Home    Lista RSU    Guida Sindacale    Accordi Importanti    Indici Tematici    Storico    Contattaci    Iscriviti    Sindacati    Ricerca

Da: Forum; Politica aziendale e risultati economici; Commento di G.Talpone

UN POCO DI STORIA DI IBM
di Alfio Riboni



Quello a cui mi accingo e' un compito abbastanza rischioso, perche' incontra una serie di difficolta' che richiamo qui molto brevemente:

Con queste avvertenze, tentero' di raccontare, mediante una griglia interpretativa, questa azienda da sempre al centro di un dibattito su scala mondiale che interessa managers,utenti, persino governi e istituzioni sovranaz ionali.

Come era la sua cultura
Forse mai nessun'altra azienda al mondo ha mai espresso una identita',una cultura cosi' originale e radicale come IBM. Che possa piacere o meno, l'IBM man ha un suo stile, una sua personalita' collettiva che affonda nella tradizione puritana anglosasson e (a sua volta retaggio dei movimenti ereticali del Nord Europa nel Medioevo e nell'epoca Moderna).
Thomas Watson, il fondatore di IBM, e' stato l'artefice di questo autentico 'credo ideologico' che ha consentito ad una enorme organizzazione di fare i conti con il suo piu' insidioso nemico: se' stessa.
IBM ha sempre proiettato - e tende a farlo ancora oggi nonostante siano cambiati i tempi - una 'corporate image' che colpisce l'osservatore (qualche volta non solo quello esterno) per la sua coesione; quasi che, invece che di un'azienda, si avesse a c he fare con un ordine monastico come potevano essere, sei secoli fa, i templari.
La coesione culturale di IBM e' sempre stata la regola di fondo dell'azienda e ha sempre condizionato ogni sua attivita',ogni sua mossa: questo e' il perno centrale della griglia interpretativa di "Big Blue".
La multinazionale (o transnazionale come si usa dire oggi) e' dotata di 'ecumenismo' di forza superiore alle barriere nazionali. Soltanto in Giappone (paese peraltro quasi invalicabile per culture esterne) la sua "regola" sembra aver perso qualche colpo: di qui i relativi insuccessi della consociata nipponica (... e il successo della causa legale promossa dal Sindacato locale; di qui anche l'autentico commissariamento che venne deciso dal 'Top Management' con lo sbarco di un centinaio di uomini, famigli e al seguito, per prendere possesso delle operazioni.
Questa vicenda fornisce uno dei piu' significativi tratti caratteristici del Presidente John Akers e da' la misura concreta di quanto abbia contato, al di la' delle liberalizzazioni, la purezza della cultura degli 'IBM Men' nelle strategie 'day by day' della Corporation.
Questa cultura IBM e' stata - e oggi affronta per la prima volta una prova difficile - la coscienza di essere, prima di tutto, la Numero Uno mondiale nella costruzione del "cervello", questa mutazione morfogenetica del "Sistema Mondo" (industriale,social e culturale) generata dalla nuova tecnologia dell'informazione, la prima di cui l'uomo disponga che non ha barriere se non nella creativita' della mente umana, a cui nessuno ha finora scoperto limiti invalicabili.
Ed essere 'the best' in una scienza - l'informatica appunto -ha potuto costituire un fattore di identificazione fortissimo per l'IBM Man, ha determinato l'orgoglio di essere un pioniere, un portatore del 'verbo' di quella che Marvin Minsky, uno dei padri dell'intelligenza artificiale,ha definito una "scia tecnologica per i prossimi 200 anni".
L'IBM Man si e' sempre portato dietro, proprio perche' Numero Uno sulla Frontiera, una forte sensazione di superiorita': come un "civis romanus" si e' considerato appunto Uomo IBM prima ancora che italiano, inglese, americano, tedesco,persino francese.< BR> Un altro elemento fondante di questa cultura cui ho accennato e' costituito dall'organizzazione. Thomas Watson, come ho gia' detto carismatico fondatore di Big Blue, defini' IBM come "macchina per vendere la vera cultura e tecnologia dell'informazione a l mondo".
Ed infatti vendere e' sempre stata la parola chiave sinonimo del vero potere della e in azienda.
Quando,alla fine degli anni '40, Univac introduceva il primo computer, IBM era ancora attardata sui suoi sistemi meccanografici, ma quando la nostra, qualche anno dopo, presento' il suo primo elaboratore elettronico, l'impatto commerciale fu di un or dine di grandezza decisamente superiore.
La stessa determinazione di 'marketing' e di relazioni con gli utenti accumulata sulla 'meccanica fine' per l'ufficio (sin dagli anni '20), fu riversata sull'elettronica: insomma non e' la tecnologia che ha creato IBM, bensi' IBM che ha plasmato il computer (eppure parla ...‚‚‚) al suo mercato delle aziende.
La multinazionale fondava la sua vera forza su formidabili antenne puntate sul mercato,dove recepiva esigenze e stimoli; Big Blue rispondeva al mercato non solo e non tanto vendendo computer, quanto filosofie di funzionamento aziendale sperimentate a l suo interno e, soprattutto, presso i suoi clienti maggiori.
Per lungo tempo nulla e' cambiato nella sostanza: tutti gli informatici sapevano che quando IBM legittimava una innovazione (sia essa la memoria virtuale, il tempo reale, persino l'intelligenza artificiale), questa diveniva uno standard di mercato; ovvero prima era un rischio, dopo era terreno di inseguimento.
Qui si potrebbe anticipare una domanda a cui preferisco pero' rispondere in un'altra parte di questo mio scritto: e' ancora cosi'? Oppure: e' nel cambiamento di questo quadro a cui si puo' ricondurre la decadenza "dell'impero".
La prima regola pratica dell'assioma organizzativo di cui ho parlato si puo' cosi' sintetizzare: il problema del cliente e'sempre e comunque il problema dell'intera IBM; se necessario, l'intera Corporation veniva chiamata a rispondere: la risposta, da qualche parte dell'immenso impero, si trova sempre.
In questo modo IBM e' sempre riuscita a proiettare sulla clientela una immagine che e' stata la chiave del suo successo: la sicurezza del servizio (caro ma eccellente) e l'assenza di brutte sorprese; l'Edp manager - interno ed esterno - si sentiva percio' al riparo: poteva partecipare al giro IBM (l'unico a contare davvero) e trovare altre e migliori occasioni di lavoro.
Questo "cerchio magico" ha funzionato perfettamente soprattutto negli anni sessanta/settanta, quando la tecnologia informatica era in fase di diffusione presso utenti "nuovi" (... e cio' e' stato vero particolarmente in Italia) e a fronte di un altro elemento di sicurezza per costoro: Big Blue rivendeva una organizzazione mutuata presso i suoi grandi clienti internazionali ricavandone una immagine di solidita' industriale di cui si hanno pochi precedenti nella storia moderna.
