asse dei terminali e l'asse dell'utenza (uffici ed utenti).
Si aggiungeva, inoltre, che dai tabulati si doveva ritenere l'inesistenza di ogni possibilita' anche indiretta di effettuare il controllo a distanza sull'attivita' svolta dai singoli. Si faceva il caso dell'elaborazione a lotti (batch), nella quale l'impulso era dato dall'operatore ma era poi il sistema ad elaborare, con la conseguenza che non esisteva la possibilita' di correlare la quantita' di risorse fornite dalla macchina su richiesta dell'utente con il suo impegno e la sua presenza effettiva al terminale; ne conseguiva l'impossibilita' di controllo sulle modalita' di svolgimento del lavoro delle persone.
Ne derivava, per quanto sopra detto, che era improprio parlare di informazioni personali, trattandosi invece di dati riferiti a situazioni di carico ed a servizi forniti dagli impianti. Poiche', dunque, dai codici personali non era possibile risalire all'attivita' degli utenti, anche i tabulati 22 e 97 erano irrilevanti ai fini del controllo ma, anzi, servivano a consentire l'addebito delle risorse macchina e ad identificare univocamente gli archivi e le aree di lavoro di proprieta' di ciascun utente, defferenziandoli, per tali fatti, rispettivamente dai tabulati 29 - 31 e 103.
Quanto poi al Monitor Two Session si precisava che trattavasi di una funzione di visualizzazione istantanea delle procedure a lotti attive e dei soli terminali collegati in quell'istante.
Seguiva un commento sistematico alle affermazioni fatte dalla P.C., nel quale il leit motif era quello di puntualizzare che le registrazioni si riferivano non gia' alle persone, bensi' agli eventi-macchina. In pendenza del dibattitmento iniziava un carteggio fra IBM Italia ed FLM tendente ad interpretare l'accordo 23/2/82circa il punto relativo al modo di identificare le aree del sistema che si dovevano considerare riservate. La trattativa naufragava ed in data 9/10/1984 l'azienda ricorreva all'ispettorato del Lavoro ex art. 4, comma 2, S.L.
Il 10/10/1984 si apriva il dibattimento con l'interrogatorio degli imputati presenti e si procedeva in contumacia di Fiumara Armando il quale, sebbene ritualmente citato, non era comparso.
Il Riverso confermava quanto gia' detto in istruttoria, precisava la sua posizione nella gerarchia dell'azienda e la correlava a quella degli altri imputati. Ribadica che il controllo a distanza dei lavoratori non rientrava nella finalita' della IBM Italia e, su richiesta del Pretore, descriveva il modo seguendo il quale avvenivano le promozioni e le valutazioni nell'Azienda.
Anche il Tripiciano confermava quanto gia' detto in fase istruttoria e puntualizzava gli aspetti relativi alla sua partecipazione all'accordo 23/2/1982. Cosi' pure facevano Apicella e Caramani.
Nella stessa data venivano sentiti in qualita' di testi le P.C. Traini Gianfranco, che dava una sua versione circa l'accordo 23/2/1982, nonche' Toloni Giancarlo e Toma Marcello.
Nella successiva udienza del 12/10/1984 i periti d'ufficio e di parte davano alcuni ragguagli circa le conclusioni cui si era giunti con la perizia e contribuivano a chiarire ulteriormente il modo fi funzionamento del sistema "de quo".
Si procedeva, quindi, in data 18/10/1984, all'escussione dei testi Melissari Vittorio e Riboni Alfio, che rispondevano circa le trattative condotte dalle parti. Morabito Luciano di P.C., invece, dava delle interpretazioni circa i tabulati esaminati nella perizia e precisava che i codici individuali erano riferiti unicamente a una persona fisica. Aggiungeva che esistevano in concreto delle funzioni del sistema chepermettevano il controllo in tempo reale sui terminali. Concludeva ri- cordando due episodi per lui significativi circa l'uso di tabulati al fine di controllo a distanza dell'attivita' dei lavoratori. Su tali fatti si dira' in seguito.
Il teste Alessandro Filippo, indicato dalla IBM, dava delle valutazioni in ordine alla rilevanza delle statistiche ai fini di controllo ed argomentava sulle funzioni di Monitor Two Session. Aggiungeva che copie delle statistiche elaborate da SLR non venivano mandate all'Ufficio Personale, ma poteva succedere che il capo ne venisse a conoscenza in modo del tutto occasionale e solo per motivi tecnici di gestione. La stessa versione veniva fornita da Pellegrini Lorenzo.
Infine, Toma Marcello, di P.C., in quanto operatore dava ragguagli circa il modo di accedere al terminale ed ammetteva che succedeva talvolta che lavoratori diversi usassero congiuntamente di un codice individuale riferibile ad uno solo di loro.
All'udienza del 22/10/1984 Gentini Lanfranco, di P.C., precisava che l'elaborazione di tabulati veniva consegnata ai capi, ma non sapeva se vi fosse un organico sistema di distribuzione delle statistiche agli stessi. Ricordava comunque di un apprezzamento fattogli da un alto dirigente IBM, che poteva basarsi anche sulla conoscenza dei tabulati. Aggiungeva alcune considerazioni relative al tabulato 97, e dichiarava che tutte le singole operazioni venivano registrate sui files SMF abbinate al codice "RUN". Diceva, inoltre, di sapere che alcune persone seguivano le varie operazioni-macchina per mezzo di Monitor Two Session. Il teste De Grenet Oderisio, indicato dalla difesa degli imputati, infine, dava una sua versione dei fatti relativi alle trattative col Sindacato.
All'udienza del 23/10/1984 Rabagliati Riccardo, di P.C., forniva una interpretazione circa l'episodio della filiale di Padova, relativo, come gia' detto, all'uso di statistiche al fine di valutare l'entita' delle prestazioni effettuate da gruppi di lavoratori. Faceva seguire una dettagliata analisi sui tabulati 22, 29, 31 e 97, 103, giungendo alle conclusioni secondo le quali il 22 e il 97 non avevano altro scopo se non quello del controllo a distanza sull'attivita' dei lavoratori.
Il teste Boschetti Angelo, indicato dalla Dirigenza della IBM, direttore degli Uffici di Padova all'epoca del fatto di cui si e' fatto menzione, ammettva di avere usufruito di statistiche che gli consentivano di sapere quante ore di collegamento al sistema Hone venivano fatte dalla filiale. La difesa IBM provvedeva ad illustrare Hone, ma sul punto si tornera' piu' avanti.
Aschieri Alessandro dava dei ragguagli circa i codici individuali e il loro rapporto con le aree protette, collegando i due concetti per mezzo di quello di mansione che, a detta del teste, costituiva la garanzia aprioristica in ordine alla riservatezza dei dati e costituiva, quindi, il livello di relazione degli accessi individuali.
Infine, Ferrario Marco, indicato dall'Azienda, dava alcune spiegazioni relative ai tabulati 97 - 103 e aggiungeva che si trattava di statistiche diverse in quanto provenienti da ambienti differenti. Concludeva dichiarando che con la Monitor Two Session dell'RMF era possibile dire se da un terminale fosse stata sottomessa una transazione a fronte della quale erano in corso eventi di macchina quali l'utilizzo delle risorse, lasciando con cio' intendere che non era possibile un controllo sull'attivita' dell'operatore.
In data 6/11/1984 la Difesa del Sindacato depositava in cancelleria una memoria del perito di Parte Civile, con la quale si premetteva che i programmi SMF registravano ogni singola attivita' di macchina in manie- ra permanente su opportuni files, riferendo le singole attivita' ad un utente mediante il suo codice. I records SMF potevano poi essere elabo- rati dai programmi SLR, RMF ed altri programmi.
Quanto al problema dei codici utente (User oppure Run), sosteneva che la loro necessita' non era legata alla distribuzione della stampa ne' alla prosecuzione dei lavori interrotti. I tabulati 22 e 97, nei quali comparivano i codici individuali, non erano di supporto agli utenti (ai quali i tabulati non venivano mai forniti) e non servivano ai responsabili della gestione e pianificazione del sistema ne', tanto meno, erano necessari per la contabilizzazione delle risorse da addebitare ai singoli utenti, aggiungendo che in IBM, peraltro, non esistevano addebiti in dividuali: si concludeva dicendo che l'unico fine era quello del controllo dell'attivita' dei lavoratori.
Il consulente di parte, diceva anche che i CRITERI di selezione SLR permettevano di individuare ogni singolo utente tra i dati dello SMF e, pertanto, restava a discrezione di chi utilizzava SLR di richiedere tale dettaglio e utilizzare dati aggregati a livelli superiori. Sosteneva che, in un ambiente lavorativo organizzato pre piccoli gruppi, la lettura dei tabulati era integrata con facilita' da un confronto tra i dati relativi ai diversi lavoratori e le altre informazioni in possesso del capo, quali la qualita' e la complessita' dei lavori assegnati.
Concludeva sottolineando la pericolosita' del controllo on line operato dalla Monitor Two Session dello RMF.
Successivamente la Difesa degli imputati provvedeva a depositare un quarto supplemento di perizia, redatto il 5/11/1984, con il quale si prospettava la complessita' del sistema di elaboratori e di programmi operanti presso la sede IBM di Segrate e nello stabilimento di Vimercate, nel quale esistevano ben 9 elaboratori di grandi dimensioni. I programmi SMF e simili ne facevano parte integrante fin dagli anni '60 e avevano lo scopo di consentire la raccolta dei dati relativi al carico e alle condizioni operative dell'elaboratore. Ne conseguiva il fatto che era indispensabile una presenza di archivi storici di log da momento che, appunto, le macchine raccoglievano, memorizzavano e gestivano sistematicamente informazioni storiche sugli eventi elementari al fine di porre rimedio al cattivo funzionamento del sistema.
Il programma SLR serviva per cumulare ed aggregare le informazioni storiche, come gia' precisato in altra memoria, secondo criteri differenti e complementari. si ribadiva, ripetendo lo schema della perizia di ufficio, che gli scopi erano la pianificazione e l'ottimizzazione delle risorse macchina, la contabilizzazione del consumo delle risorse e la valutazione dell'efficienza dell'impianto di elaborazione e dei suoi componenti in rapporto ai servizi che esso doveva offrire.
Poiche', dunque, lo SLR poteva essere utilizzato solo per interventi differiti, ci si avvaleva dello RMF, operando in Monitor Two Session, per una rappresentazione istantanea dell'utilizzo cumulativo di risorse di macchine delle procedure a lotti.
Si passava a descrivere le funzioni del prodotto SPF, avente la funzione di preparare i contatori relativi alle risorse di macchina utilizzate dai programmi in sviluppo. Lo strumento MAP, del quale aveva fatto cenno un teste nel dibattimento parlando della entita' dei jobs, era un recente prodotto software, introdotto in IBM da alcuni mesi, e aveva lo scopo di stimare la complessita' di un programma in sviluppo. Tale sistema, pero' non era correlato ad SLR al fine, cioe', di avere dei parametri statistici circa l'entita' dei jobs stessi.
Quanto al sistema Hone, si asseriva trattarsi di un programma internazionale IBM non interrelato con quelli di Vimercate e Segrate, avente lo scopo principale di mettere a disposizione dei commerciali e dei sistemisti delle filiali basi di dati contenenti desrizione degli elaboratori e dei programmi IBM. Si ammetteva che Hone era dotato di una funzione di contabilizzazione dell'uso della rete da parte degli utenti.
Si faceva notare ancora, che i tabulati 97 e 103 erano provenienti da due ambienti di lavoro diversi e che in generale, quindi, non aveva un senso concreto accomunare elementi riferentesi a situazioni diverse. Seguiva una ricostruzione dei fatti istruttori intendente a dimostrare comunque la impossibilita' di trarre dal tabulato elementi di valutazione quantitativa e qualitativa del lavoro svolto dagli operatori. All'odierna udienza le parti concludevano come da verbale: la P.C., insistendo sui noti motivi ed analizzando i fatti processuali, concludeva per la dichiarazione di responsabilita' penale di tutti gli imputati e per la conseguente condanna degli stessi anche al risarcimento dei danni patrimoniali e morali da liquidarsi in separata sede, concesse, comunque, una provvisionale provvisoriamente esecutiva.
Il P.M., aderendo alla tesi della Difesa degli imputati, secondo la quale il controllo sulle qualita' della prestazione lavorativa non integrava l'illecito ex art. 4 S.L. e ritenendo che le acquisizioni dibattimentali attenessero a tale aspetto, concludeva ritenendo che il fatto contestato non sussisteva.
La Difesa degli imputati ribadiva tale concetto corroborando la tesi e le conclusioni di cui sopra grazie a una ricostruzione dell'istituto ex art. S.L. inserita all'interno di un quadro sistematico piu' complessivo e confortato da interpretazioni giurisprudenziali e di dottrina.

OSSERVA IL PRETORE IN GENERALE

Occorre subito sgomberare il campo da un equivoco l 'impiego di elaboratori elettronici e di memorie artificiali non costituisce di per se stesso una invasione vessatoria della sfera personale altrui, anche se la potenzialità offensiva" di tali strumenti è ben al di là di qualsiasi ingerenza ipotizzata prima dell'avvento dell'informatica

Infatti sarebbe mero misoncismo la demonizzazione di uno strumento il quale, tra le altre cose, in quanto tale, altro non è che un congegno utilizzabile nei modi più svariati.

Peraltro, stante l'obiettivo pericolo per le coscienze di un intervento così dirompente di tali congegni la società civile sente la necessità di una regolamentazione da parte del Legis1atore, che tuteli i singoli riservando loro degli ambiti di riservatezza invalicabili da parte di coloro i quali gestiscono gli strumenti informatici

L'ulteriore esigenza emergente quella che il Legislatore sia adeguato, in una emananda normativa, al contesto 1egis1ativo di quei Paesi che hanno seguito un modello evolutivo simile e paragonabile al nostro, pena un intralcio alla evoluzione della società sotto l'aspetto della competitività nel settore produttivo e sotto quella della legittima aspirazione del riconoscimento degli spazi di autonomia del singo1o nei confronti dell'ingerenza del Potere.

