Da: Telelavoro e lavoro mobile
Telelavoro di I e di II generazione
Telelavoro di I e di II generazione: qualche riflessione sull'esperienza
in IBM SEMEA presentata al convegno di Bari il 16/4/1996 da G.Talpone.
Gia' da un paio di decenni esiste la base tecnologica per fare telelavoro
con strumenti informatici, e anche da piu' tempo se l'attivita' si svolge
prevalentemente con l'uso del telefono.
Questa modalita' di lavoro non si e' molto sviluppata, probabilmente a
causa di due forti inibitori:
- L'organizzazione del lavoro, che spesso richiede interazioni di ogni tipo
con i colleghi, superiori, inferiori, clienti fornitori ecc. . Cio' pone
problemi comunicativi quasi insolubili con l'organizzazione del lavoro e
gli strumenti informatici tradizionali.
- I costi delle installazioni e soprattutto dei collegamenti telefonici.
Val la pena di ricordare che un terminale "stupido" (l'unico tipo dispo-
nibile fino all'inizio degli anni Ottanta) richiede un collegamento tele-
fonico della stessa durata del suo utilizzo; con i tradizionali livelli
delle tariffe telefoniche italiane cio' avrebbe reso antieconomico quasi
qualsiasi tipo di attivita' lavorativa da svolgersi a distanza.
Di fatto, le prime esperienze di telelavoro hanno quasi tutte le seguenti
caratteristiche:
- Riguardano figure professionali che sono gia' "naturalmente" isolate anche
in azienda: centralinisti, inseritori di dati, traduttori di testi e simili.
- In genere coinvolgono un numero di lavoratori abbastanza ridotto e
di qualifica professionale non molto alta, poco sensibili alla perdita
di "visibilta' aziendale" e quindi di possibilita' di carriera.
- Avvengono prevalentemente in Paesi con tariffe telefoniche piu' basse, e
linee migliori, di quelle italiane, o addirittura riguardano le imprese
stesse che gestiscono le linee telefoniche.
- Oppure hanno incominciato a svilupparsi solo con la disponibilita' di
elaboratori personali a basso costo, in grado di accumulare le informazioni
da elaborare o elaborate. Il collegamento con la sede puo' essere cosi'
ridotto al tempo strettamente necessario per scambiare masse compatte
di dati.
- Su queste macchine viene caricato un numero molto limitato di applicazioni
informatiche progettate per scambiare dati unicamente con le corrispettive
applicazioni di sede, per svolgere un insieme di attivita' ben definito.
Propongo di chiamare queste esperienze "telelavoro di prima generazione".
Esso pone pochi problemi sociali e sindacali perche':
- coinvolge un numero limitato di imprese e di lavoratori
- riguarda attivita' ben individuate e generalmente quantificabili, e
quindi facilmente regolabili da una trattativa sindacale
- alcuni lavoratori possono gradire particolarmente tale soluzione, perche'
disabili o particolarmente svantaggiati nel raggiungere la sede di lavoro
- l'impresa in se stessa mantiene la sua struttura organizzativa tradizio-
nale
L'esperienza in IBM ci ha spinto a riflettere sul possibile avvento di un
"telelavoro di seconda generazione" o, come preferisce chiamarlo la nostra
controparte, "lavoro mobile" o "lavoro nomade". Questa nuova possibilita'
non e' che un aspetto particolare di uno scenario molto piu' vasto, sul
quale e' necessario soffermarsi.
Negli anni Settanta numerosi indicatori segnalavano che il vecchio modello
di sviluppo industriale, rigido e prevalentemente quantitativo, incontrava
sempre maggiori difficolta' ad espandersi ulteriormente. In risposta a cio',
e grazie alla disponibilita' di nuove tecnolgie, si sono operati importanti
cambiamenti:
- I settori riguardanti le informazioni, prima molto diversi
fra di loro (immagini su pellicola, televisione, musica,
pubblicazione di giornali e di libri, servizi postali, macchine
per scrivere e fotocopiatrici, schedari, calcolatrici, azionamenti
a distanza ...) hanno incominciato a fondersi in un settore
unico, grazie alla diffusione e alla versatilita'
dell'informatica. Nasce una vera e propria industria omogenea
dell'informazione, al pari di quella alimentare o del petrolio.