Thomas Watson Senior, come abbiamo gia' detto fondatore di questa azienda, punto' particolarmente su un altro elemento di immagine: quello del "buon cittadino".
Questa che e' la seconda regola pratica di IBM, proprio perche' connessa direttamente con la cultura puritana U.S.A. (... impersonata a sua volta dal mormone Watson), ha consentito di realizzare l'immagine della prima azienda industriale nella storia che applica, su scala mondiale, il concetto di "responsabilita' sociale" al suo rapporto con l'ambiente esterno.
Alcuni esempi esempi:

  • l'intero vertice di IBM Europa e' sempre stato composto, salvo alcune funzioni di controllo finanziario, da managers autoctoni (e cio' e' vero anche per per tutte le sue consociate nazionali);
  • IBM Europa ha sempre pagato in tasse cifre ingenti (ad esempio nel 1984 1400 milioni di dollari) e, in ciascun paese, e' da sempre fra i primi 10 contribuenti;
  • ha sempre curato tutte quelle iniziative tese a fugare ogni sospetto di "esportazioni occulte" di profitti;
  • ha perseguito con successo, sia attraverso il suo contributo ai problemi occupazionali sia per il suo rapporto commerciale insistente con la pubblica amministrazione, il suo radicamento nelle realta' nazionali e, ovviamente, ha tratto da cio' una potente arma di negoziato con i Governi.
Tutto quanto appena detto, insieme ad una politica aggressiva nel campo della ricerca scientifica, ha potuto produrre un vero paradosso: IBM Europa appare piu' Europea delle stesse societa' nate sul Vecchio continente.
Il paradosso e' solamente apparente e puo' essere spiegato dalle profonde radici culturali dello stesso Watson, figlio non degenere di quella 'cultura alternativa europea' sbarcata alcuni secoli fa nel "Nuovo Mondo".
Una cultura, la sua, puritana e calvinista, allo stesso tempo internazionalista e contadina nella sua ferrea etica da "setta di pionieri della Riforma"; una cultura che,come molti hanno potuto ben sperimentare, porta al totalitarismo interno.
Ci si trova insomma di fronte al retaggio profondo della "middle America", di quella borghesia nord-europea generatrice imprenditoriale sulle due sponde dell'Atlantico che sono, e' facile comprenderlo, un meraviglioso terreno di sviluppo delle multinazionali.
Dovrebbe ora essere piu' facile, per chi legge, comprendere la caratteristica piu' visibile del mondo IBM: la sua coesione.
Come recita un vecchi proverbio puritano anglosassone "nell'esercito di Dio, anche il piu' umile soldato e' un santo"; e di questo IBM e' riuscita a convincere, per lungo tempo e forse ancora oggi, centinaia di migliaia di suoi dipendenti.
Ogni IBM Man e' stato "cresciuto" nella convinzione di contare in azienda,di poter perseguire il successo esclusivamente grazie ai suoi successi: di potere, insomma,trovare nel seno della grande "mamma" la risoluzione di tutti i suoi problemi professionali, culturali, sociali ed umani.
Un ambiente totalizzante, quasi come un carcere, diremmo noi; una fabbrica di paranoie e di sensi di frustrazione per tutti coloro che riescono a capire quando non hanno successo; una cosa spaventosa che, pero', e' sempre riuscita, e forse ancora oggi riesce, ad apparire come il suo esatto contrario.
I sistemi di gestione individuale del personale, il pieno impiego (per 60 anni IBM non ha licenziato nessuno‚), la porta aperta, il parliamone insieme, il programma suggerimenti, le numerose riviste per il personale e quant'altro, sono l'altra faccia di una meticolosa pianificazione dei cervelli e della vita altrui.
Eppure in tutto cio' si fondano i primi elementi di crisi, talvolta addirittura di crisi d'identita', di IBM stessa.
I leader carismatici, Watson Senior e Junior, dopo aver prodotto il piu' spettacolare sviluppo industriale della storia moderna, devono farsi da parte; devono cedere il passo a managers professionali, agli uomini di marketing, ai "grand commis" della Corporation.
Il rischio vero (si fa per dire) a lungo termine e' che, i prodromi si chiariscono sempre di piu', e' che, con l'esplosionedelle tecnologie dell'informazione e con i ricambi del gruppo dirigente, si produca una perdita dell'identita' occidentale (leggi etica occidentale) a favore di un "pragmatismo" aggressivo incapace di controbilanciare tanto potere reale.
Voglio usare ancora un paragone storico e paragonare questa crisi di Big Blue alla "Sindrome dei Templari"; anch'esso un ordine monastico multinazionale eticamente (e concretamente, invento' l'assegno e commerciava in argento con il Messico prima di Colombo) e potentissimo che, dopo il crollo del regno di Palestina, perse la sua 'missione' (la difesa del tempiodi Gerusalemme) rivolgendosi, con crescente arroganza, all'accrescimento del suo potere in Europa.
Questa antica multinazionale fini' per essere distrutta da una coalizione fra il Re di Francia e il Papa.
Nel momento in cui Akers assurge al potere si trova di frontead alcuni problemi:
  • la performance finanziaria IBM (l'unico vero controllore esterno di Akers e' la quotazione del titolo a Wall Street);
  • le dimensioni di big blue;
  • i rapporti con il potere pubblico;
  • la flessibilita' organizzativa della Corporation;
  • la missione di IBM in un mondo che non puo' piu' accettarla come unico 'profeta del computer'.
Nel 1979, Frank Cary e John Opel definiscono una traiettoria di equilibrio per IBM: una crescita media per 10 anni al tasso del 16% fino a 100 miliardi di dollari nel 1990.Solo questa appena enunciata condizione, secondo i nostri top managers, puo' assicurare il mantenimento della leadership, l'equilibrio organizzativo interno, una buona performance finanziaria, corretti rapporti di forza con l'ambiente, la governabilita' della transizione ai nuovi scenari dell'economia-mondo dell'informazione e la costruzione di una nuova "IBM".
"La nuova IBM" comincia a delinearsi senza pero' un elemento fondamentale foriero di futuri "disastri": dal dopo Watson a che cosa sta passando IBM?
Non voglio certo qui affermare l'esigenza di un ritorno ai padri della Corporation, ma solo sottolineare i rischi di una transizione da una situazione data a qualcosa che non riesce ad essere chiaro e neppure nella testa di chi guida la transizione stessa.
Va osservato che, in questa situazione, permanevano - e permangono - uomini e regole costitutive interne proprio organiche al vecchio ordine costituito.
Affrontero' ora quello che puo' essere definito, se non l'inizio della crisi in IBM, sicuramente il primo passaggio critico della societa' e cioe' quello degli anni '70; un passaggio che segna, nel 1978, uno degli anni peggiori.