Paradossalmente in tale enorme vuoto legislativo, vige nell'ordinamento Giuridico italiano la norma di cui all'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, la quale si pone come unico parametro, al di fuori di un quadro normativo organico.

L'anomalia del caso italiano consiste nel fatto che la norma non è speciale, ma assume in sé il carattere di avamposto normativo in un settore tanto delicato, quale il mondo del lavoro nel quale operano e si scontrano due esigenze egualmente apprezzabili, aventi entrambe la dignità del riconoscimento costituzionale, quali la necessità produttiva e la tutela del lavoro nei suoi molteplici aspetti.

Non è scoprire cosa nuova l'asserire che spesso, in una società pluralista, qua1e quella che si è configurata con l'entrata in vigore della Costituzione Italiana, tali esigenze diverse vengono a conflitto si manifestano in quella a conflittualità Sociale alla quale 1' osservatore anche se non attento è uso.

Compito del legislatore è quello di fornire i parametri entro i quali la contesa deve rimanere per conservare il carattere di que1la democrazia riconosciuta e prefigurata dal Costituente come caratteristica del nostro modello Sociale, nonché quello di effettuare delle scelte tra gi interessi in campo, i quali quindi trovano nelle norme poste dallo Stato i limiti a loro storicamente delineati.

Compito dell'interprete, viceversa, è quello di analizzare tali nome e, valutando in relazione al caso concreto, tracciare delle linee di demarcazione fra il lecito e l'illecito in base, ovviamente al diritto vigente.

Alla luce dell'evoluzione del pensiero che si storicizza in diverse fasi, si deve assumere come postulato del nostro contesto storico sociale, il principio secondo cui, attinendo ad aspetto meramente interiore della individualità e cioè alla libertà del soggetto il controllo sulla persona è illecito Se non sia jure datur".

La possibilità di controllo, dunque da punto di vista della filosofia del diritto, in tanto è legittima in quanto la deroga al principio sia giustificata da altri interessi, ai quali l'ordinamento Giuridico riconosca una dignità così "degna di tutela" da sacrificare il principio generale.

La tendenza del legislatore attuale, dunque quella di permettere la eccezione al principio della libertà della persona, purché tale deroga sia contenuta nei termini e nei limi ti stretti del sacrificio necessario a garantire la tutela di quell'altro interesse confliggente col primo e comunque meritevole di tutela, se non altro in relazione ad una scelta legislativa storicamente data.

Tale schema serve anche a spiegare ed a fornire i parametri per la soluzione del problema che deve essere risalto nel caso di specie.

Si tratta cioè di individuare il titolo che fonda la eccezione al principio generarle. L'attenzione, nel caso di specie, va localizzata su quell'aspetto della autonomia negoziale che il contratto di lavoro.

Il giusto contemperamento della questione trova il suo momento di equilibrio, nel sistema normativa vigente, nel seguente postulato: il controllo sul lavoratore, in quanto persona tutelata anche sotto il profilo dell'interesse di retto al riconoscimento della propria libertà morale, intanto è ammissibile in quanto sia immediatamente connesso alla causa sinallagmatica di quel contratto (di lavoro) stipulato fra lavoratore e datore di lavoro, e sia posto in essere con le garanzie di un uso di strumenti tali da garantire, nel gioco delle parti, il "fair play"... donde i divieti di cui all'art. 4 L. 300/70.

E' solo in questa prospettiva, dunque, che può essere in quadrato e ricevere significato il diritto alla prestazione da parte del datore di lavoro, con il conseguente diritto al controllo non già sul lavoratore, bensì sul prodotto di quest'ultimo, e nel limite che il Controllo non sia tale da invadere quegli aspetti della personalità che non sia necessario toccare perché non coinvolti in quel rapporto di interessi (alla riservatezza da una parte ed al prodotto dall'altra).

Si deve quindi ritenere che il controllo o trova la sua giustificazione proprio nella entità della causa, in senso giuridico, di quello specifico contratto che il singolo lavoratore ha concordato col proprio datore di lavoro.

Tutto quanto sopra detto serve ad affermare che il contratto di lavoro, certamente è un negozio giuridico con tutte le sue caratteristiche generali ed i Suoi elementi costitutivi, ma essa ha una portata coinvolgente della personalità c grande da aver reso necessaria tutta un a normativa di tutela che dagli anni '60 ha accentuato e peculiarità del tipo di contratto "de quo loquimur" riconoscendo la necessità di tutela del soggetto più debole e più esposto alle ingerenze altrui, a causa proprio dell'elemento caratterizzante del contratto, e cioè la subordinazione.

Ciò peraltro, non deve far perdere di vista 1'aspetto principale del problema: trattasi di contratto e cioè di "accordo fra le parti" (art. 1325 n. 1 c.c.) e non già di un mero rapporto di subordinazione. La subordinazione, dunque, sussiste unicamente sotto l'aspetto meno coinvolgente "possibile della personalità, sostanzialmente solo sotto il profilo della organizzazione del lavoro e delle sue conseguenze immediate (direttive, potere disciplinare, ecc.).

E' ovvio che il lavoratore non possa scegliere "che cosa" fare, ma "come" fare ciò che gli è stato demandato e un fatto connesso alla sua personalità ed alla sua, più o meno richiesta creatività.

Ma vi è di più e di diverso: il datore di lavoro ha un interesse obiettivo, perché connesso all'interesse della produzione a che il lavoro venga svolto in un determinato modo. E cioè sotto due profili: il primo è quello di avere un prodotto quantitativamente e qualitativamente più prossimo possibile al meglio ottenibile con gli strumenti usati; tale interesse è il meno controverso in quanto inequivocabilmente connesso al concetto di buona fede nell'esecuzione dell'obbligazione (art.1176 c.c.).

Il secondo profilo, invece, più delicato, in quanto connesso al controllo sulle modalità di esecuzione dell'attività

lavorativa alla quale consegue il prodotto del lavoro. Non vi sono dubbi circa il fatto che anche sotto questo aspetto il datore di lavoro abbia un interesse che gli consegue dalla sua posizione di contraente e che ne sia legittimato alla tutela dall'aspettativa di un prodotto quantitativamente e qualitativamente congruo.

Infatti, il controllo è ammesso,- ma entro certi limiti, i limiti normativamente previsti al controllo sono quelli se non altro di cui all'art. 2087 c.c. e all'art. 4 Legge 300/70.

A questo punto giova sgombrare il campo da un equivoco.

Diverso è il problema della valutazione delle attitudini professionali di cui all'art. 8 L. cit., in quanto è pur vero che un giudizio di idoneità può far scattare una promozione ed un giudizio negativo può comportare l'applicazione dei rimedi legislativamente e contrattualmente previsti, ma tale giudizio non può fondarsi su dati illecitamente ac uisiti. Ciò sarebbe una attività nemmeno troppo nascostamente in frode alla norma di cui all'art. 4 L. 300/70.

Infatti, l'art. 8 1.cit. legittima la raccolta dei dati finalizzati alla valutazione delle attitudini professionali, ma non deroga di certo ai divieti di cui al precedente art .4, perché diversa è la obbiettività giuridica.

Il 1egislatore odierno, cioè ha riconosciuto la possibilità di controllo dell'uomo sull'uomo (ad esempio del capo reparto, del capo ufficio, ecc.), ma non già quello della macchina sull'uomo, in quanto ciò introdurrebbe la legittimazione di una nuova alienazione e 1 'abdicazione da tutte quelle conquiste di civiltà che hanno caratterizzato il nostro Secolo e la nostra società.

Esiste una conferma rimeditata e testuale di quanto testé asserito perché il Legislatore con la recente 1. 29/3/83 n. 93, e quindi a seguito di una riflessione ultradecennale agli artt .traspone al pubblico impiego, con gli aggiornamenti e peculiarità necessarie la norma di cui allo Statuto dei Lavoratori

Infatti, 1' art. 24 L. cit. pone in via principale il divieto del' uso di impianti audiovisivi ed altro apparecchiature ed in subordine consente l'uso di tali strumenti di controllo solo se "siano richiesti da esigenze organizzatìve e di produttività ovvero dalla sicurezza del lavoro",.. ma in tale caso e necessario sentire gli organismi rappresentativi dei dipendenti.

Ma vi è di più; la legge citata da ultimo prevede certa mente un controllo sui lavoratori, ma tale controllo non è delegato agli strumenti impersonali quali macchine o elettroniche, bensì ai capi degli uffici.

Infatti, recita l'art. 22 L. cit.: 'Ferme restando le responsabilità dei singoli dipendenti; i capi di ufficio sono perseguitili, oltre che sul piano disciplinare, anche su quel lo amministrativo-contabile per i darmi derivati dall'amministrazione di appartenenza del mancato esercizio del potere di controllo, loro demandato dalla legge, in ordine all'osservanza da parte del personale addetto dei doveri di ufficio e in particolare, dell'orario di lavoro e degli adempimenti connessi al carico di lavoro a ciascuno assegnato".

E' del tutto pacifico, poi, che il controllo deve essere operato da coloro che vi sono preposti nei termini, nei modi e con gli strumenti leciti. Stante l'organicità dell'ordinamento, esiste una controprova a tale conclusioni: trattandosi di un obbligo dei capi ufficio la cui inosservanza è sanzionata con gli strumenti disciplinari e della responsabilità contabile nessun addebito può essere mosso a costoro nel Caso abbiano posto in essere una condotta ineccepibile in relazione alle possibilità di controllo a loro riconosciute dal l'ordinamento. Il che equivale a dire che mai nessuno può eccepire al capo ufficio di non essersi avvalso di strumenti... illeciti.

A ciò si deve aggiungere dell'altro. Il Legislatore del 1983 ha ritenuto che il controllo sui lavoratori (del pubblico impiego) non possa essere operato con gli strumenti di cui all'art. 24 L. 29/5/85 N.93, pure in costanza del fenomeno di ipotizzato assenteismo del pubblico dipendente cui si è teso porre rimedio.

Infatti, anche in presenze di una tale ritenuta emergenza. è possibile, negli uffici pubblici, disporre impianti audiovisivi ed altre apparecchiature, ma solo da parte del l'Autorità di Pubblica Sicurezza, per eccezionali e motiva te ragioni di sicurezza, ed al fine di combattere la criminalità (art. 24 L. 29/3/85 N. 93), non, quindi, l'assenteismo.

Tali argomenti testuali confortano nella tesi sino a questo punto sostenuta: lo Strumento di per sé è un ratto neutro che assume una valenza positiva o negativa giudizio morale), lecita ed illecita (valutazione giuridica che in questa sede viene presa in considerazione) a seconda dell'uso che di esso strumento viene fatto.

Trattandosi di valutazione giuridica, la qualificazione degli scopi come leciti o illeciti non può che essere opera del Legislatore, al quale, dunque, l'interprete non può che piegarsi , semmai, valutando fra sé e sé l'adeguatezza o meno della scelta legislativa.

Tornando dunque al merito del discorso e riprendendo ad argomentare circa l'art. 8 1.300/70, non si può che ritenere la liceità della raccolta dei dati finalizzati alla valutazione delle attitudini professionali, ma non già ottenuti con strumenti vietati in via assoluta o autorizzati per i di versi fini di cui all'art. 4, comma 2, L. 300/70.

Tali argomenti inoltre, Consentono di formulare un altro e conseguente concetto. Se e vero in virtù di quella concezione negoziale che è il contratto di lavoro subordinato, che alla Controprestazione della retribuzione e cioè allo svolgimento delle mansioni pattuite, consegue il vincolo della subordinazione (al quale accede un legittimo interesse da parte del datore di lavoro al prodotto e, quindi, alla produzione, il quale interesse a sua volta consente il controllo dell'uomo sull'uomo), è possibile, facendo un minimo di sforzo logico interpretativo rifacendosi, dunque, alla "ratio legi", ritenere che non sono vietate proprio tutte quelle attività effettuate con strumenti meccanici ed elettronici che sono fungibili con l'attività umana.

Infatti, si è ritenuta in più casi la liceità di strumenti quali, ad esempio, i cartellini orari ed altro, semplicemente perché il controllo operato con tali strumenti non è qualitativamente diverso da una attività di controllo di un capo ufficio avanti al quale, in ipotesi, sfilino i lavoratori dandosi presenti ad una certa ora. Dietro tali strumenti, quindi, non si cela alcuna insidia: lo strumento è a "misura d'uomo'.

Diverso è il caso, come è bene intuibile, di una macchina che operi un controllo sull'uomo con modalità che escano da un rapporto paritario con lo stesso, e che, quindi, ponga in essere una situazione di squilibrio che non può che risolversi nel sinallagma contrattuale, determinando un vizio della causa.

Giova, a questo punto, porre mente proprio al concetto giuridico di causa la definizione tradizionale dell'elemento negoziale di cui sopra è nel senso che trattasi dello scopo oggettivo del negozio e, cioè, del fine valutato o valutabile come idoneo da parte dell'Ordinamento giuridico a tutelare e contemperare certi interesse, al punto che i contratti e gli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniali in tanto sono riconosciuti in quanto siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico (art. 1322 c.c.),laddove la valutazione dell'ordinamento è preesistente nel caso dei contratti tipici e logicamente susseguente in quelli atipici.

Ma, allora, ci si chiede: che tipo di contratto sarebbe, nel concreto, quello nel quale, a fronte della retribuzione il lavoratore presta una attività lavorativa soggetta a controllo con strumenti che alienino la personalità del contraente?

La risposta è chiara ed inequivoca: se il vizio è originario trattasi di un contratto di lavoro avente una causa illecita (art. 1343 c.c.) e come tale, se interpretata secondo il sistema, nullo (art. 1418 c.c.).

Infatti, l'art. 1345 c.c. dispone che la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume, e non vi è nessun dubbio che l'articolo 13 Cost. sia una norma imperativa.

E' chiaro, però, che di fronte a tale anomalia i rimedi non possono essere quelli della dichiarazione della nullità e del risarcimento del danno, ma stanti gli interessi anche sociali in gioco e di fronte ad un principio così grande quale quello della libertà della persona umana, la scelta del legislatore è di altro tipo e cioè di penalizzazione del comportamento del datore di lavoro.

Nello stesso senso, del resto, corre il principio costituzionale previsto dall'art. 36, dal quale si ricava il conforto di postulare che la retribuzione deve assicurare una esistenza libera e dignitosa e non già... una moderna alienazione.

Ove poi il vizio sia sopravvenuto all'accordo contrattuale, la sproporzione della causa sarebbe inquadrabile nell'istituto di cui all'art. 1467 c.c., ma le conseguenze sarebbero identiche.

Se, poi, volesse ridurre il problema al semplice ma momento esecutivo del contratto, ritenendo il controllo non un elemento interno alla causa, ma a questa esterno, resta sempre il fatto che il negozio deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1325 c.c.) e questo non può non rapportarsi allo schema di proporzionalità previsto nel sinallagma causale.

Ma vi è di più: si è obiettato che 1'art. 4 S.. sanzionerebbe solo quei controlli a distanza operati con gli strumenti di cui alla norma che inciderebbero non già sul prodotto e sull'attività diretta alla produzione, ma solo su quegli aspetti che sono l'indice maggiore della esplicazione della personalità, come ad esempio i tempi morti, le licenze comportamentali, ecc...

La cosa non è esatta.

Come si è già accennato sotto un profilo sistematico, l'articolo 4 S.L., va visto in connessione all'art. 2037 c.c. che parla di tutela della integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro. Orbene, se si pone mente al primo concetto, ci si rende conto che l'integrità fisica tutelata non avrebbe senso se non fosse relativa al momento lavorativo vero e propria, donde, poi, tutta la normativa specificamente antinfortunistica. Non si capisce allora perché il concetto di "persona1ità morale" debba essere fratto nella distinzione fra attività direttamente connessa alla produzione e attività marginale alla stessa anche se prestata in costanza del lavoro.

Questo Pretore dunque ritiene e ribadisce che la tutela offerta da1l'Ordinamento si estende ad ogni aspetto dell'attività del lavoratore, in quanto ciò si attaglia maggiormente di qualsiasi altra interpretazione al contesto sociale, storico e costituzionale (artt. 1, 2, 5 e 4 Cost.).

Ma queste conclusioni sono rafforzate anche da considerazioni di carattere sistematico dalle quali non si può prescindere e che rafforzano la tesi sostenuta: con lo Statuto dei Lavoratori si è teso a fornire strumenti di tutela della libertà e dignità del lavoratore mediante il divieto a una regolamentazione che contemperi esigenze diverse, di fatti o categorie di soggetti in sé ritenuti lesivi e pericolosi per l'interesse protetto dalla norma. Così l'art. 2 tratta delle guardie giurate, 1'art. 5 del personale di vigilanza, l'art. 5 degli accertamenti sanitari, l'art. 6 delle visite personali di controllo e l'art. 4... degli strumenti di cui si sta parlando.

Circa il fatto che il problema di cui trattasi costituisca una "questione di civiltà" non vi sono dubbi, e dubbi nemmeno vi sono per i Legislatori di quei Paesi che, prima del nostro, si sono posti nella prospettiva di emanare un sistema normativo a disciplina del diritto alla riservatezza e che hanno cercato di dare una codificazione (adeguata?) se non altro a quei rimedi o contrappesi alla enorme potenzialità delle memorie artificiali, riconoscendo il diritto di accesso da parte degli interessati ai dati , nonché il diritto di correggere l'informazione sbagliata o incompleta.

Deve, comunque, essere chiaro il fatto che la posta in gioco è grande e da ciò deriva la configurazione di una società più o meno sensibile alle questioni di libertà.

Ma se si prescinde da una normativa generale in tema di tutela della riservatezza, in relazione alla quale il Parlamento italiano e inadempiente rispetto agli obblighi internazionali, contenuti in normative non self executing, assunti dal nostro Paese, e ci si pone unicamente il problema dei principi generali, è possibile rintracciare un dato normativo avente la dignità costituzionale che rappresenta l'immedìato precedente e l'elemento ispiratore, al quale il Legislatore Italiano non può che attenersi nella emananda legislazione.

Infatti, l'art. 15 Cost., del quale si è già fatto cenno, con il quale per ragioni storiche non ci si poteva porre il problema della "privacy" come oggi intesa, stabilisce che la libertà personale (sia essa fisica o morale) è inviolabile e non è ammessa, se non in casi, speciali, alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, "né qualsiasi altra restrizione della libertà personale".

E' chiaro che tale principio va interpretato alla luce di tutto il sistema costituzionale fino a valutarne 1'esatta portata in relazione agli altri interessi di pari dignità con i quali venga a confliggere.

Nel caso di specie, trattandosi di un particolare aspetto della tutela della libertà morale del cittadino, poiché riguarda il cittadino-lavoratore, il principio confliggente è quello di cui all'art. 41 Cost., laddove si sancisce che l'iniziativa economica privata è libera.

Solo che in questo caso è lo stesso Costituente a risolvere il conflitto fra interessi Costituzionali, avendo stabilito che, comunque, l'iniziativa ecflornica non può svo1gersi in Contrasto con 1a libertà e la dignità umana.

Ne consegue una valutazione: l'art. 4 L. 300/70 come sopra ricostruito nella sua "ratio" si pone in perfetta armonia con il sistema istituzionale delineato con l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana e trova la sua logicità sistematica anche fuori da quel quadro normativo emanando, in relazione al quale, comunque, oltre ad essere, come dianzi detto, un avamposto normativo determinato da una "questione di civiltà" potrebbe bene continuare a rimanere anche in futuro norma speciale ex artt. 15 e 16 c.p.

E' possibile, dunque, concludere tali generalissimi argomenti tracciando una linea di demarcazione tra liceità e illiceità del controllo laddove la "actio finiun regundorum" passa attraverso la constatazione che vi è legittimità del controllo del datore di lavoro sulla prestazione lavorati va (prodotto del lavoro in senso lato), in quanto il controllo attenga al rapporto sinallagmatico relativo alla causa giuridica del contratto concretamente da lui stipulato col lavoratore.

Inoltre, tale obiettiva ingerenza nella sfera personale altrui deve essere effettivamente giustificata da un tipo di lavoro finalizzato al conseguimento di un obiettivo produttivo che sia compatibile con le mansioni concretamente svolte dal lavoratore.

Infine, tale intervento nella sfera personale altrui non deve essere così vessatorio da creare una di per sé rilevante messa in pericolo di quella libertà morale del lavoratore che costituisce l'interesse protetto dalla norma, mediante la subordinazione dell'uomo nei suoi vari momenti di manifestazione della personalità al controllo della macchina con la conseguente alienazione dello stesso sull'ara sacrificale del la produttività fine a se stessa.

OSSERVA IL PRETORE NELLO SPECIFICO

Nel procedimento penale somma garanzia per l'imputato è quel principio che si è soliti chiamare della corrispondenza fra l'accusa e la pronuncia, che trova la sua cristallizzazione nella norma di cui all'art. 477 c.p.p. E' per questa ragione che il Pretore non può che attenersi ai fatti che furono contestati agli imputati e che sono stati formulati nel decreto di citazione a giudizio.

Ne consegue, dunque, una considerazione imprescindibile:

Il fatto è quello descritto nell'imputazione ed a quello ci si deve rapportare per avere il parametro entro il quale all'imputato sia garantito il diritto di difesa.

Entro tali limiti comunque ogni elemento probatorio lecitamente acquisito concorre a formare il convincimento del magistrato; nel caso di specie il Pretore si limiterà a considerare quelle apparecchiature (lo hardware) in ordine alle quali si è ipotizzata l'idoneità ad effettuare un controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, in particolare attraverso l'utilizzazione diffusa di Sistemi di elaborazione (software) in grado di raccogliere dati sulla quantità e qualità delle prestazioni lavorative dei singoli operatori, muniti di codice personale di identificazione, e la conseguente redazione di tabulati contenenti statistiche volte al controllo delle prestazioni di lavoro per alcune categorie di dipendenti delle unità di Segrate e Vimercate.

Non formeranno, quindi, oggetto del presente giudizio i fatti relativi a funzioni diverse da quelle di produzione di tabulati statistici elaborati dallo Service Level Reporter sulla base, ovviamente, dei dati elementari da questo considerati ed immediatamente riscontrabili negli elaborati nelle diverse forme di aggregazione.

Dunque, pur sulla base della considerazione che per quanto sopra detto il fatto oggetto della presente indagine è formalmente quello codificato nel decreto di citazione a giudizio (e non già nel quesito rivolto al perito in quanto la perizia è solo un mezzo istruttorio), nella sostanza ci si avvarrà principalmente del contributo fornito da quest'ultimo nel suo atto scritto e nei chiarimenti resi ex art. 451 c.p.p.

Entro tale quadro metodologico appare superfluo dire che rilevante è il contributo del perito d'ufficio e delle parti (a fronte dei quali, comunque, il Magistrato investito della cognizione dei fatti si pone come "peritus peritorum"), ma 1a qualificazione giuridica dei fatti è opera del Giudice. Sarà, pertanto, sempre opportuno valutare sotto questa luce il dato tecnico, scindendolo dal giudizio ad esso eventualmente connesso. La valutazione delle risultanze peritali in senso stretto, nel caso di cui trattasi, sarà dunque opera di questo Pretore che se ne avvarrà congiuntamente ad altri elementi probatori attinenti alla fattispecie al fine di formulare il giudizio.

E' comunque preliminare all'indagine sul merito una breve riflessione giuridica relativa all'istituto di cui alla norma in esame.

Entra così in gioco il problema dell'art. 4 S.L., della quale norma è necessario tratteggiare i confini.

Recita il primo comma: "E' vietato l'uso di impianti audio-visivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori".

Il capoverso dell'art. 4 S.L., invece, dispone: "Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del Lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti".

E' del tutto evidente, per quanto sino a qui detto, che l'oggetto giuridico della norma "de qua" è la tutela della libertà morale dei lavoratori sotto l'aspetto dell'interesse a non essere sottoposti al controllo a distanza mediante impianti ed apparecchiature idonee, quindi, a metterne in pericolo la libertà e la dignità sotto il profilo della loro sottomissione alla macchina.

Traspare dalla norma anche il fatto che al concetto di "controllo a distanza", non meglio specificato, si deve assegnare il significato sia di distanza fisica che temporale; infatti, non avrebbe alcun senso escludere uno dei due aspetti citati, se è vero, come è vero, nei singoli casi di specie, che la messa in pericolo del bene della libertà e della dignità del lavoratore può derivare indifferentemente da una delle modalità (di distanza fisica o temporale) del controllo: una conclusione diversa sarebbe gratuita e non motivata, basandosi su parametri e distinzioni non rilevabili nè dal testo della norma nè dal sistema nè, tantomeno dalla "ratio" della stessa.

Procedendo ad una prima analisi comparativa delle due ipotesi di cui ai citati commi dell'art. 4 S.L., è agevole ritenere quanto segue: mentre nel primo il Legislatore pone un divieto assoluto di usare, a fini di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, determinati impianti ed parecchi idonei a porre in pericolo l'interesse protetto dalla norma, nel capoverso si preoccupa di dimensionare il principio generale contemperando la necessità di tutela della libertà morale dei lavoratori con evidenti esigenze organizzative, produttive o di Sicurezza sul lavoro.

Dall'esame comparato emergono altri conseguenti fatti.

Mentre in un primo momento si vieta l'uso in assoluto di determinati impianti ed apparecchiature, quando l'uso degli stessi è finalizzato al controllo a distanza, successivamente si considera la "possibilità" di controllo mediante impianti ed apparecchiature che siano usate "in via normale" per scopi organizzativi, produttivi o di sicurezza sul lavoro. In questo caso, dunque, il divieto non è assoluto, ma è condizionato dall'espletamento di quelle procedure descritte dalla norma. E' pertanto possibile concludere che, mentre nel primo caso, oggetto del sindacato del Giudice è l'uso (per la detta finalità di controllo della attività dei lavoratori) degli strumenti nominati nella norma, nel capoverso dell'art. 4 S.L., sul presupposto della possibilità del controllo, oggetto è la regolarità delle procedure negoziali volute dal Legislatore.

Per una migliore comprensione, a questo punto, è necessario approfondire un discorso del quale si è fatto cenno e che prescinde dal dato meramente giuridico avendo un significato più filosofico: si tratta cioè di analizzare meglio e più specificamente, in relazione alla norma "de qua", il concetto di "strumento".

Innanzitutto, è necessario ribadire che esso ha, di per se stesso, una valenza neutra, perchè una valutazione positiva o negativa (aspetto morale), lecita od illecita (aspetto giuridico) ecc., dipende, come già detto, proprio per l'essenza del concetto di strumento, dall'uso che di esso viene fatto: strumento è ciò che serve per qualcosa.

Ne conseguirà, per inciso, che il problema che deve affrontare l'interprete non è, come già accennato, quello di un processo astratto ai sistemi informatici, ma è la verifica del funzionamento in concreto di un sistema determinato in relazione alle sue possibilità; oggetto della discussione quindi, non sarà la potenzialità in astratto del sistema SLR e RACF secondo le sue possibilità "da manuale", bensì, il sistema così. come effettivamente funzionante nel contesto degli stabilimenti IBM. Da ciò deriva il fatto che la possibilità del controllo è di per se stessa un concetto astratto (in quanto possibilità), ma riferibile ad una situazione concreta (possibilità in relazione allo strumento informatico ben determinato).