Quindici anni prima Big Blue, con la presentazione della sua serie 360, si era assicurata il predominio stabile nell'oligopolio informatico mondiale e lo aveva ottenuto con una innovazione chiave: la compatibilita' software.
E' infatti dei primi anni '60 la realizzazione dell'Os, il primo sistema operativo per mainframe in grado di evolvere nel tempo, garantendo all'utente la stabilita' del suo patrimonio software applicativo in modo pressoche' indipendente dal susseguirsi delle generazioni hardware.
E il progetto dell'Os, per le sue dimensioni inaudite, aveva quasi portato al collasso finanziario la potente multinazionale. Ma dal 1964 in poi il salto era fatto; la "muraglia logica" per un inespugnabile parco di utenti era sorta.
Nella cerchia di IBM si trovava il 60% o 70% delle maggiori organizzazioni di tutto il mondo; soltanto il G-cos della General Electric (poi Honeywell) nato al Mit di Boston, poteva reggere il confronto dell'Os; in Europa Bull, divisione elettronica Olivetti, Philips e Siemens sono state paralizzate per anni e, persino in Giappone, quasi tutto il mercato fu in mano ad IBM.
Questa strepitosa vittoria creo' il piu' imponente ciclo di crescita nella storia dell'azienda: dal 1965 al 1975 IBM quasi quintuplico' di dimensioni su scala mondiale.
I suoi impianti informatici ( centri di calcolo basati su mainframe) si diffusero ovunque nelle aziende del mondo occidentale.
Persino Stanley Kubrick nel 1971 mise il marchio IBM sul suo "Hal 9000", l'ipercomputer del suo capolavoro "2001 Odissea nello Spazio sancendo cosi', forse inconsapevolmente, l'identificazione fra Big Blue e l'informatica.
Ma l'informatica, fin dalle sue origini, non e' mai stata solo IBM.
Infatti, nel 1965, un gruppo di giovani ricercatori guidato da Ken Olsen e uscito dal Mit di Boston e fortemente influenzato dalle idee rivoluzionarie del Lincoln Laboratory, incomincia a pensare all'anti mainframe.
Essi pensano cioe' ad un piccolo computer, utilizzabile ovunque e connettibile a qualsiasi macchina:insomma ad un calcolatore di cui si possa servire anche un laboratorio universitario sempre alle prese con scarsita' di fondi.
Cosi', con un marchio apparentemente umile: Digital Equipment (alla lettera: equipaggiamenti numerici, ovvero, cose informatiche da usare ovunque),nasce l'altra faccia dell'elaboratore elettronico made in U.S.A.; questa e' l'origine del primo Pdp, dei primi mini computer di universitari e di fabbrica (applicati alle prime macchine a controllo numerico), ma, soprattutto,questa e' l'origine degli Original equipment Manufacturers.
Queste ultime erano societa' dall'approccio commerciale estremamente flessibile, di distribuzione e di software che compravano i minicomputer nudi della Dec (...e poi HP,Data General, Honeywell, Wang, ecc...) e li vestivano poi con applicazioni adatte ai singoli mercati.
Per la Digital, e per queste progenitrici delle Software Houses, e' l'avvio di un trend di crescita ancora piu' rapido di quello che caratterizzo' IBM; un trend che la portera' presto al secondo posto mondiale.
Big Blue, troppo "mainframe oriented" e troppo occupata nella sua marcia trionfale nella classifica di 'Fortune',non coglie il segnale, non capisce e, soprattutto, rifiuta di analizzare a fondo il fenomeno che ha sotto gli occhi.
Dietro Digital, inoltre,c'e' l'ancora nascente "computer science laboratory", dove strani personaggi,chiamati hackers (tentatori, fanatici del computer, freak dell'informatica), passano intere giornate davanti ai video dei primi personal computer, inventano il primo programma word processing,il primo video gioco e, soprattutto, un sistema di time sharing libero (ovvero senza chiavi d'accesso) molto piu' efficiente dei precedenti tentativi.
In mezzo a questi ackers nasce, alla fine degli anni '60,qualcosa che si rivelera' tremendo per la potente IBM.
Ad Armonk,in quegli anni, non sanno (o non si curano nemmeno) di quei pazzi che stanno lavorando appunto ad una rete di time sharing e/o su un linguaggio chiamato List Processor; non "si accorgono" che la General Electric sta mettendo a punto, su questa tecnologia del tempo ripartita, la prima rete a valore aggiunto internazionale, a cui potranno accedere migliaia di utenti per compiere anche calcoli complessi in modo relativamente poco costoso.
Siamo ancora in presenza dei prodromi di cio' che condurra' alla crisi il potente Big Blue?
Ma IBM, con l'annuncio del 370, raggiunse l'azimut della sua "prima vita"; con questa macchina dimostro' concretamente, e su scala mondiale, la protezione (e la proteggibilita') degli investimenti software consolidando, cosi', i legami forti con i suoi utenti.< br> Contemporaneamente, andava ad introdurre un altro concetto strategico: la macchina virtuale; quest'ultima era contenuta completamente nella 'logica' del sistema operativo multifunzionale. Questo approccio restera' il perno tecnologico della evoluzione di IBM: essa gradualmente virtualizzera' tutto fino ai grandi sistemi operativi moderni e, soprattutto, al sistema Sna (multi-macchina di rete virtuale per eccellenza).
Ma, a questo punto, Gene Amdahl decide di guastare la festa a big Blue.
Quest'uomo geniale, cervello della serie 360, di fronte alla decisione della Corporation di 'ghigliottinare' una sua successiva creatura alternativa al 370, decide di lasciare IBM (‚‚‚???), di fondare una sua azienda capace di costruire un sistema, identico in ogni funzione al rivale, ma piu' potente e meno costoso.
Egli conosceva da dentro i punti deboli del gigante (IBM):sapeva che i margini di profitto sul mainframe erano talmente elevati da ripagare quelle forti spese commerciali dirette, di assistenza hardware e software comprese nella rata di affitto; sapeva che molti utenti della casa di Armonk mal sopportavano la stretta dipendenza da un unico e potente fornitore; sapeva che i giapponesi volevano (bramavano) entrare nel mercato dell'informatica ed erano bloccati esclusivamente da un mercato interno gia' saldamente nelle mani di IBM.
Amdahl insomma capi' che era possibile, meglio fattibile,dal punto di vista economico l'impresa a cui si accingeva.