Tale punto di arrivo permette anche di ribadire un'aspetto che nella conclusione logica del discorso è rimasto involuto, ma che, invece, merita considerazione. Se il concetto di strumento è legato all'uso dello stesso, ai fini di una valutazione giuridica di liceità o illiceità, all'uso si collega necessariamente anche il problema della idoneità a perseguire lo scopo, nel caso specifico, di controllo a distanza, con la conseguente violazione dell'interesse protetto dalla norma di cui all'art. 4 S.L. .

Si comprende allora che non tutti gli strumenti, per le loro caratteristiche intrinseche, sono idonei a mettere in pericolo il bene della libertà e dignità del lavoratore così come sopra enucleato.

Ad esempio, una macchina da scrivere non puà certo essere considerata uno degli impianti o apparecchiature previste dalla norma in esame, proprio per la sua inidoneità ad una penetrazione così invadente della sfera personale del lavoratore da lederne la libertà morale come sopra tratteggiata.

La riprova sta nel fatto, ad esempio, che detto strumento costituisce proprio il mezzo normale per l'esplicazione della attività lavorativa.

L'osservazione, però, non deve trarre in inganno: è benesente a questo Pretore il fatto che anche un sistema hardware e software può essere uno strumento di lavoro e, quindi, di per sé lecito. Il problema è quello di vedere, invece, se oltre alle funzioni di lavoro esistano anche quelle di controllo sul lavoratore, caso questo che fa trasmodare l'apparecchio, limitatamente a tale aspetto, da strumento di lavoro a strumento sul lavoro.

L'osservazione merita una considerazione ulteriore: è del tutto evidente il fatto che l'unitarietà strutturale di un congegno può inglobare in sé una pluralità di funzioni finalisticamente connesse le une alle altre, ovvero indipendenti tra di loro. Per strumento idoneo al controllo a distanza si deve pertanto intendere quell'apparecchiatura in grado di elaborare, anche tra le tante, una funzione 1) autonoma o 2) prodromica ad altre attinenti ad esigenze produttive o di sicurezza, che permette il controllo a distanza nel senso sopra detto.

Nel primo caso ci si troverà nell'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 4 S.L., nel secondo invece, si tratterà di questione inquadrabile nel capoverso.

La digressione, comunque, merita una chiusura.

Si deve allora concludere sul punto relativo alla estensione del concetto di impianti di apparecchiature rilevanti ai sensi dell'art. 4 S.L., postulando il seguente principio: la "actio finium [???regundorum]" fra gli strumenti presi in considerazione dalla norma ex art. 4 S.L., e quelli che vi sono esclusi, passa per 1'idoneità a mettere in pericolo quell'elemento intriseco alla norma costituito dal bene giuridico protetto, e non già attraverso altri concetti esterni alla norma come descritta dal Legislatore (quali il controllo sulla qualità della prestazione, piuttosto che sulla quantità o sulle modalità di svolgimento del lavoro) in quanto questi ultimi, come già accennato, in tanto potrebbero rilevare, ma solo in quanto si risolvono o meno in particolari "modalità" di messa in pericolo del bene protetto. Infatti, concettualmente nulla vieta che la lesione della libertà morale si operi con strumenti che siano utilizzati per il controllo a distanza della attività dei lavoratori, prendendo in considerazione di volta in volta la qualità della prestazione, ovvero la quantità della stessa, oppure le modalità di esecuzione del lavoro. Ciò che importa è la ingerenza gratuita e vessatoria che trasmoda dal sinallagma del contratto di lavoro, come sopra si e detto in generale.

Se si intende la "ratio" dell'istituto in esame, allora si comprende perchè l'art. 4 S.L. punisce l'uso di apparecchiature per finalità di controllo a distanza della "attività" dei lavoratori.

Infatti, il Legislatore non ha individuato a caso tale aspetto amplissimo della manifestazione della personalità non parlando "sic et simpliciter", ad esempio, di controllo sui lavoratori, in quanto ha voluto rapportare al concetto di libertà morale del lavoratore il controllo (operato per mezzo di apparecchiature idonee a perseguire lo scopo) su qualsiasi aspetto della estrinsecazione della persona umana e, quindi, tra le altre cose, anche le modalità e la quantità della prestazione come il dedotto della obbligazione nascente dal contratto.

Bisogna, ora, por mente a quel complesso sistema informatico di cui alla presente causa.

Nel sistema SLR, come ha chiarito il Perito d'ufficio (verbale 12/10/1984 pag.2), "l'interazione con l'esterno è fortemente condizionata dalle due principali modalità di funzionamento degli impianti:

A - l'elaborazione a lotti (batch)

e

B - l'elaborazione interattiva o in linea (on line).

Nel primo caso si possono avere due varianti principali:

A1) l'utente fornisce i dati al C.E.D. che autonomamente si preoccupa di fornire, dopo, le relative informazioni;

A2) l'elaborazione viene richiesta direttamente da un terminale.

Da ciò consegue che nel caso detto A1) vi è la necessità di una ulteriore intermediazione umana, a differenza dell'ipotesi A2).

Per quanto riguarda, invece, l'elaborazione on line (tipo B), essa è sotto il diretto controllo del terminale: ad ogni richiesta segue, in tempo-macchina, quindi sostanzialmente in modo immediato, la risposta."

La tendenza, da parte dei cultori della scienza informatica, è quella di trasporre l'analisi dei sistemi sempre a livello di funzioni-macchina, dando come presupposto l'attività dell'uomo che si pone come interlocutore dello strumento.

Se l'operazione ha la sua dignità dal punto di vista degli scienziati e dei tecnici, all'interprete non può sfuggire un dato elementare che, peraltro, è necessario postulare. L'uomo è una presenza costante in tutte quelle operazioni che non siano meramente meccaniche (rectius "elettroniche") in quanto già comprese in un sistema o sottosistema predisposto (che, però, è bene ricordare viene inserito nel momento elaborativo generale dalla mente umana).

La elaborazione a lotti, dunque, differisce da quella "on line", più che altro, sotto questo profilo, per un fatto quantitativo di operazioni—macchina che sfuggono all'immediato controllo dell'operatore.

Il probema che necessariamente consegue è quello di rapportare l'attività di "comando" (rectius: di impulso) ad un momento comportamentale più complessivo della persona umana. Tradotto in termini meno astratti, si tratta di considerare il rapporto che intercorre fra impulso dato allo strumento (hardware e conseguentemete software) ed attività lavorativa più in generale.

La cosa è complessa ma non complicata.

Una prima osservazione è di tutta evidenza e conseguente a quanto si è detto sopra: la permanenza al terminale dell'operatore è necessitata solamente per le operazioni di "impulso" (ed è più evidente quindi in ambiente "on line" anzichè in quello "batch"). Ne consegue, dunque, che tanto più è complesso e composto il programma, di per se meno significativo, al fine di stabilire la permanenza del lavoratore al terminale, è l'insieme delle operazioni-macchina. Su tale punto però si tornerà più avanti, in quanto è preliminare ora la comprensione di altri fatti.

A quanto sino a qui detto, dunque, si deve premettere una considerazione: è sufficiente acquisire tendenzialmente il maggior numero possibile di informazioni per avere più dati da analizzare e, quindi, finalizzare l'elaborazione agli scopi che, via via, ci si prefigge.

Orbene, si deve dire subito che esistono fini leciti (tutti quelli non vietati) ed illeciti (ad esempio il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori). I primi sono gli scopi normali del sistema, mentre il secondo è quello che qui interessa ai fini di verificare la sussistenza dell'ipotesi di accusa.

Tornando ad SLR, bisogna dire che esso è sostanzialmente un sistema di elaborazione che crea statistiche relativamente al livello di servizio (donde il nome). I suoi scopi normali sono, quindi, la pianificazione del sistema e la ottimizzazione dello stesso (teste Pellegrini - verbale 18/10/1984 pag.11).

E' comunque evidente che, proprio per tali sue caratteristiche, il sistema "pesca" nella sua memoria, costituita dai dati di servizio che vi sono introdotti.

E' logico e conseguente giungere a queste conclusioni in quanto confortati anche dalle affermazioni del perito di ufficio che, ad una precisa domanda, ha risposto testualmente (verbale 12/10/1984 pag.8): "confermo che lo SLR esamina ed elabora i dati elementari disaggregati per la produzione dei tabulati esaminati nella perizia". Orbene, tali dati sono del segente tipo: 1) nome degli USERS; 2) nome dei JOBS; 5) nome dei PROGETTI; 4) nomi degli elaboratori; 5) lavori andati a buon fine; 6) lavori terminati in modo normale; 7) tempo di impiego per ogni lavoro; 8) data di inizio e fine del lavoro; 9) codice di errore riferito al sistema o all'utente; 10) numero delle transazioni effettuate, ecc.

E' del tutto evidente che la rilevazione di tali dati viene effettuata sulla base di eventi macchina (rapportabili all'attività lavorativa dei singoli operatori nel modo che vedremo più avanti).

La "memorizzazione" di tali elementi avviene in base ad un prodotto-programma detto SMF (teste Morabito — udienza 18/10/84 pag. 4) ed è conseguente alla decisione di produrre o meno records SMF (teste Ferrario - pag. 7).

Orbene, oggetto di esame nella presente vicenda è la produzione dei tabulati effettuata dal sistema SLR.

Si deve ribadire che l'esame del Giudice si basa su un insieme di documenti, quelli esaminati dal Perito, i quali, tra l'altro, costituiscono un campione tra quelli sequestrati.

La materia del contendere è pertanto limitata a questi fatti.

Quanto alle conclusioni alle quali è giunto il consulente tecnico in sede di istruttoria pretorile si è già abbondantemente detto nell'esposizione dei fatti relativi al presente procedimento.

Qui interessa puntualizzare alcuni aspetti del problema, ponendo mente ad un passo delle già riportate conclusioni, là dove si dice che una effettiva o potenziale finalità del programma SLR è quella che genericamente potrebbe essere chiamata valutazione delle prestazioni, che si compendia di possibilità di verifiche complessive o analitiche di efficacia ed efficienza dell'installazione e delle sue componenti, in rapporto ai servizi che devono garantire, secondo certi livelli di prestazione standard definiti o definibili - come ad esempio i picchi massimi di utilizzo delle risorse di elaborazione oltre i quali il servizio della risorsa degrada - (perizia, pag. 264).

La domanda lasciata in sospeso è relativa al rapporto fra impulso dato allo strumento ed attività lavorativa più in generale si risolve nel quesito, in verità poco umanistico, circa il come si collochi l'uomo nei rapporti con la macchina.

Se si pone mente al fatto che esistono dei tabulati che riportano dei codici individuali, è legttimo il dubbio circa il fatto che la "valutazione delle prestazioni" si risolve di fatto in una valutazione delle prestazioni umane.

Infatti, se è vero che il perito prof. Maggiolini, riferendosi ad uno specifico tabulato (pag.97 della perizia) nel quale compaiono, sotto la voce "run", delle righe rapportabili nel modo che vedremo ad un singolo individuo, ha detto che non è possibile estrarre dati circa la presenza del lavoratore al terminale, tuttavia, ha aggiunto quanto segue (verbale pag. 5 - 12/10/1984).

Dal tabulato sono desumibili dati del seguente tipo: è possibile, ad esempio, vedere se un operatore ha sottoposto pochi "jobs" corti anziché molto lunghi: giustamente il consulente dell'Ufficio ha concluso dicendo che circa la valutazione di questi dati di per se stessi nulla sapeva dire.

Lo stesso, però, ha aggiunto che esistono nel tabulato alcuni elementi che presi da soli non danno elementi di valutazione, ma che, qualora fossero correlati ad altri elementi esterni alla elaborazione, potrebbero far giungere a conclusioni diverse.

Ad esempio, sulla base dell'aspettativa di una certa prestazione di lavoro, è possibile, dal tabulato, trarre conferme o smentite circa il conseguimento dell'obiettivo.

Detto per inciso, la cosa è molto sospetta soprattutto in un ambiente nel quale addirittura i parametri normali per la valutazione dell'attività dei lavoratori sono basati sul conseguimento degli obiettivi (teste Alessandro - verbale 18/10/1984, pag.9).

Il sospetto, probabilmernte, ha scalfito anche l'asetticcità scientifica del perito il quale, ad un certo punto, abbandonandosi per un attimo, ha indulto ad un "compromesso galileiano" dicendo: "ovviamente a qualcuno il tabulato dovrebbe pur servire" (verbale 12/10/1984 - pag. 5).

Gli imputati hanno asserito che non rientra nelle finalità della IBM Italia il controllo a distanza sulla attività dei lavoratori: l'assunto va verificato nel concreto.

Imnanzitutto, che la funzione del sistema di cui stiamo parlando (elaborazione di statistiche del tipo di quella dei tabulati 22 e 97) persegua, anche scopi "normali", "nulla questio".

Il problema è quello di vedere se vi siano anche fini illeciti ai sensi dell'art. 4, comma 1, S.L.

Il Perito di parte degli imputati ha eccepito che una cosa sono gli eventi-macchina di cui ai detti tabulati ed altro è l'attività dei lavoratori; da ciò conseguirebbe l'impossibilità del controllo. All'obiezione vale dare una puntuale risposta: esistono dei parametri esterni (statistici e di esperienza) idonei a "costruire" la relazione uomo-macchina.

Infatti, le regole di esperienza insegnano, in relazione ad ogni singolo ambiente di lavoro, quale sia il rapporto necessitato fra uomo e macchina, per cui, al di là dell'impulso di inizio lavoro, stanno dei processi psichici connessi alla natura umana (che tra l'altro possono essere le fonti dello stress) di attesa, di eventuale elaborazione concettuale (se si tratta ad esempio di un ambiente di programmazione) e, comunque, di tensione, che impediscono la rottura del rapporto uomo-macchina.

Tra le altre cose, qualsiasi tipo di organizzazione aziendale tende a razionalizzare il lavoro riducendo i tempi morti: nel caso di specie, ad esempio, si può impostare un lavoro a lotti e, nell'attesa, lavorare in linea (per tutti: teste Toma - ud. 18/10/1984 pag. 12).

Del resto, se le cose non stessero in tale modo, sarebbero ingiustificabili fatti del seguente tipo. E' notorio che non solo presso la IBM Italia (circostanza ammessa su espressa domanda del Pretore dal teste Alessandro - ud. 18/10/84 pag. 7), ma anche altrove è allo studio un'ipotesi di organizzazione del lavoro effettuabile a domicilio da parte degli operatori mediante terminali installati presso le loro abitazioni.

Orbene, il problema non si porrebe neppure a livello teorico, se al lavoro prestato a domicilio non fosse possibile connettere un controllo sull'attività lavorativa. E' chiaro in questo caso che l'unico sistema applicabile è relativo agli eventi-macchina o, comunque, all'ingombro dei cavi telefonici dei quali ci si avvale per la comunicazione fra centro e periferia. Ciò significa nel modo più chiaro, se dubbi potevano sussistere, che esistono parametri nell'esperienza aziendale per rapportare l'attività della macchina a quella dell'uomo. Del resto, la cosa è del tutto evidente e scientifica, se ci si avvale di sistemi statistici: basta prendere come punti di riferimento dati sperimentalmente verificati come significativi.

Se cosi non fosse, infatti, bisognerebbe ipotizzare una forma di lavoro subordinato che prescindesse assolutamente dal controllo sulla attività lavorativa prestata, il che, francamente è utopia.

La Difesa ha sostenuto, inoltre, che i codici "user" (tabulato 22) e "run" (tabulato 97) non sono rapportabili ad una singola persona fisica: la cosa è stata smentita dai fatti. Il teste Morabito ha dichiarato il contrario (verbale 18/10/1984 pag. 4), confortato da Alessandro Filippo e Pellegrini Lorenzo, indotti dalla IBM, i quali hanno riconosciuto che esiste una tabella che ricollega il codice "user" (o run) ad ogni singolo programmatore (verbale /10/l984 - pag. 7 a pag. 10).

E' ben vero che succede talvolta, nei programmi complessi, che più operatori si succedano con lo stesso codice riferibile, ovviamente, ad uno solo di essi, circostanza questa ammessa anche dal teste Toma indotto dalla P.C. (verbale 18/10/84 pag. 12), ma la cosa è irrilevante. Infatti, delle due l'una: o all'epoca dei fatti la cosa non era conosciuta dalla Dirigenza ed allora non era escluso il fine di controllo seppure operato con un mezzo imperfetto, oppure della circostanza si sapeva ed era facile inserire il dato quantitivamente considerato in uno schema statistico. Del resto, ciò che conta, ai fini per i quali si procede, è la conoscenza di un dato di massima.

Si potrebbe obiettare ancora che lo strumento, del quale si sta parlando, in sé, è inidoneo agli scopi di controllo a distanza. Trattasi di un equivoco. Si deve infatti tener presente che il tabulato non è la "funzione" bensì il modo di visualizzare il processo di raccolta dei dati, così come il film è la visualizzazione della funzione di controllo operato, ad esempio con la cinepresa. Anzi, il sistema di elaborazione di dati storici è un metodo molto più sofisticato, in quanto permette dei controlli incrociati di tale estensione da rendere i mezzi tradizionali della società industriale decisamente superati. Il singolo tabulato, quindi, non va considerato in sé, ma come "fotogramma" di un istante della funzione di elaborazione statistica.

Si è anche mossa l'eccezione con la quale si è voluto sostenere l'insignificanza di certi dati contenuti nei tabulati sequestrati: si è detto, ad esempio, che il valore dei jobs è inidoneo a fornire un parametro valutativo in quanto contiene in sé dati non omogenei, non essendo ragguagliabili alcuni lavori complessi ad altri molto più semplici. A tale considerazione è facile rispondere che nei grandi numeri la differenza perde la sua efficacia; inoltre, il dato dei jobs complessivi può avere un significato più incidente se comparato con altri indici (ad esempio tempo di utilizzo dei CPU); infine, il numero dei lavoratori può servire al fine di una verifica dell'insieme dei lavori che si sa essere stati sottoposti dall'operatore.

E' emerso, peraltro, un altro dato alquanto sospetto.

Anche se il consulente degli imputati ha dichiarato che il sistema MAP non è correlato ad SLR, resta il fatto che da alcuni mesi il programma MAP è stato introdotto in IBM; tale sistema ha lo scopo di fornire parametri statistici circa l'entità dei "jobs": anche se trattasi di un elemento successivo ai fatti di causa può essere un invece relativo ad una determinata linea evolutiva del sistema, idonea a mettere in luce alcuni fini inconfessati (quarto supplemento di perizia prof. Bracchi - pag. 8).

Di fronte ad un siffatto drammatico quadro ci si deve chiedere se queste potenzialità siano state utilizzate agli scopi di cui all'art. 4, comma 1, S.L. E' evidente che il fine, che è un aspetto meramente interno alla mente, per la rilevanza penale deve manifestarsi in qualche cosa di concreto, individuabile dal Giudice attraverso riscontri obiettivi e argomenti logici che si basino su fatti inequivoci.

All'interno di una siffatta potenzialità è chiaro che l'esame del Giudice, nel caso di specie, non. può per forza di cose, che limitarsi al materiale reperito.

Tra i tanti tabulati più significativi sono quelli di cui a pag. 22 e 97 della perizia. Tali documenti, tra l'altro, sono quelli sui quali ci si è maggiormente soffermati nel dibattimento.

Per una analisi metodologicamente corretta degli stampati è necessario procedere ad un esame comparato tra lo scopo al perseguimennto del quale gli elaborati sono diretti ed i valori presi in considerazione, al fine di individuare eventuali indici di anormalità.

Se, per quanto riguarda il tabulato 22, la funzione svolta è quella di "misurare il carico batch della macchina derivante dalla sottomissione di lavori di test" (perizia, pag. 21), non si comprende la ragione per la quale, ad esempio, accanto al "numero dei lavori sottomessi" (tot jobs) vi sia il "numero di lavori andati a buon fine" (ok ,jobs): il carico della macchina, infatti, è un dato indipendente dalla riuscita o meno del lavoro.

Ma vi è di più: non ci si riesce a spiegare perchè, tra i vari modi di aggregazione possibile, i dati vengano evidenziati in relazione a dei codici "user" che, come si è detto, sono immediatamente rapportabili al singolo lavoratore. La cosa è maggiormente sospetta per il fatto che, indipendentemente dalla circostanza che, ad esempio, i tabulati 29 e 31 siano o meno espressione della funzione di misurazione del carico macchina dell'ambiente dal quale proviene il tabulato 22, sta di fatto che si ha la prova che SLR per quella stessa funzione riesce ad aggregare dati avendo punti di riferimento che non sono le persone singole.

Se questo fatto, da un lato, è la dimostrazione più lampante delle enormi potenzialità combinatorie del sistema, dall'altro è un indice molto grave di "anormalità": combinando individuo, numero di lavori e lavori andati male, ad esempio, si può avere un sofisticato indice... non certamente diretto a valutare le prestazioni della macchina. Tradotto in termini giuridici, si tratterebbe di un eccesso di potere: infatti se lo scopo oggettivo è misurare il carico della macchina, lo scopo concreto diverge da quello. Si può obiettare che molteplici sono le cause di fine anormale del lavoro: l'argomento è ininfluente. Innanzitutto, le possibilità combinatorie del sistema sono tali da selezionare anche le "cause" delle fini anormali (e del resto, il tabulato di pag. 22 potrebbe non essere il più raffinato tra quelli prodotti da SLR). Resta comunque il fatto che l'indice di errore si riferisce proprio a dei "lavori di test", nei quali (stante la possibilità di altre cause di fine anormale che comunque potrebbero essere considerate come una costante) è preponderante l'errore progettuale e, quindi, umano.

Del resto, giova ancora ribadire che ciò che può interessare non è la certezza matematica, bensì una "fotografia" approssimativa della situazione lavorativa.

Si può sostenere infine che il codice individuale serve proprio in un ambiente di progettazione perchè il lavoro possa tornare all'operatore; si tratta di un equivoco: i tabulati del tipo di quello a pag. 22 della perizia non sono il job iniziato dal lavoratore, ma sono una elaborazione su jobs importati da quello; sicuramente, tra l'altro l'utente del tabulato 22 non è colui che sottomette i singoli jobs.

Se poi si vuole intendere che tali aggregazioni di dati sulla base di codici individuali sono fatti fisiologici ad SLR (per il suo modo di registrare eventi-macchina riferendoli ad uno user), si ribadisce che esiste la possibilità di aggregare dati sulla base di altri riferimenti (si vedano tabulati 29 e 31)..

Analoghi argomenti valgono per il tabulato 97.

Tali fatti sarebbero di per sé stessi sufficienti a costituire il presupposto di una induzione logica che porti a far ritenere come provato il fine di controllo.

Vi sono, comunque, altri fatti che il Giudicante prende in considerazione "ab abundantiam"

A questo fine è importante porre mente alla dizione della norma di cui all'art. 4, comma 1, S.L., che recita testualmente: "è vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori ".

Ci si deve chiedere, dunque, che cosa significhi il concetto di "uso". Si è già fatto cenno al fatto che, nel caso di strumenti in grado di effettuare più elaborazioni, è necessario scindere concettualmente le varie funzioni ed a quelle bisogna rapportarsi per l'indagine richiesta dall'art. 4 S.L., al fine di vericcare se anche una sola di queste sia finalizzata o consente il controllo a distanza sull'attività dei lavoratori.

Stante il fatto che ciò che va considerato è lo strumento, ne risulta che "uso per fini di controllo" significa uso dello stesso e quindi destinazione di una delle funzioni al detto scopo (leggasi: uso dello strumento al fine di controllo mediante predisposizione di una funzione), con la conseguenza concettualmente rilevante che giustamente si è sostenuto, ed il Pretore non può che aderire, che all'uso non è necessariaente connesso l'UTILIZZO in concreto: basta cioè la finalizzazione al detto scopo di una funzione idonea in concreto e raggiungerlo. Tale interpretazione, che del resto meglio si attaglia alla natura contravvenzionale del reato, è anche quella che permette una applicabilità effettiva della norma senza svilirla in un onere probatorio pressochè impossibile.

Senonché, nel caso di specie, bisogna tenere presente un fatto che ha una rilevanza decisiva relativamente alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato.

Riverso Renato al momento del suo interrogatorio, in data 10/10/1984 (verbale pag. 1) ebbe a dichiarare testualmente:

"Per verificare se sussistevano gli estremi della questione io feci effettuare degli accertamenti a seguito dei quali risultò che non vi era materia del contendere, in quanto mediante i programmi di cui è causa non venivano né potevano essere effettuati dei controlli sull'atttività dei lavoratori applicati ai video-terminali".

Aggiunse che tali accertamenti furono effettuati da personale tecnico interno e l'ufficio legale lo aiutò ad analizzare tali dati.

Questo è il punto significativo della questione ed il Pretore non ha motivi per dubitare di tali fatti. Si rileva però che tale affermazione estremamente sottile, è equivoca e va valutata nel modo che si dirà in seguito.

E' però preliminare a ciò osservare quanto segue.

E' risultato dal dibattimento l'uso di tabulati (seppure provenienti da un sistema diverso da SLR) da parte di personale avente funzioni tecnico-commerciali.

Infatti, il teste introdotto dalla Difesa, sig. Boschetti Angelo, che all'epoca del fatto di cui si sta per dire, era direttore della assistenza tecnico-commerciale dell'ufficio di Padova, ha ammesso di aver usufruito di statistiche che gli consentivano di sapere quante ore di collegamento al sistema HONE venivano fatte dalla filiale (verbale 25/10/1984 — pag.5). Sebbene lo stesso abbia negato di aver utilizzato dei tabulati al fine di valutare l'attività dei dipendenti IBM, proprio a questo proposito il teste Rabagliati Riccardo, indotto dal Sindacato, ha riferito un fatto specifico: nella filiale di Padova nel 1980 il sig. Boschetti tenne una riunione nella quale fece delle valutazioni circa l'utilizzo del sistema HONE da parte di categorie di lavoratori. Alla domanda come egli fosse giunto alle conclusioni cui pervenne, rispose che "dal tabulato in suo possesso circa l'utilizzo del sistema HONE, accanto ad ogni codice personale aveva scritto le qualifiche e, raggruppandole, poteva ottenere le valutazioni di cui sopra" (verbale 23/10/1984 pag. 2).

L'uso di tabulati statistici, seppure non provenienti necessariamente da SLR, da parte di personale amministrativo (e non meramente tecnico) è un fatto che rende quindi credibili le affermazioni rese in dibattimento da altri testi.

Il sig. Morabito Luciano, indicato dal Sindacato, ha ricordato due episodi. Una prima volta, vi fu un suo sovraordinato il quale gli chiese chi fosse il lavoratore corrispondente ad un codice user che il giorno precedente aveva sottomesso un numero di jobs superiore alla media degli altri lavoratori.

Un'altra volta, inoltre, una persona che faceva parte dello staff di persone sovraordinate a quella dello sviluppo dei dati, delle quali ultime faceva parte il teste, gli chiese di registrare su ogni record aggiornato il giorno, l'ora ed il codice dell'utente (verbale 18/10/1984 — pag. 5).

Infine, il teste Gentini Lanfranco, citato dalla P.C., ha rammentato una circostanza alla quale non aveva dato subito molta importanza, ma che, poi, rimeditata, gli fece sorgere dei dubbi: una volta, mentre stava parlando per motivi sindacali con l'ing. Alessandro, direttore dei sistemi di gestione per la produzione, questi gli fece una battuta del tipo: "Gentini, tu usi poco il terminale" (verbale 22/10/1984 — pag. 3).