E trovo' cosi' in Giappone orecchie attente, ma soprattutto borse capaci tra i managers del gruppo Fuji che, da poco tempo, si era diversificata nell'informatica con la nascita della sua consociata Fujitsu. In California, tra i pruneti e le vigne i Santa Clara, nacque l'azienda di Amdahl; proprio vicino alla telex, alla Memorex e, soprattutto, Intel .... proprio vicino a quell'Intel e ad altre aziende che scommettono su quella piastrina di silicio chiamata microprocessore che rivoluzionera' l'informatica; a quel professore di Stanford, Edward Feigenbaum, che accarezzava il progetto di inserire regole pratiche di conoscenza del computer e, insieme ad un premio Nobel per la chimica, stava studiando uno strano programma esperto per l'analisi delle molecole.
Ultima nota di colore: proprio vicino ad uno strano club alternativo di progettisti elettronici svitati che, tra uno spinello e l'altro, pensavano ad un computer "freak" capace di fare impazzire la grande IBM con la sua semplicita' e il suo basso costo e, in un garage, stavano gia' pensando a come riutilizzare il vecchio e glorioso marchio dei dischi Apple dei Beatles.
Lo scenario si definisce comunque compiutamente nel 1978;quando IBM ha subito fino in fondo, e quasi senza capacita' di reazione, l'attacco concentrico dei mini computer e dei compatibili si viene a trovare di fronte ad una situazione di mercato, in U.S.A., che e' cosi' sintetizzabile:
  • nei piccoli sistemi e' relegata al 30%;
  • nei mainframe il 20% circa va ai compatibili.
Big Blue, se le cose vanno avanti cosi', corre il rischio di un declino inarrestabile e della sicura perdita della sua posizione di assoluta preminenza sul mercato dell'informatica.
Nel 1978 la Corporation stava per subire un altro durissimo colpo per quanto riguarda i suoi rapporti con il potere politico: il presidente Carter, con la sua immagine di idealista e democratico, sembrava intenzionato a porre fine alla lunga causa anti-trust promossa contro IBM.
"Ad estremi mali estremi rimedi" ... sembra essere la medicina valutata essere la migliore dal top management.
Per parare i colpi - sembra probabile una spaccatura (split) di IBM come naturale conclusione della Commissione governativa anti trust - il top management crea due divisioni: la Data Processing Division e la General System Division.
Questo "auto split" funzionale-organizzativo e la concorrenza fra le due divisioni (D.P.D. vende mini e G.S.D. invece 34,38 e Serie 1) erano finalizzati ad apparire come gesto di buona volonta' nel superamento del monopolio.
Il periodo di presidenza di Carter segna il punto piu' critico fino a quel momento per la direzione strategica di IBM.
La reazione, il contrattacco a questo punto era indubbiamente una "conditio sine qua non" per garantire un futuro al colosso informatico.
Nel 1979 Frank Cary, successore di Watson Junior, puo' annunciare, con la caduta di Carter, la fine di un incubo e, con l'avvento di Ronald Reagan,il ristabilirsi di ottimi rapporti con il potere politico: Big blue puo' tornare a presentarsi pienamente come il "buon cittadino" nella sua patria di origine.
Reagan dipinse IBM come il baluardo contro l'invadenza commerciale dei giapponesi - almeno nel settore dell'informatica - e John Opel, che aveva appena finito di mettere a punto, con la serie 4300, la prima controffensiva dell'azienda, venne cooptato nella gestione (direzione) degli affari.
Ma in che cosa consisteva questa mirabolante impresa di John Opel?
Egli, con l'annuncio di questa serie, aveva realizzato,in sintesi, quanto segue:
  • rispetto ai sistemi piu' esposti agli attacchi dei compa-tibili, ovvero i medio-grandi, IBM poteva presentare macchine dotate di chip a 64K di memoria che potevano ridurre a un quarto il costo per Mips (unita' di misura standard del mainframe, ovvero un milione di istruzioni al secondo) rispetto ai vecchi 30XX; il tempo di consegna e' di 18 mesi circa e, in questo periodo di vuoto, il mercato informatico U.S.A. si blocca di colpo, mentre i valori residui delle macchine IBM e compatibili esistenti crollano; in conseguenza di quanto appena detto,la finanziaria che vende compatibili National va sull'orlo del fallimento, Amdahl corre disperatamente ai ripari, Magnuson, Cambridge Memories e altre "venture" sono costrette a chiudere;
  • si pote' passare dal sistema di affitto (noleggio) alle vendite e, in questo modo,IBM usci' dalla trappola di un parco finanziario di affitti a lungo termine e, quindi, piu' esposto all'attacco dei compatibili oltre che alla frenetica evoluzione della micro-elettronica: una inversione di 180 gradi rispetto alle concezioni di Watson;
  • contemporaneamente, rispetto al software di sistema, venne operata una separazione dall'hardware in modo tale da poter imporre nuove royalties a venditori di altre macchine comunque costretti ad usare il software operativo IBM; insomma si costringeva la concorrenza a tornare ad operare su un terreno favorevole a Big Blue,cioe' su quel terreno della 'muraglia logica' dove il suo predominio restava assoluto.
La copia Cary e Opel rilascio', nel 1979,una intervista all'autorevole Business Week dove, fra l'altro, una IBM capace di estendersi dai centri di calcolo della NASA fino ai negozi.
Ma non e' finita qui: Opel dichiara l'obiettivo di 100 miliardi di Dollari nel 1990 e un trend di crescita annuo almeno del 16%.
In buona sostanza una Corporation ritrovata, piena di grinta, di smalto, aggressiva: una azienda che ha ritrovato in pieno la sua spinta propulsiva.
A costo di annoiare il lettore (spero di no) vorrei dilungarmi nella descrizione di quel che succede negli anni '80, perche' li ritengo cruciali per la comprensione dei successivi sviluppi.
Il top management, perse il suo atteggiamento di superiorita' nei confronti dell'informatica distribuita, di piu' se ne fece paladina sino alla progettazione di un micro computer in tutto simile all'Apple2, solo piu' potente.
Si ritrovano qui le prime Indipendent Business Unit (IBU) di cui oggi si riparla molto e spesso a proposito; esse vennero concepite come vere e proprie pattuglie avanzate, finalizzate all'esplorazione della frontiera informatica e, per usare unparagone un poco militarista, con il compito preciso di preparare la strada alle "truppe corazzate" del marketing centrale.
In tutto cio' Opel si avvalse della preziosa collaborazione di Mr. Bill Gates (MICROSOFT), il quale fece di piu': riusci' a capire che il colpo di genio della concorrenza, nel settore ovviamente dei piccoli elaboratori, consisteva in una fitta rete fatta di distributori indipendenti, altrettanto indipendenti negozi, iperindipendenti produttori di software. E cosi',la prima IBU preparo' la prima macchina aperta utilizzando pezzi costruiti a basso costo tra Taiwan e il Giappone, con un designe estremamente curato ed un software molto versatile: il terreno per le "truppe corazzate" era pronto.
A questo punto Opel poteva chiamare ad Armonk circa 500 produttori di personal software e lanciare quel "progetto Charlot" in grado di fermare la concorrenza dei micro e, al tempo stesso, difendere il mainframe.