Ma vi è di più: si tratta, cioè, di valutare alcuni aspetti relativi al problema dei CODICI INDIVIDUALI, in quanto vi sono alcuni elementi di carattere concettuale che inducono al sospetto.

Si è detto che, da un punto di vista del tutto astratto ci si deve porre il problema della necessità di legittimare l'accesso a determinate zone superando, quindi, un momento teorico di "anarchia del sistema", nel quale tutti potrebbero accedere a tutto (teste Aschieri Alessandro per la IBM — verbale 23/10/1984 — pag. 6).

Senonchè, il testimone citato, ad una precisa domanda del Pretore, ha dichiarato che, in linea teorica, l'interconnessione fra codice individuale ed il dato da proteggere è dato dalla mansione, e, quindi, la relazione dei soggetti legitti mati ad accedere al sistema è un elemento aprioristico che passa per quel concetto. Ne consegue, dunque, che gli accessi sono autorizzati se inerenti alla mansione (verbale 23/10/84 pag. 6).

Ad una successiva domanda il teste, con una consequenzialità logica dovuta, ha ammesso che i codici individuali non hanno concettualmente la funzione di identificare eventuali accessi non autorizzati e non esiste, ai fini della Protezione dei dati, uno scopo pratico di "tabulare" gli accessi effettuati con codici individuali autorizzati.

Ne consegue, osserva il Pretore, che al fine di cui sopra, se i principi della logica hanno un senso, l'identificazione degli accessi autorizzati non accede al problema di proteggere le zone riservate, perchè il controllo è a priori e, cioè, sulla mansione.

Ciò che non si comprende, però, è perchè, se il livello di selezione passa attraverso un dato aprioristico e, quindi, la difesa dalle intrusioni è un fatto endogeno al sistema, l'autorizzazione non possa avvenire per il tramite di codici collettivi che aggregano identiche o analoghe mansioni. Si potrebbe obiettare che il problema teorico è quello di razionalizzare gli accessi evitando interferenze fra più operatori che usino lo stesso codice di gruppo; si tratterebbe di un'osservazione meramente dilatoria: i codici superindividuali sono concettualmente utilizzabili normalmente in aree non protette e, quindi, se il problema è solo la razionalità degli accessi, potrebbero ben essere utilizzati anche in settori riservati, nei quali il livello di protezione passerebbe pur sempre attraverso il rapporto mansione—fiducia, che si risolverebbe in un concetto di mansione fiduciaria (legittima sempre che non sia discrininatoria — art. 8 S.L.).

L'individuazione degli strumenti per la protezione delle "banche dati" non è, comunque, compito della Magistratura, bensì delle parti sociali e, semmai del Legislatore.

Non ci si può però esimere dal constatare quanto segue: considerato che una delle finalità del programma SLR è la valutazione delle prestazioni, il dubbio circa lo scopo di controllo non verrà mai meno fino a quando non sarà interrotto il nesso codice utente e persona fisica.

Chiuso l'inciso, tornanndo al discorso principale, il sospetto di cui prima si è detto, dunque, nel caso di cui trattasi, si risolve in una tendenziale certezza se si supera l'osservazione fatta sempre dal teste Aschieri, il quale ha tentato di porre il problema circa la necessità di individuare gli utenti al fine della ripartizione dei costi interni o esterni (verbale 23/10/1984 — pag. 6); la questione è fuorviante: a parte il fatto che la soluzione si potrebbe porre, anche in questo caso, parallelamente a quella adottata per le aree non protette, comunque, sicuramente, per quanto già detto, questa esigenza non è quella della quale sono portatori i tabulati di cui a pag. 22 e 97 della perizia.

Ma vi è di più: che la IBM Italia adotti un sistematico metodo di controlli sugli accessi è stato dimostrato in udienza.

Il teste De Grenet Oderisio, indicato dalla Difesa degli imputati, ha asserito che se la necessità di utilizzare codici individuali per la tutela delle zone riservate trova la sua garanzia in una scelta a priori correlata alla mansione, vi è anche un altro scopo: "ciò permette inoltre una ricerca a posteriori circa eventuali tentativi di accedere a tali aree da parte di soggetti non autorizzati" (verbale 22/10/1984 — pag. 7). E' del tutto evidente che, se anche il teste non è stato in grado di dire nulla circa tali metodi di controllo a posteriori "in quanto non è un tecnico", tuttavia si è riferito inequivocabilmente ad un sistema di controllo degli eventi-macchina riferibili a singoli operatori.

Di fronte ad un siffatto quadro probatorio, che mette in luce la diffusivià anche a livelli bassi di gerarchia di un sistema di controllo basato su tabulati, ci si deve chiedere che caratteristiche di organicità abbia il sistema stesso e che riferibilità alla Dirigenza sussista nel caso di specie. Un fatto è del tutto pacifico: non e assolutamente credibile che il metodo di controllo di cui sopra non sia attribuibile ai dirigenti della IBM a, ma che sia un fatto spontaneo, indotto, per necessità di cose, come caratteristica endogena, da SLR.

Del resto, deve essere ben chiaro che comunque, non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo (art. 40 c.p.) e, nel caso di specie, la fonte dell'obbligo sta proprio nel potere gerarchico e di sovraordinazione tipico delle cariche dirigenziali di una società.

Si deve ora, dunque, considerare in capo a quali persone fisiche si soggettivizzino le conclusioni alle quali si è perventi.

L'imputato Riverso Renato all'epoca dei fatti era Presidente ed Amministratore Delegato della IBM Italia. Le sue mansioni consistevano, per ammissione del predetto, nella gestione politica dell'Azienda, nella definizione della strategia e nella- realizzazione delle stesse mediante deleghe alla struttura direzionale. Essa era costituita dal Tripiciano che figurava essere il Direttore Centrale del personale, dal Fiumara che era Direttore Generale e responsabile dei gruppi sistemi generali (che ha attinenza con la produzione e commercializzazione e gestione in generale di alcuni prodotti dell'Azienda), da Apicella in quanto direttore delle relazioni industriali e dal Caramani nella sua veste di Direttore del personale dello stabilimento di Vimercate (verbale 10/10/1984 pag. I ).

Circa il fatto, poi, che il sistema gerarchico così delineato permettesse una adeguata distribuzione delle responsabilità aziendali e, soprattutto, rendesse possibile la comunicazione fra i vari livelli, non sussistono dubbi. Infatti, il Riversa ha ammesso che il Tripiciano lo rese edotto della vertenza con la IBM, in quanto la sostanza del problema investiva anche questioni superiori relative alla politica aziendale (verbale 10/10/1984 — pag. 1). Quest'ultimo, tra le altre cose, ha dichiarato che circa le fasi significative della trattativa fu sempre reso edotto (verbale 10/10/1984) da parte dei suoi sottoposti.

Quanto alla partecipazione alla gestione della politica aziendale di Apicella e Caramani, non vi è nessun dubbio: - essi furono tra i firmatari dell'accordo 2/2/1982.

Si deve pertanto ritenere che la circolarità delle informazioni fu tale che tutti gli imputati furono a conoscenza di quanto saputo dagli altri.

Inoltre l'intervento degli stessi nel momento formativo della volontà della persona giuridica è del tutto evidente e palese.

Gioverà, a questo punto, risolvere una questione equivoca: nel caso di specie, il problema giuridico non è quello della legittimità della delega delle funzioni da parte del sovraordinato ai sottoposti, bensì quello del concorso degli imputati, ognuno in base al proprio potere dispositivo, nella manifestazione della volontà dell'ente.

Tale osservazione permette di affrontare un aspetto di molta rilevanza: il reato di cui all'art. 4, comma 1, S.L. è una tipica contravvenzione a struttura dolosa e, quindi, l'affermazione di cui sopra, serve a dimostrare che ognuno degli imputati risponde per il proprio comportamento, tenuto con una coscienza e volontà imputabile a se stesso, e non e chiamato affatto a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva o, peggio ancora, impersonale.

Circa la consapevolezza da parte di ciascuno degli imputati di avere una condotta pericolosa per i diritti della personalità dei lavoratori dei videoterminali non vi alcun dubbio, e tale ultimo beneficio non ricorre neppure in relazione alla volontà di tenere quel comportamento dal quale conseguiva la violazione di un bene altrui.

Ma questo Pretore, aderendo ad una linea interpretativa dell'istituto del dolo che richiede la sussistenza di un "quid pluris", oltre alla coscienza e volontà della condotta causa dell'evento in senso giuridico, osserva quanto segue.

Essendo necessaria a formare l'elemento intenzionale della volontà anche la coscienza della antisocialità del comportamento (che è bene precisare non ha nulla a che vedere con la coscienza della illiceità), viene in considerazione il problema della riconoscibilità del bene individuato dalla norma come tutelato dall'ordinamento giuridico.

Il che equivale a porre la questione circa l'individuazione da parte degli imputati del comportamento da loro tenuto, nel caso di specie, come finalizzato ad un aspetto del controllo da loro ritenuti lecito (controllo sull'attività immediata— mente connessa alla produzione) e quindi, non lesiva dell'interesse tutelato dalla norma, piuttosto che ad un aspetto non ritenuto tale (quale, ad esempio, il controllo sulla attività tenuta in occasione del lavoro svolto ma a questo non diretta—mente connessa).Sul punto si è già abbondantemente trattato in occasione della effettuata ricostruzione dell'istituto di cui trattasi. Ora e necessario, però, precisare che la presente questione non ha nulla a che vedere con l'istituto di cui all'art. 5 c.p.

Per la soluzione del problema che attiene all'elemento psicologico del reato, è necessario però proporre una ulteriore riflessione è mai possibile, ci si chiede, sottoporre un lavoratore ad un sistema di controlli così complessivo e totalizzante come quello descritto sopra, senza ritenere che, comunque, indipendentemente dalla soluzione interpretativa della ratio dell'art. 4 S.L., costui non venga leso nel bene della libertà e dignità? La risposta al presente quesito costituisce anche lo scioglimento della riserva sopra formulata allorché si analizzano le risposte di Riverso di pag. I del verbale 10/10/1984.

Francamente, si è portati a credere, stante il livello di sensibilità sociale dell'epoca odierna, che la domanda meriti una risposta negativa.

Peraltro, stante il particolare ambiente nel quale operano gli imputati come esponenti di una specifica parte sociale e, soprattutto, stante il carattere di novità della presente questione, può sorgere il dubbio che gli stessi sia no stati confusi da una valutazione erroneamente ispirata dal la considerazione del loro agire per un fine lecito, determinato dall'adempimento dei doveri inerenti alla loro posizione di dirigenti della IBM Italia, ai quali era demandato, quindi, di produrre di più e meglio.

Tale dubbio non può che giovare agli imputati, i quali, avvalendosi di questa ultima tutela offerta loro dal diritto penale, vanno assolti per insufficienza di prove sull'elemento soggettivo del reato.

Anche se non oggetto del presente giudizio a causa del principio della corrispondenza tra accusa e decisione, gioverà di re che i medesimi argomenti, in astratto, valgono per la funzione del sistema operante in IBM detta Monitor Two Session.

Infatti, trattasi di un modo di visualizzare uno stato di macchina per scopi di ottimizzazione nel breve periodo del funzionamento della stessa (teste Ferrario: ud. 25/10/1984, pag. 7). L'endospezione operata dal monitor sulle operazioni-macchina si pone strutturalmente prima della decisione di produrre o meno records SMF (teste citato) e, quindi, è logico e conseguente agli scopi della funzione, il fatto che il controllo sugli eventi—macchina (schema binario del "chiuso" e "aperto") avvenga in "tempo reale" e, cioè, in tempo di "risposta—macchina"

La funzione "normale" non presenta di per se stessa pro fili di illiceità, ma la cosa merita un'articolata analisi.

E' anzitutto necessarie ribadire che uno scopo lecito non preclude l'uso del1o Strumento—funzione per un fine illecito e, dove ne venissero reperiti gli estremi; la cosa non esclude l'applicazione della sanzione penale (art. 4 comma I e 58 S.L.).

Tornando comunque al discorso già prospettato è facile considerare come gli eventi-macchina siano facilmente rapportabili all'attività del lavoratore, se non altro per sapere se quell'operatore sta lavorando o meno.

La funzione, dunque, è assimilabile quasi matematicamente al controllo svolto da una ipotetica cinepresa che controlli se l'operatore stia lavorando o meno.

L'unica differenza, nel caso di specie, sta nel fatto che lo strumento di per se stesso non è ontologicamente diretto al controllo della attività dei lavoratori, perché esiste una sua funzione "normale".

Si potrebbe obiettare anche in questo caso che il funzionamento della macchina non implica necessariamente la presenza dell'operatore al terminale. Trattasi, come già detto, di un rilievo meramente formale dal momento che esistono regole di esperienza che in relazione al singolo ambiente di lavoro sono in grado di ricostruire il rapporto uomo-macchina.

Anche in questo caso si deve dunque ritenere che la funzione mette in luce enormi possibilità di utilizzo di detto strumento per i fini illeciti di cui alla norma in esame, specialmente in assenza di un effettivo potere di controllo da parte del soggetto controinteressato.

Passando ora ad esaminare l'altro aspetto della presente causa è prudente, per una esatta comprensione dei termini della questione, trascrivere integralmente il testo dell'accordo siglato in Milano il 25/2/1982 tra IBM e RSA; infatti tale atto costituisce un punto fermo nelle trattative tra le parti e da esso emergono elementi molto importanti al fine di valutare la sussistenza o meno della buona fede richiesta dall'art. 4, Il comma S.L.:

"Addì 25 febbraio 1982 in Milano, "Tra la IBM Italia S.p.A. nelle persone dei Sigg. Rosario

Apicella, Ferdinando Tenucci, Roberto Caramani e Oderisio De Grenet e le Rappresentanze Sindacali Aziendali

"— essendo sorte contestazioni tra R.S.A. e IBM ITALIA circa i metodi di accesso, tramite video terminali, ai dati gestiti dai sistemi di elaborazione elettronica

"- ritenendo le R.S.A. che tramite tali metodi di accesso sia "possibile controllare a distanza l'attività dei lavoratori "ai sensi dell'art. 4 comma secondo L. 300 20/ 5/70

" confermando la IBM ITALIA che in nessun caso i metodi "di accesso ai sistemi di elaborazione dati né agli stessi "impianti sono stati o saranno finalizzati al controllo a di "stanza della attività dei lavoratori non ritenendo inoltre la IBM ITALIA che l'attuale situazione rientri nell'ipotesi di cui al secondo comma art. 4 L.300 20/3/70 "verificando comunque l'opportunità di risolvere operativamente tali contestazioni ed evitare qualsiasi implicazione di controllo a distanza dei lavoratori

si conviene quanto segue:

"1) Il controllo dell'accesso a tutti i programmi, le transazioni e i dati sarà effettuato con codici di gruppo che non consentano l'individuazione dell'operatore bensì il gruppo di appartenenza. Il gruppo coinciderà con il reparto o con un raggruppamento omogeneo non inferiore a 4 persone.

"2) Il controllo dell'accesso ai dati gestiti elettronicamente con sistemi che consentano l'individuazione dell'operatore che ha effettuato la transazione viene limitato ai programmi, alle transazioni e ai dati particolarmente riservati o critici per la tutela delle informazioni relative al personale e al patrimonio aziendale.. Eventuali ulte non necessità saranno oggetto di esame congiunto con le R.S.A.

"3) Gli esecutivi delle R.S.A., ai quali l'Azienda fornirà il numero degli addetti di cui al punto 2), potranno controllare, previa richiesta, in presenza di incaricati della Società, lo stato delle procedure e dei programmi per verificare la congruenza con il presente accordo.

Si rinvia ad altri incontri la definizione dei casi di cui al punto 2)."

La successiva abbondante corrispondenza intercorsa fra le parti rileva solo "ad colorandum", in quanto meramente conseguente al "vizio di origine" contenuto nell'atto di cui sopra, il cui nucleo sostanziale sta nel fatto di ritenere o meno la titolarità del Sindacato a partecipare alla individuazione delle aree protette.

Non resta dunque al Pretore che analizzare l'atto sopra tra trascritto ed osservare, in relazione a questo negozio, che proprio la complessità e la potenzialità del sistema di elaborazione dati, denominato SLR, pongono all'attenzione dell'interprete, che deve indagare circa la regolarità d della procedura di cui all'art. 4, comma 2, S.L., il concetto di buona fede degli stipulanti, la quale deve ricorrere, gioverà precisare, in tutte le fasi, preliminari, perfezionative e produttive di effetti giuridici della trattativa negoziale.

Su tale concetto penalmente rilevante il Giudice, quindi si deve soffermare per la valutazione del comportamento del le parti, tenendo conto, trattandosi di attività negoziale, dei criteri di interpretazione previsti dal Legislatore civile, ponendo cioè particolare attenzione al principio dell'affidamento: infatti, l'art. 1366 c.c. stabilisce che "il contratto deve essere interpretato seconda buona fede'.

L'affermazione merita una analisi più particolareggiata: a fronte della norma generalissima di cui all'art. 1175 c.c. secondo la quale, nelle obbligazioni (delle quali il contratto è una delle fonti — art. 1175 c.c.) "il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza", compaiono nell'ordinamento altri riferimenti norma— vi.

Infatti, la norma di cui al pedissequo art. 1176 c.c., valutando la buona fede da un'altra prospettiva, prescrive che nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare dell'attenzione, prudenza e perizia dell'uomo medio. Inoltre, l'articolo 1575 c.c. prescrive che: "il contratto deve essere e— seguito secondo buona fede".

Orbene, l'apparente anomalia dell'indagine penale condotta con tali strumenti sta nel fatto che da queste premesse è facile argomentare come la buona fede nelle trattative e nel momento del perfezionamento dell'accordo, da un dato soggettivo, si risolve in quello supersoggettivo del momento del perfezionamento e dell'efficacia, dove cioè la buona fede non va più considerata come un fatto interno ai vari contraenti, ma come parte immanente al regolamento negoziale che è il risultato delle singole volontà.

Va notato però che in relazione a tale dato super personale, è legittima l'aspettativa differenziata da parte dei singoli contraenti, se non altro sotto il profilo del dovuto come oggetto della obbligazione.

Ma tale atteggiamento psichico non può prescindere, secondo l'ordinamento, soprattutto in un negozio sinallagmatico e, comunque, inter vivos, dalla aspettativa della controparte e dall'affidamento di costui.

Questa è, dunque, la ragione per la quale anche l'interprete deve attenersi al concetto di quella buona fede ex art. 1566 c.c. e, cioè la buona fede sotto il profilo dell'affidamento

E' per questo che, inoltre, il Magistrato deve tener conto nella valutazione del negozio, dei dati materiali che, nel caso concreto, sono ben presenti nella aspettativa e nell'affidamento delle parti.

E' di tutta evidenza il fatto che nel caso di cui trattasi vengono a collidere due esigenze diverse ed entrambe meritevoli di considerazione; da una parte un mero interesse (in urgente attesa di una protezione giuridica da parte del Legislatore) costituito dalla necessità di protezione delle "banche dati", e dall'altra un diritto soggettivo alla tutela della libertà e dignità del lavoratore sotto il profilo dell'interesse a non essere illecitamente sottoposti alle vessazioni ed endospezioni dell'attività lavorativa operate mediante impianti audiovisivi e consimili.

La determinazione del punto di mediazione di tali interessi non rientra nei poteri del Magistrato, essendo un fatto proprio della autonomia negoziale dei contraenti.

Rientra invece nel potere—dovere del giudicante l'interpretazione dell'accordo raggiunto, secondo i criteri sopra enunciati.

Considerato, pertanto, che l'intenzione dei contraenti (art. 1562 c.c.) non è, nel caso di specie, elemento a posteriori valutato univocamente dalle parti come idoneo a gettar luce sull'accordo siglato 25/2/1982, in quanto le risultanze istruttorie non sono state probanti, non resta che avvalersi dello strumento di cui ai citati artt. 1566 e.c. e 1365 c.c.

Interpretazione di buona fede, dunque, significa dare all'accordo un significato che, comprendendo le ragioni storiche delle parti in causa, si ponga come momento di "ragionevolezza" in relazione alle aspettative di entrambe le parti, le quali, quindi, non possono attenersi soluzioni contrarie ai principi informatori dell'ordinamento giuridico.

Infatti, a quest'ultimo proposito, basta por mente all'art. 1522, comma 2, c.c. per ritenere che l'autonomia negoziale, che si spinge sino alla possibilità di porre in essere contratti atipici, è degna di tutela purché sia "diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico". Se così non fosse, il negozio sarebbe senza causa e, quindi, nullo, con la conseguenza che l'interprete si vedrebbe costretto a violare la norma di cui all'articolo 1567 c.c. (principio di conservazione dell'atto).

Orbene, se nel caso in esame il punto controverso è relativo al potere del Sindacato a concorrere alla individuazione e determinazione delle aree inaccessibili agli operatori dei terminali con un codice di gruppo, serviranno oltre ai tanti, a titolo esemplificativo, i seguenti rilievi sistematici.

A) nel caso che la determinazione della prestazione dedotta in un contratto sia deferita ad un terzo, sono le parti congiuntamente che devono decidere se rimettersi o meno al suo mero arbitrio (art. 1549 c.c.) — tale aspetto attiene al momento del perfezionamento del contratto

B) per quanto riguarda poi la produzione di effetti del negozio, viene in considerazione il principio di cui allo art. 1555 c.c.. e nulla l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo subordinato ad una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore"; anche negli "accidentalia negotii", dunque, la mera volontà delle parti è penalizzata in quanto non ritenuta indice di seria volontà contrattuale.

C) Ma vi è di più; perché vi sia la possibilità di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto è ne cessano che il preliminare contenga in sé tutti gli elementi indispensabili a prefigurare la situazione giuridica "in fieri" (arg. ex art. 2952 c.c.): è ovvio che, essendo il preliminare un contratto, alla predisposizione del regolamento negoziale o giudiziale futuro saranno concorse le volontà dei singoli contraenti.

Si deve dedurre da ciò che l'Ordinamento, allorché trattasi di negozi bi o pluri1aterali, propende a salvaguardare il momento decisionale, in qualsiasi fase in capo a ciascuna del le due o più parti contraenti.

Quanto detto ci avvicina alla soluzione del problema controverso, ma non è ancora sufficiente se non viene corredato da altri elementi che riempiano di contenuti concreti il concetto di "attesa" e di buona fede.

E' del tutto ovvio che l'attesa di cui trattasi non è un momento assoluto, ma va commisurato e rapportato all'interesse posto in gioco (rispettivamente diritto alla libertà morale e tutela dei dati riservati).

Da ciò consegue il fatto che nel concreto, l'individuazione da parte dell'interprete del punto di mediazione concordato dalle parti non può non considerare l'essenza della controversia, a prescindere cioè dai dati meramente individuali, quali i motivi (in senso giuridico) che hanno determinato le parti a concludere.

Il nucleo duro del problema, dunque, sta in questi termini: esiste da una parte un'attesa del Sindacato a che dall'accordo 25/2/1982 derivi una tutela della libertà morale dei lavoratori interessati, esposti alla potenzialità di ingerenza nella loro sfera personale da parte di un complicato sistema informatico, le cui funzioni potenziali di controllo sono enormi: basta pensare alla possibilità già dimostrata di associare un singolo lavoratore ad un codice user e valutare gli indici riportati nel tabulato di cui, ad esempio, a pag. 97 della perizia di ufficio, con alcuni criteri frutto di scelte di organizzazione aziendale, calando il tutto, per di più, in un contesto organizzativo. articolato in piccoli gruppi (circa 8 lavoratori per un capo), come è risultato avvenire in IBM ITALIA, per rendersi conto della legittima preoccupazione del Sindacato.

Dall'altro lato, esiste una legittima aspettativa da parte della Dirigenza, in ordine al contenuto dell'accordo 23/2/1982, a che alcuni dati riservati non siano a portata di soggetti che accedono alla "banca" in modo non controllabile, avvalendosi cioè di uno strumento impersonale, quale il codice di gruppo.

Il Giudice non può valutare il merito di tale materia del contendere (sistema individuato dai contraenti per contemperare le proprie esigenze), ma non può esimersi dal ritenere che la pretesa da parte dell'Azienda di individua re in modo unilaterale le zone riservate è "smodata" rispetto al sinallagma del negozio. Infatti, non si comprende per quale ragione mai dovrebbe essere connesso alla tutela so stanziale di dati riservati (pretesa legittima) il potere unilaterale di definire le aree riservate visto, tra l'altro, che un eventuale mancato accordo tra le parti vedrebbe l'intervento dell'organo istituzionalmente preposto a dirimere le controversie ed individuato all'art.. 4, secondo comma, S.L.

Viceversa, anche al di là del dato formale di conformità ai principi generali dell'Ordinamento, come prima si è accennato, per il Sindacato esiste una ragione effettivamente rilevante; il metodo proposto dalla IBM ITALIA, infatti, presenta il rischio che il principio generale affermato al punto 1) della convenzione 23/2/1982 (uso di codici di gruppo) si svuoti di ogni significato e divenga un mero postulato di principio senza sostanza, se con l'eccezione (punto 2 — uso di codici individuali per l'accesso alle aree riservate), ove espandibile a discrezione della Dirigenza, si individuino tante zone di riserva da rendere significativo il lavoro effettuato con codici individuali.

Si può obiettare che ciò non e avvenuto; si replica, da parte di questo Pretore, dicendo che ove ciò avvenga, verrebbe meno il principio della "interpretazione complessiva del le clausole" (art. 1563 c.c.), con la conseguenza che la disarmonia interpretativa giungerebbe sino al punto di disapplicare anche il principio della conservazione dell'atto (art. 1567 c.c.), per il quale postulato le singole clausole di un negozio giuridico (punto I convenzione 23/2/1982 devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto.

Da quanto sino a qui detto, traspare in tutta evidenza il fatto che l'interpretazione di buona fede della convenzione 23/2/1982 porta a ritenere che la Dirigenza della IBM Italia si è resa inadempiente al negozio di cui sopra allorché ha preteso di individuare unilateralmente le aree riservate.

"Etiam nisi petita", il Pretore aggiunge una considerazione. Diversa sarebbe stata la fattispecie se la Dirigenza, che è ricorsa all'Ispettorato del Lavoro in data 9/10/1954, lo avesse fatto a seguito di una impossibilità di determinare in concreto col Sindacato le singole zone da proteggere. In quest'ultimo caso vi sarebbe una linearità logica nell'attività tenuta dalla Dirigenza; nel caso di specie, invece, vi è solo una inadempienza alla convenzione 25/2/1982.

Resta da analizzare il significato da attribuire a questo inadempimento. Giova premettere che non interessano in questa sede le conseguenze politiche o sindacali di tale fatto.

Nemmeno attengono, sotto questo profilo, al sindacato del Giudice aspetti civilistici che, peraltro, è estremamente semplice affrontare per chiarezza di trattazione: l'inadempimento di cui trattasi non comporta il risarcimento del danno contrattuale (art. 1213 c.c.) in quanto dal negozio giuridico violato, che non un contratto secondo la definizione data dall'art. 1521 c.c., non nasce una obbligazione avente i (...)re della patrimonialità (art. 1174 c.c.). L'osservazione, però, non deve ingenerare equivoci e quindi trarre in inganno circa la legittimità a costituirsi parte civile nel presente processo della FLM e della RSA, con la conseguente richiesta di risarcimento dei danni.