Per il mondo puritano IBM fu un vero e proprio trauma: barbe cubane, camicie a fiori o da alta montagna, capelli lunghi annodati dietro la nuca, zoccoli e magliette universitarie da rugby accolsero l'invito di big Blue e trovarono, su ogni sedia, una carta di credito per ottenere gratis un personal computer in configurazione completa, dotato di tutti i manuali del sistema operativo Ms-Dos e, infine, la massima disponibilita' della IBU per risolvere qualsiasi problema relativo al software applicativo.
Questa vicenda, datata nella primavera del 1981, si ripete poche settimane dopo nello stesso luogo con una platea di negozianti, venditori, piccole software houses e, ancora qualche settimana dopo, un pubblico diverso, piu' tradizionale,ascoltava gli annunci del nuovo sistema operativo Mvs/Xa per grandi mainframe.
Nel 1982 gli uomini di marketing della Corporation lavoravano con un solo slogan: "prendiamoci tutto il business possibile" e, nel 1983, la IBU dei personal computer, oltre ad essere vicina al sorpasso di Apple, ottenne un volume di crescita di pacchetti soft-ware sviluppati su Ms-Dos quasi esponenziale, al punto da provocare la nascita dei primi personal IBM compatibili.
Nel periodo che va dal 1982 al 1985, fu caratterizzato dal lancio, ad ondate successive, di IBU:
  • prima nei personal (valore stimato qualche anno fa di 5 miliardi di dollari), nelle stazioni di Cad (480 milioni di Dollari), nel software avanzato e di intelligenza artificiale (350 milioni di Dollari), nei robot (19 milioni di Dollari), nel biomedicale e domestico (queste praticamente fallite);
  • poi nell'informatica educativa, grafica (in Italia a Segrate), display, software di marketing e servizi connessi, stazioni di lavoro Cae, stampanti per personal;
  • infine nei drives,schede a valore aggiunto per personal, manutenzione indipendente, radio cellulari e periferiche ottiche.
Come si puo' vedere queste IBU, alcune vere e proprie aziende formalmente indipendenti e altre invece sotto l'ombrello IBM, erano comunque tutte,sia dal punto di vista organizzativo sia dal punto di vista funzionale, entita' perfettamente autonome e misurate sul volume d'affari prodotto singolarmente.
Accanto a questa politica quasi da decentramento produttivo la Corporation sviluppava anche una robusta politica di alleanze finalizzata a coprire tutti i buchi o buchetti mancanti nel suo ciclo produttivo o di marketing.
Ma John akers sapeva che tutto cio' non poteva essere sufficiente a garantire la tranquillita' e soprattutto che essa non poteva essere garantita in assenza di flessibilita' nelle politiche di mercato; sapeva che la stabilita', la struttura da monolita era un retaggio di un passato irripetibile.
Nonostante le previsioni, come abbiamo gia' visto, fatte nella fase di costruzione del contrattacco, le cose, dopo la grande abbuffata del 1983,'84, cominciarono ad andare in maniera ben diversa.
Infatti il trend di crescita si riduce, dal 16.9% dell'83, al 12.4 di fine 1984 per poi crollare al 3% del 1985.
Akers cominciava a rendersi conto davvero che occorreva mettersi completamente alle spalle la vecchia cultura e il vecchio modo di fare IBM e che, la grande scommessa, doveva essere giocata su un sistema a rete, ovvero sullo SNA: definito il miglior software per la gestione appunto delle reti.
Bisognava risolvere alcuni problemi che qui sintetizzero' in 4 nodi fondamentali:
  1. superare l'eccessiva incomunicabilita' fra i migliaia di prodotti della gamma IBM;
  2. riprendere il controllo sulle IBU che erano diventate in pratica delle IBM dentro IBM stessa; a questo proposito va segnalato il rientro della IBU sui personal;
  3. risolvere i problemi di bassa produttivita' soprattutto nella produzione, anche a costo di distruggere il mito del "full employment";
  4. ottenere un maggiore controllo sull'azienda, soprattutto una maggiore centralizzazione di tipo finanziario ed una particolare attenzione sui centri di profitto,sulle aree di perdita e di inefficienza.
Per quanto riguarda la compatibilita' software nelle reti, proprio qui parti' l'offensiva di Big Blue nelle telecomunicazioni: con l'integrazione di un software di rete cui venne affidata la gestione del satellite Sbs, attraverso l'accordo con Ntt giapponese per una rete a valore aggiunto SNA-OSI, con il "bypass"delle reti pubbliche e la canalizzazione sulle,sue reti private, di tutto il traffico informativo.
In particolare, fu proprio il "bypass", in cui IBM venne imitata da tutte le grandi corporations americane,a farle risparmiare milioni di Dollari.
Come ho gia' detto, questo SNA (System Network Architecture) era il perno su cui si fondava la strategia della Corporation in una situazione che vedeva, invece, i produttori di mini e personal molto scettici; ... e su cui nacquero e crebbero (ancora oggi il processo e' in pieno sviluppo) le reti definite token-ring, i sistemi di posta elettronica e le piu' sofisticate reti per la trasmissione a distanza dei dati.
Ma fin qui si e' parlato di IBM guardandola soprattutto la', oltre oceano,dove e' nata e da dove ha sviluppato il suo impero, prima di tutto finanziario, e poi tecnologico.
Vorrei ora tentare una analisi della attivita' di IBM in Europa e, successivamente, in Italia.

BIG BLUE IN EUROPA
In Europa Big Blue non poteva, sic et simpliciter, imporre il suo SNA; era, ed e', costretta a mediare con i Governi, con le aziende nazionali e con la stessa CEE.
Uno dei fatti piu' significativi, la grande mossa della nostra sul vecchio continente, fu l'OSI: quell'Open System Interconnect, ovvero standard universale per il collegamento tra computer di marca diversa sviluppato a Ginevra presso l'International Standard Organisation.
IBM partecipo' ai lavori e costitui', presso il suo laboratorio di telecomunicazioni a La Gaude, un poderoso gruppo di ricercatori, mentre,su un altro versante, sviluppava una insistente politica di marketing nei confronti delle pubbliche amministrazioni finalizzata, ovviamente, anche ad un accrescimento del suo potere contrattuale nei loro confronti.
Anche in Europa la Corporation ha pagato caro il suo ritardo sui piccoli e medi elaboratori (il suo ritardo tecnico e culturale sui personal computer) e, per quanto riguarda la risoluzione di questo problema, punto', oltre che sul software per telecomunicazioni, su una insospettata apertura finalizzata ad acquisire una immagine europea.
In particolare, su quest'ultimo aspetto, molto in sintesi,si puo' aggiungere che,proprio l'apertura del suo gioiello SNA al l'OSI, le permise di chiudere un lungo contenzioso anti-trust (un'altra volta) con la CEE.
Puo' sembrare improprio dire che cio' poteva risolvere il ritardo a cui ho accennato ed in parte improprio lo e': ma si puo' ben capire che la tattica del "buon cittadino",unita alla forza sui grandi mainframe e sulle reti, consenti' ad IBM di acquisire clienti altrimentidifficilmente avvicinabili.

BIG BLUE IN ITALIA
IBM inizia la sua attivita' in Italia nel 1927 rilevando una azienda ( la Hollerith ) che produce orologi marca tempo e comunque opera nel settore della meccanica fine; continua questa attivita' e, dopo la guerra che aveva determinato un black out,ricomincia con le tabulatrici ed i primi elaboratori elettronici.
Si puo' dire, almeno per quello che qui interessa, che essa arrivi in Italia al seguito dell'esercito americano, che piazza molti militari (ex) in posizione di controllo dell'esecuzione e dell'efficacia del "comando" esercitato da un gruppo dirigente strettamente controllato dalla 'domestic' e che si trova ad operare in una terra di frontiera, piu' di un terzo mondo informatico,dove ha praticamente il monopolio del mercato.
Diverse sono le analogie con la Corporation di Watson Senior, o meglio, la sua storia, i suoi successi, il suo paradigma organizzativo, sono la fotocopia di cio' che in USA era gia' stato prodotto e sperimentato.
Questa era IBM allo sbarco nella penisola: una azienda che poteva, lei stessa, determinare il mercato, l'avanzamento tecnologico dei prodotti, le conoscenze e la domanda di EDP in termini piu' generali.
Per lungo tempo questo situazione ha continuato ad essere una costante: IBM era "l'isola felice" in una situazione industriale che, subito dopo il cosiddetto 'boom, e' tornata ad essere caratterizzata da crisi occupazionali ed economiche sempre piu' incisive.
Con i suoi mainframe la fa da padrona in una terra di nessuno dove Olivetti produce e commercializza macchine per scrivere e dove le altre concorrenti internazionali si prendono le briciole del mercato dell'informatica.
In questa situazione, gli "uomini in blue" vendono e fanno affari, l'occupazione si espande, i superminimi e le tecniche di gestione individuale del personale garantiscono alla compagnia di tenere il Sindacato, cosi' forte e radicato nel nostro Paese, in un angolino e ben guardato.
Sostanzialmente IBM, in Italia, commercializza i suoi prodotti: manca il ciclo di produzione completo, manca il laboratorio di sviluppo software, manca, insomma, il know how; lo stabilimento di Vimercate ha un puro compito di assemblaggio di parti e sotto-assiemi e non certo una missione produttiva vera e propria capace, anche per quanto riguarda la bilancia nazionale dei pagamenti, di dare un decisivo contributo positivo.
Le vicende di questa IBM, le battaglie per il ciclo di produzione completo e per i centri scientifici sono fin troppo note a chi legge, fanno parte di una memoria storica che nessuno di noi puo' aver dimenticato; cosi' come nessuno di noi puo' non sapere che lo stabilimento di S.Palomba e' figlio anche di queste battaglie sindacali per una presenza produttiva qualificata in Italia.
Questo lavoro sulle nostre conquiste sara' ben ricordato e rappresentato dalla prossima ristampa del volume "30 anni di contrattazione in IBM".
Vorrei qui risottolineare il ripetersi, stranamente e paradossalmente quasi il duplicarsi,della situazione americana - fatte ovviamente le debite proporzioni - sia per quanto riguarda gli aspetti di espansione, sia, piu' segnatamente, per quanto concerne gli elementi di difficolta'.
Ma certo, una solamente strategica e tattica governa questa multinazionale da sempre: mai pero', come nel caso italiano, si rintraccia tanto sovente il ripetersi di scelte economiche, politiche e di mercato.
Anche in Italia abbiamo vissuto una struttura rigidamente divisionale - prima per linea di prodotto e poi per filiere di clienti - con tempi quasi contemporanei alla decisione operativa presa in USA; anche in Italia si rischia lo "split" a seguito della pericolosa vicenda anti trust americana; In Italia viene portato all'esasperazione tutto cio' che serve per apparire come un 'buon cittadino'; infine anche in Italia, l'attacco dei piccoli e medi computer, dei personal, di Olivetti con la sua capacita' di riconversione, mettono in crisi prima il monopolio e poi la stessa preminenza di IBM sul mercato dell'informatica.
L'arroganza, nel caso nostro stracciona esattamente come il nostro capitalismo, del management e delle forze di vendita reca i danni maggiori e non consente di capire, fino alla gestione Riverso, che le cose stanno cambiando.
Ed oggi siamo piombati, qualcuno dice che stiamo per piombare, in una crisi pericolosissima per il futuro dell'azienda e dei lavoratori.
L'unico elemento della Domestic che IBM Italia non ha conosciuto, e solo ora sta pesantemente utilizzando, e' il fenomeno gia' descritto delle Indipendent Business Unit (IBU); oggi questo fenomeno, che arriva dopo svariate joint ventures piccole e grandi, ha tutte le caratteristiche di una strada senza ritorno proprio perche', nell'accezione italiana, cio' serve a liberarsi dei "rami secchi", di quel che si ritiene ad alta densita' di bassa produttivita' o, per converso, non "core business".
Si tratta, cioe', non di un utilizzo espansivo, costruttivo, utile per la maggiore flessibilita' e quindi per il contributo di penetrazione di mercato che ne puo' derivare; nel nostro caso la IBU ha una finalita' squisitamente negativa ovvero,e' uno strumento per ridurre i costi.
Chi contesta questa tesi, dovrebbe spiegare di quanto puo' migliorare la capacita' commerciale di IBM con l'espulsione del settore che si occupava di gestione e manutenzione degli immobili; lo stesso quesito si puo' porre per quanto concerne il Distribution e la sorte che ad esso tocchera' fra breve; infine, se si osserva la vicenda Lexmark, anche in questo caso la connotazione non puo' che risultare squisitamente recessiva.
Quello su cui intendo, solo per ora sottolineare, e' la constatazione, a cui onestamente non ci si puo' sottrarre, di misure congiunturali per affrontare una crisi sicuramente strutturale.