La legittimazione, infatti, deriva dalla titolarità del diritto soggettivo riconosciuto, in capo al Sindacato, dall'art. 4 S.L. nella sua integrità, il quale tutela l'interesse collettivo, che si soggettivizza in capo ai lavoratori delle singole aziende, a che i lavoratori stessi non vengano lesi nella loro libertà morale mediante apparecchiature idonee al controllo a distanza.

Se da tale posizione giuridicamente riconosciuta e direttamente tutelata, dunque, deriva la titolarità del bene giuridico tutelato, è del tutto evidente la legittimazione processuale in ordine alla pretesa risarcitoria che trova il suo fondamento nella responsabilità aquiliana (art. 2045 c.c.) e non già in quella contrattuale (art. 1218 c.c.), con la conseguenza che, essendo la violazione del principio del "neminem laedere" anche violazione del precetto penale di cui agli artt. 4 e 53 S. .L., è fondata, in astratto, la pretesa del risarcimento dei danni anche morali (art. 2059 c.c. e 135 c.p.). Se la do manda possa essere accolta nel caso di specie è un problema la cui soluzione è rimandata.

Ma tornando al nocciolo del problema, si tratta ora di verificanze quale significato abbia l'inadempimento all'accordo 25/2/1982, di cui sopra si è detto, sotto il profilo penale.

Si è già accennato al fatto che oggetto del sindacato del Giudice — in relazione all'art. 4, comma 2, S.L. è la regolarità del procedimento.

Per quanto si detto, che 1 'inadempimento di cui sopra costituisca una irregolarità della procedura "nulla quaestìo": infatti, con tale attività l'Azienda ha obiettivamente interrotto un iter logico nella consequenzialità degli atti giuridici.

Quanto al fatto che essa integri un reato, invece, la situazione è più complessa. E' appena il caso di accennare al fatto che l'accertamento dell'inadempimento del nego zio interpretato mediante il criterio della buona fede (articolo 1566 c.c.) non equivale automaticamente e necessaria_ mente ad una mala fede sotto il profilo penale e, quindi, alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato.

L'accertamento della sussistenza della colpevolezza si deve fondare anche su altri fatti, e cioè sui principi generali previsti dal diritto penale. Su tali fatti si tornerà fra breve, una volta risolti alcuni problemi; è importante ora considerare quanto segue.

Si è già detto che l'obiettività giuridica dell'art. 4 S.L. è data dal bene della libertà e dignità dei lavoratori sotto l'aspetto della difesa degli stessi dall'ingerenza, nella loro attività, di controlli a distanza operati con impianti audio visivi e con altre apparecchiature idonee a ledere l'interesse protetto.

Si è, inoltre, già fatto cenno del fatto che con il secondo comma dell'art. 4 S.L. il Legislatore ha inteso contemperare il bene direttamente protetto dalla norma in generale con quelli dati dalle esigenze organizzative, produttive e, comunque, di sicurezza sul lavoro.

Tale affermazione, che pare ineccepibile a questo Giudicante, necessità di un approfondimento e di un particolareggiato esame circa il tenore letterale della norma che, giova dirlo, presenta molti elementi oscuri.

In particolare, bisogna soffermarsi sul concetto secondo il quale gli impianti e le apparecchiature dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori "possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna e che, "in difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del Lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso degli impianti"

Ci si chiede innanzitutto, all'interno di una fattispecie alla cui costruzione nei termini e modi sopra enunciati il cultore del diritto penale non è uso, quale sia il momento perfezionativo del reato.

Ad avviso di questo Pretore, tale momento è dato dall'installazione degli impianti ed apparecchiature come sopra detto senza il previo accordo di cui alla norma, o, in difetto di accordo, senza la pronuncia dell'Ispettorato del Lavoro.

Sulla base di tale ricostruzione dell'istituto, risulta in tutta la sua chiarezza il problema del significato da dare al concetto di "previo accordo" ed alla istanza all'Ispettorato del Lavoro.

Infatti, se il previo accordo e l'istanza vengono considerati come elementi costitutivi della fattispecie, come deve far si a parere di questo Pretore (leggasi dunque: "chiunque instai la senza previo accordo" ecc.), è del tutto evidente che il procedimento di formazione dell'accordo fra le parti rientra negli schemi generali del reato, con la conseguenza che la valutazione circa 1a sussistenza o meno dell'elemento psicologico si estende anche a tale fine.

Da queste premesse si devono ricavare due conclusioni: primo, sono irri1evanti l'errore e l'ignoranza sulla legge civile in quanto questa integri la norma penale (artt. 5 e 47, comma 5, c.p.); secondo, si applicano anche al momento perfezionativo dell'accordo gli istituti generali che valgono per qualsiasi fattispecie penale e, nello specifico, le norme di cui agli artt. 42 e 45 c.p.

Dunque, per quanto sopra detto, è appena il caso di rilevare che, quando il Legislatore ha parlato di "accordo", non ha usato espressione tecnica, ma si è riferito a tutta la fa se prenegoziale e successiva alla conclusione del negozio, fino cioè alla definizione sostanziale della controversia ad opera delle parti, con la conseguenza che il sindacato del Giudice si deve spingere a valutare tutto l'iter della trattativa in senso ampio. Infatti, se così non fosse, si creerebbero delle situazioni paradossali: basterebbe un semplice "accordo", inteso come incontro delle volontà delle parti, il quale, poi, potrebbe benissimo venir disapplicato, per precludere non solo il sindacato del Giudice, ma addirittura il ricorso e la pronuncia da parte dell'Ispettorato del Lavoro.

Sulla base di queste osservazioni ci si deve ora chiedere che significato penale si debba dare all'inadempimento sopra individuato da parte della Dirigenza della IBM Italia.

Sulla premessa che in ordine alla personalizzazione della responsabilità valgono gli argomenti già trattati in precedenza, è opportuno por mente alle dichiarazioni rese da uno degli imputati; il rag. Riverso, infatti, ebbe a dichiarare che: "la convenzione del febbraio 1982 aveva il significato di togliere una delle ragioni di conflittualità con sindacato all'interno dell'azienda (verbale 10 ott.1984 pag. 4).Inoltre, un secondo imputato, il sig. Tripiciano Remo, ebbe a dichiarare che: "l'obiettivo dell'accordo 25/2/1982 era la pace aziendale" (verbale 10/10/1984 pag. 5).

Orbene, tali dichiarazioni inducono ad un sospetto, e cioè che lo scopo della trattativa non fosse quello della mediazione di interessi confliggenti, bensì quello inficiato dall'eccesso di potere di porre un argine alle rivendicazioni del Sindacato, preconfezionando il simulacro di un accordo, rispondente, quindi, nella mente dei dirigenti IBM, più ad una ragione di opportunità inconfessabile alla controparte (neutralizzare la stessa e le sue pretese) che ad una volontà di tener fede agli impegni.

Del resto, si è ben detto che, ai fini di cui all'art. 1562 c.c., le risultanze probatorie sono state contraddittorie, ma esistono aspetti del contenuto dell'accordo 25 febbraio 1982 che si commentano da soli, e, cioè, a prescindere dalle dichiarazioni rese dalle parti nel dibattimento, delle quali volutamente si fa a meno, essendo le stesse poco credibili in quanto meramente giustificatorie della pro pria tesi.

Si legge al punto 2) dell'accordo 25/2/1982: "il controllo dell'accesso ai dati gestiti elettronicamente con sistemi che consentano l'individuazione dell'operatore che ha effettuato la transazione viene limitato ai programmi, alle transazioni e dati particolarmente riservati o critici per la tutela della informazioni relative al personale e al patrimonio aziendale".

L'ultima parte del punto 5) recita: "si rinvia al altri incontri la definizione dei casi di cui al punto 2)".

Sulla base di tutto quanto sin a qui detto in conformità a note sistematiche dell'Ordinamento, nonché ad un concetto di "buona fede" (sotto il profilo dell'affidamento da parte di soggetti portatori di interessi che cercano un punto di mediazione), è del tutto evidente il significato che, in tale contesto, deve essere dato al concetto di "altri incontri". Con tale espressione, infatti, non si è potuto prescindere dalla essenza più profonda e giuridica del concetto, interpretabile quindi come "altri incontri di volontà". Conclusioni diverse non sono possibili perché peccherebbero di il logicità ed irrazionalità all'interno dell'economia della procedura delineata dal Legislatore all'art. 4, comma 2, S.L. che, come già detto, comprende la "valvola di sfogo" allo stallo nelle trattative costituita dal ricorso all'Ispettorato del Lavoro.

Detto ciò, preme a questo Pretore sgombrare il campo da un equivoco. Il ricorso all'Ufficio Pubblico di cui si è sopra fatto cenno non deve servire a creare una situazione di elusione nei confronti del Sindacato, il quale, giova asserire con chiarezza, e il titolare dell'interesse a trattare. L'intervento dell'Ispettorato del Lavoro è invece meramente supplettorio e condizionato alla presenza di ragioni obietti ve e definitive di impossibilità a progredire nelle trattati ve fra le parti.

Tale argomento vale, inoltre, ad introdurre un altro elemento nella complessa fattispecie della quale si sta trattando: l'intervento dell'Organo Pubblico Amministrativo è cosa diversa da quello del Giudice. Infatti, l'Ispettorato del Lavoro, in quanto P. S., sovraintendendo funzionalmente con compiti di controllo e di surroga in determinati aspetti del mondo del Lavoro, ha una possibilità di incidenza diversa da quel la del Giudice sulla materia del contendere fra le parti.

Mentre dunque, per le funzioni sopra dette, l'Ispettorato del Lavoro effettua un controllo di merito, il Giudice si limita ad un controllo della legittimità del comportamento de le parti nello svolgimento dell'attività negoziale. Proprio per queste ragioni rientrano nel sindacato del Giudice Penale tutti quegli elementi considerati più sopra, e gli strumenti di analisi delle "dichiarazioni di volontà" sono anche quelli dati dall'Ordinamento in sede civile.

La cosa merita però un approfondimento.

E' pur vero che se si parla di buona fede sotto il profilo dell'affidamento si fa riferimento, come già detto, ad un dato superpersonale e, quindi, non si tratta immediatamente di quella "buona fede" idonea a concretizzare o meno l'elemento soggettivo rilevante per la fattispecie penale, ma resta comunque il fatto che in persone di normale diligenza, e evidente il fatto che un regolamento negoziale come quello di cui sopra giustifica, come si accennava all'inizio, una aspettativa in capo alla controparte.

Non tenere conto coscientemente e fraudolentemente di ciò costituisce il "quid pluris", richiesto dalla fattispecie pena le a fronte dell'illecito civile.

Nel caso di specie, è indispensabile la conoscenza del fatto di aver creato una situazione di "apparentia iuris,, alla qua le si connette l'affidamento dell'altro contraente.

E' necessario, inoltre, per la configurazione dell'elemento soggettivo, la sussistenza di un fatto volitivo che, sulla base della conoscenza della fattispecie in tutti i suoi elementi giuridicamente rilevanti, è costituito dalla volontà di porre in essere la situazione descritta dal Legislatore, con la conseguente consapevolezza di porre in pericolo il bene giuridico protetto dalla singola norma, laddove il bene corrisponde all'interesse valutato dal Legislatore come immanente alla fattispecie astratta.

Ciò significa l'aver voluto installare un sistema informatico con funzioni tali da permettere un controllo a distanza della attività dei lavoratori senza un previo accordo in senso sostanziale, circa le modalità di utilizzo dello stesso, con le R.S.A.

A tale proposito, dando una maggior concretezza a quanto sino a qui detto, e interessante porre mente a ciò che ha sostenuto il teste De Grenet Oderisio, direttore del personale dello stabilimento IBM di Vimercate dal giugno 1985 a firmatario, per la Dirigenza, dell'accordo 25/2/1982: L'IBM, nella conduzione delle trattative, non prescisse mai dal fatto di considerare come riferibile unicamente all'Azienda il potere di individuare le aree che considerava riservate. Inoltre, circa l'ultima parte del punto 2) della convenzione, il concetto di "esame congiunto" doveva essere interpretato nel senso che l'Azienda faceva presente al Sindacato le proprie esigenze circa le zone da proteggere e quest'ultimo doveva limitarsi, a seguito di discussioni, a prendere atto di una volontà che, comunque, spettava all'Azienda. La discussione serviva solo per chiarire i punti.

Quanto poi, al concetto di "definizione dei casi" di cui al punto 5) del negozio, l'interpretazione doveva essere ispirata dai medesimi criteri di cui si è appena detto: anche in questo caso, cioè, l'ultima parola spettava alla IBM (verbale 22/10/84 pagg. 6 e 7).

Orbene, se si coniuga tale visione delle relazioni industria li con quanto sostenuto dagli imputati Riverso e Tripiciano, secondo i quali l'obiettivo dell'accordo era la pace aziendale, si avrebbe la prova indiscutibile della mala fede intorno alla quale si è andati argomentando, se non ricorressero anche nel caso di specie i rilievi dianzi formulati. Infatti, essendo presupposto della necessità di trattare la valutazione circa la sussistenza di un controllo illegittimo, anche sotto l'aspetto della sussistenza del reato di cui all'art. 4, comma 2, 5.L., ha rilevanza, trattandosi di una contravvenzione a struttura dolosa, la consapevolezza della antisocialità del comportamento, con la conseguente assoluzione per insufficienza di prove circa la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, valendo gli stessi argomenti più sopra esposti.

Per finire, non resta che osservare quanto segue.

Le conclusioni alle quali si è giunti impediscono di prendere in considerazione le richieste risarcitorie avanzate dalla P.C., ma resta ferma la possibilità, stante il principio di cui all'art. 25 c.p.p., di coltivare l'azione civile ex art. 27 c.p.p.

P.Q.M.

Visti gli atti del procedimento a carico di Riverso Renato, Tripiciano Remo, Fiumara Armando, Apicella Rosario, Caramani Roberto.

Visto l'art. 479 c.p.p., assolve gli imputati per insufficienza di prove.

Milano, 5/12/1984

Il Pretore

dr. Walter Saresella