Facendo una leggera digressione,osserviamo una IBM Italia che diventa SEMEA a seguito di una ristrutturazione (o destrutturazione?) internazionale che puo' certo essere spiegata con molti argomenti, ma, dal mio punto di vista, con i seguenti che ritengo quasi fondamentali:

  1. una situazione degli affari in Europa decisamente migliore di quella USA ed un conseguente incremento del peso specifico del 'top management' EMEA rispetto a quello americano; la spaccatura di questa struttura, o se si preferisce il suo ridimensionamento, permette di controllare meglio, soprattutto dal punto di vista finanziario,le consociate del vecchio continente da parte di Armonk;
  2. il previsto ed ampiamente realizzato stravolgimento politico e statuale all'Est e la potenziale apertura di nuovi mercati;
  3. la volonta' di costruire in Italia, su un gruppo dirigente piu' disponibile nei confronti dei dictat USA, il centro di un controllo su un'area che comprende anche parecchi paesi africani e del medio oriente; si faccia attenzione, in quest'ultimo caso, al forte carattere di instabilita' di quest'area e all'accresciuta capacita' di controllo USA dopo le ultime vicende in URSS.
... e via cosi' ... si potrebbe continuare ad esercitarsi e sarebbe forse opportuno oltre che utile.
Oggi ritengo che ci siano motivi di urgenza rispetto ad una situazione che, come ho gia' accennato, ha visto la nascita di IBU nelle quali i lavoratori sono stati "invitati" a trasferirsi" e della prima IBU dove, invece, i lavoratori sono stati conferiti in modo coattivo.
Occorrera', anche qui, meglio analizzare i motivi che hanno determinato in Italia il passaggio da una fase di forte espansione commerciale ed occupazionale,al suo esatto contrario addirittura, ad una fase di recessione.
Ho gia' detto che cio' dipende abbondantemente dalla crisi in USA che, nota caratteristica e caratteriale dell'imperialismo (oibo' ‚‚ uno scheletro nell'armadio),le "colonie" -noi ed altri- devono per prime pagare.
In verita', per quanto riguarda la riduzione dei costi e del costo maggiore, IL COSTO DEL LAVORO, cio' e' dimostrato da poche cifre relative all'occupazione mondiale:
  • nel 1984 IBM occupava 405.000 addetti;
  • nel 1989 la "forza" e' gia' scesa a 383.000;
  • nel 1990 gli addetti sono 373.000;
  • nel 1991 la discesa prosegue fino a 353.000;
  • infine, nel 1992, di scendere ancora di oltre 20.000.
Va precisato che il calo occupazionale, se disaggregassimo le cifre sopra esposte, e' molto piu' pesante in USA piuttosto che nel resto del mondo ed in particolare in Europa. Gli argomenti a sostegno di questa politica occupazionale sono forniti, da Big Blue, utilizzando la crisi del mercato mondiale dell'informatica, il basso trend di crescita del settore e la maggiore competitivita' della concorrenza soprattutto giapponese.
Apparentemente, gli strumenti nostrani per ridurre il personale sono principalmente due:
  1. dimissioni incentivate (nel 1991 cio' ha prodotto l'uscita di circa 700 lavoratori e, nel '92, se ne prevedonoulteriori 600);
  2. scorpori, o meglio, conferimenti di ramo d'azienda.
... ma c'e' un terzo modo che, molto in sintesi, e' il peggioramento drastico delle condizioni professionali e di vita di molti lavoratori.
Il popolo IBM - coltivato,educato, ammaestrato, cresciuto nel culto dell'immutabilita' e della superiorita' quasi sovrannaturale di questa azienda - sembra quasi inebetito di fronte all'evolversi della situazione.
L'impresa rete (Sol.Co.), eppure, non e' nient'altro che la testimonianza concreta, insieme alle esternalizzazioni, di una trasformazione profonda di IBM sia dal punto di vista funzionale/commerciale/produttivo sia, per certi versi di conseguenza, dell'immagine che offre di se'.
Cio' che non si riesce a far capire al popolo aziendale e' che si e' rotto un delicato equilibrio infrastrutturale secondo il quale, almeno apparentemente, vi era identita', quasi unicita', fra gli interessi di due soggetti in tutti gli altri casi storicamente in conflitto fra di loro: quelli del datore di lavoro (il padrone !!!) e quelli del prestatore d'opera.
E' indubbio che IBM, nel momento in cui attraversa una crisi epocale, cerchi soluzioni che le permettano di difendere quella rendita storica oggi cosi' a fondo insidiata;il "trait d'union", il filo rosso si potrebbe dire se parlassimo d'altro, che la lega al passato, e' pur sempre la difesa del profitto e dell'accumulazione.
Ma certo che, nella situazione socio-economica data, questo puo' coincidere con gli interessi dei lavoratori e, pero', e' altrettanto vero l'esatto contrario.
Per finire con quelle che possono da molti essere definite ovvieta' vetero marxiste, e' proprio nell'acutizzarsi della contraddizione fra capitale e lavoro, nell'identificare in questa almeno una fra le contraddizioni principali, il nocciolo duro su cui si giocano strategia e tattica anche del Sindacato.
Il documento del gruppo "EVOLUZIONE DEL MERCATO E SVILUPPO DELLA PROFESSIONALITA'" offre, da questo punto di vista, notevoli ed interessanti spunti di riflessione: rimando percio' alla lettura dello stesso per un approfondimento dell'analisi della situazione.
La riduzione dei costi sembra essere (e') diventato lo slogan di IBM in tutta questa fase; la prima piu' banale obiezione potrebbe essere: ma prima allora questo non era un problema e, quindi, o l'azienda spendeva oculatamente, oppure gli sprechi sono stati uno dei fattori costitutivi della crisi attuale.
Mi pare di poter dire che l'atteggiamento di alcuni,anche fra di noi, che sostengono la necessita' di un ritorno al passato e' profondamente sbagliato: intanto perche' la storia non si ripete mai esattamente, poi perche' la crisi di IBM e' strutturale ed infine perche' nel passato si rintracciano tutti i prodromi della situazione all'ordine del giorno.
Certamente una concezione delle relazioni sindacali che consentisse al Sindacato di poter partecipare, non alle decisioni, ma alla fase di costruzione delle stesse in termini critici e, perche' no, anche propositivi,permetterebbe di individuare con chiarezza le problematiche e di porre in cantiere iniziative davvero efficaci.
Non mi riferisco certamente qui a pratiche "codeterminative" quali quelle che hanno portato, ad esempio, all'accordo Zanussi, bensi' a procedure che non releghino l'intervento del Sindacato ad un ruolo di rincorsa di situazioni impazzite.
E' ovvio che,se il sistema delle relazioni sindacali fosse cosi', il profitto non potrebbe essere l'unico ed incontrastato criterio per la valutazione della situazione.
IBM non e', tuttavia, esente da uno dei peggiori difetti delle aziende americane ad azionariato diffuso (public company) e cioe' quello di privilegiare la redditivita' finanziaria a breve e brevissimo termine e, questo, le impedisce di pensare in termini strategici: di adottare cio', insomma, soluzioni organizzative e commerciali in grado di dare risultati nel medio e lungo periodo.
Oggi, comunque, ci troviamo a fare i conti con una degenerazione del sistema ad imprese rete, ovvero con un IBM che tenta di adottare, rovesciandolo, uno dei fenomeni piu' interessanti, dal punto di vista economico, di questi ultimi anni.
Infatti l'impresa rete nasce dal basso, da piccole aziende che, quasi in una forma consortile, collaborano, trovano strumenti comuni di supporto al marketing, agiscono sfruttando sinergie proprie e offerte dal mercato, razionalizzano i costi e producono un sistema decisionale decentrato seppure controllato finanziariamente.
IBM invece decentra con la "segreta speranza" di disfarsi di attivita' che non considera piu' redditizie neanche dal punto di vista dell'immagine (e' il caso della Direzione gestione e manutenzione immobili) oppure dal punto di vista funzionale (e' il caso del prossimo scorporo del Distribution); attribuisce piu' che potere decisionale alle unita' decentrate, obiettivi di redditivita' sulla base dei quali puo' sostenere,data la ragione sociale diversa dal marchio, chiusure e licenziamenti senza danni per il buon nome della casa; agisce, sulla base del comando americano, affinche' i propri dipendenti perdano professionalita' (si standardizzino) in modo da poterne fare una gestione piu' flessibile.
In ultima analisi si puo' dire di essere in presenza di una trasformazione dell'azienda in HOLDING: forte controllo finanziario centralizzato su una serie di societa' che vengono costituite, chiuse, manovrate nel piu' completo disprezzo verso i lavoratori.
Un domanda certamente "importante",se quanto argomentato e' vero e' la seguente: che ruolo e che fine faranno gli stabilimenti in questa holding?

ALCUNE PRIME CONCLUSIONI
Trarre delle conclusioni sarebbe, oltre che azzardato, estremente fuori luogo;cio' che mi sono proposto con questo scritto e' di aprire un dibattito vero avendo chiari i problemi e le contraddizioni.
Almeno, pero', e' opportuno definire un atteggiamento trasparente nei confronti di quello che e' il fenomeno contingente: la cessione o conferimento di ramo d'azienda.
La vicenda ASTRIM mi ha insegnato quanto una delle nostre armi piu' efficaci per contrastare IBM, ossia la magistratura, sia in questo caso sostanzialmente inefficace.
Essa puo' essere giocata in termini di tattici, allo scopo di conseguire un altro obiettivo relativo alle garanzie occupazionali.
Non possiamo dimenticare l'ambiente culturale, politico e sociale interno ed internazionale nel quale Big Blue e' andata maturando le sue scelte.
Si puo' certamente dire che, per quanto riguarda il movimento sindacale,esso riesce al massimo ad effettuare scelte di difesa, quando va bene, delle attuali condizioni di vita e di lavoro di grandi masse nel nostro paese.
Non vi sono spinte propulsive, la Sinistra e' entrata in una crisi profonda (di cui sarebbe opportuno parlare) e,anche dal punto di vista legislativo, "temibili riforme" bussano alla porta.
Me la cavo cosi' per descrivere lo scenario, non perche' voglia assumere un atteggiamento possibile, bensi' perche' ritengo che una discussione su queste "quistioni" necessiti di ben altro spazio e di ben altri tempi.
Il sindacalista, noi tutti, dobbiamo trovare soluzioni adesso senza rinunciare a questa discussione.
Ritengo sbagliato un atteggiamento di rifiuto totale nei confronti degli scorpori e non perche' esso non abbia una dignita' o degli argomenti validi a supporto; il problema e' che esso non risolve nemmeno in prospettiva il problema dei lavoratori interessati e, oltretutto, lascia libero campo all'impresa.
Quel che occorre fare, a mio avviso,e' acquisire garanzie occupazionali certe per i lavoratori scorporati in modo tale da metterli, almeno nel medio periodo, al coperto da soluzioni ben piu' traumatiche e, al tempo stesso, da scoraggiare un uso forsennato,quanto impazzito della cessione di ramo d'azienda.
In questo senso, oltre alla professionalita' dei delegati e ad una ottimizzazione delle risorse umane che eviti perdite di compagni per ragioni spesso legate a situazioni locali, e' necessario sviluppare una forte iniziativa politica e culturale.
Occorre ad esempio:
  • ottimizzare gli strumenti di comunicazione con i lavoratori,pensando anche alla nascita di un bollettino,il piu' snello possibile,che informi puntualmente tutti i lavoratori sull'evolversi della situazione e sulle iniziative sindacali e, al tempo stesso, sia strumento con cui i lavoratori esprimono idee, contributi e critiche;
  • un collegamento con le Rappresentanze Sindacali delle altre aziende del settore finalizzato ad iniziative comuni sulla crisi del settore;
  • mantenere intatto il "cordone ombelicale" con i settori scorporati allo scopo di verificare,in un prossimo futuro, la presenza di "mero appalto di mano d'opera" e,quindi, iniziative legali simili ad altre del passato;
  • una evoluzione dei nostri rapporti internazionali capace di sviluppare iniziative forti sul piano dell'occupazione e di darci una maggiore visibilita';
  • maturare, studiandoli attentamente, tutti quei rapporti con la stampa allo scopo di poter sviluppare, al momento piu' opportuno, un efficace attacco all'immagine di IBM.
Tutto cio' che sono andato fin qui scrivendo mi auguro che abbia almeno contribuito a chiarire i termini della discussione e che consenta, quindi, di sviluppare un dibattito ordinato.
Credo, pero', che sia necessario a tutti e per tutti capire quanto la mancanza di continuita', l'incapacita' di allargamento della discussione ad un'area piu' ampia degli "addetti ai lavori" ed ogni altra azione che non sia finalizzata al mantenimento almeno dell'attuale organico di delegati, possano pesantemente influenzare gli esiti della battaglia sindacale a cui l'avversario comunque ci costringe.
Superare la tempesta; questo non e' mai stato il nostro atteggiamento cosciente,ma bisogna sapere che le trasformazioni in atto rischiano seriamente di sgretolare una presenza sindacale in IBM.
Se si pensa ai delegati coinvolti negli scorpori e a questo si aggiunge la ormai cronica assenza di rinnovo della rappresentanza sindacale, e' facile capire quanto seri siano i rischi per l'organizzazione sindacale in senso stretto.
Non c'e' bisogno di chiarire come quella appena detta e' una precondizione per una situazione di libero arbitrio per IBM nella gestione delle sue scelte aziendali.
Occorre, infine, avere la capacita' di ragionare, in generale, sulla crisi che investe il settore dell'informatica.
Sia chiaro che le aziende del settore non hanno deficit di bilancio, hanno, bensi', utili che si riducono o, se si preferisce, minori profitti; alla luce di quanto appena detto, in assenza di una capacita' di contrattazione sulle politiche industriali, la situazione non puo' che aggravarsi per tutti.

Alfio Riboni, maggio 1992