- Nei settori tradizionali, numerosi fattori - che non possono
essere analizzati in questa sede - spingono ad associare a tutti i
prodotti una quantita' sempre crescente di informazione, ormai prevalentemente
in forma elettronica (si pensi ai codici a barre e alla loro
gestione, ai certificati, ai manuali, alla documentazione storica dei
prodotti complessi e degli interventi su di essi, alla gestione della
logistica e alla sua valorizzazione finanziaria, alle istruzioni in caso
di incidente, e cosi' via). Anche in questi settori, aumentano le
persone che trattano solo informazioni.
- La complessita' crescente dei prodotti e dei processi, e quindi la
necessita' di studi e di momenti di coordinamento trasversali ai
tradizionali reparti interni delle aziende, e sempre piu' spesso anche
al di la' dei confini aziendali stessi, spingono a ricorrere alla
forma del LAVORO DI GRUPPO, formale o informale, occasionale o
ricorrente, limitato o esteso, in un numero sempre crescente di
situazioni.
Possiamo anzi dire che il lavoro di gruppo sia uno dei momenti
produttivi piu' tipici e cruciali dei lavoratori dell'informazione.
(Questo non significa che sia necessariamente prevalente in termini
di impiego di tempo, ma che ha assunto un'importanza fondamentale per
definire anche le attivita' "isolate". Le disposizioni unidirezionali
di provenienza gerarchica sono sempre meno presenti, almeno nella forma
di dettagli esecutivi, sia perche' le attivita' complesse sono poco
suscettibili ad essere organizzati in questo modo, sia perche'
se un compito e' "esattamente ordinabile", quasi sempre e' anche
"facilmente automatizzabile".)
- D'altra parte, l'universo in continua espansione delle attivita' legate
all'informazione per sua natura e' poco correlato con lo spazio fisico
in cui sono collocate le persone fisiche e gli oggetti massivi.
Il lavoro di gruppo sta quindi migrando anch'esso verso questa
dimensione che viene definita un po' immaginificamente come "virtuale".
Praticamente cio' significa che negli uffici si lavora sempre meno spesso
con le persone vicine di scrivania o di corridoio, e sempre di piu' con
comunita' di interlocutori che possono essere fisicamente ovunque.
Anche qui, il telefono ha fatto da battistrada all'informatica: pensiamo
al banale (e scomodo e costoso) "giro di telefonate", ai telefoni
cellulari che riescono a trasformare in un ufficio anche un'auto
o un supermercato (e purtroppo, anche una sala da pranzo o una camera da
letto), ai telefoni "viva voce" e con possibilita' di collegamenti
multipli.
- Da un paio di decenni, ci sono stati moltissimi studi e anche un certo
numero di proposte operative per organizzare razionalmente - dal punto di
vista degli interessi aziendali - questa nuova realta'. Negli ultimi
anni sono apparsi prodotti informatici sempre piu' sofisticati per
gestire nel modo piu' efficace il lavoro dei gruppi "virtuali".
Talvolta questi prodotti sono duramente contestati da utenti che li
trovano rigidi, scomodi, complicati e quindi in ultima analisi
controproducenti in termini di produttivita' del lavoro; ma essi sono
ancora nella prima infanzia, ed e' improbabile che qualche versione
piu' adulta non prenda stabilmente piede.
In genere questi strumenti sono basati su alcuni principi fondamentali:
- la definizione formale ed esauriente dei compiti e dei poteri (in
genere definiti "diritti") di tutti gli attori coinvolti; ad esempio,
quali documenti e' possibile vedere, quali modificare, in quale fase
di preparazione, quali applicazioni o quali parti di esse e' possibile
attivare e cosi' via.
- la definizione dei percorsi delle informazioni e dei documenti; ad
esempio, la documentazione di un progetto: di quali parti si compone,
chi e' il responsabile di ciascuna parte, entro quale data i lavori
devono passare ad una fase successiva, chi deve essere avvisato in
caso di ritardo, chi ha il diritto di commento scritto, correzione o
veto, e cosi' via, per tutte le fasi di preparazione della
documentazione.
E' da notare che certi prodotti SW che vengono usati per descrivere
ed analizzare i flussi di informazione aziendali, una volta che gli
esperti abbiano progettata l'organizzazione da loro ritenuta migliore,
possono rendere immediatamente operativa la struttura prescelta.
Insomma, e' come se un libro di cucina, una volta scelta una ricetta, si
trasformasse istantaneamente nel frullatore, nel tritacarne, nel fornello
ecc. piu' adatti per il piatto da preparare (e in piu' che ogni oggetto
dicesse "Adesso usa me!" al momento giusto al cuoco).
- Da quanto detto finora, dovrebbe essere gia' chiaro da quale
trasformazione dell'organizzazione del lavoro scaturisce la possibilita'
del "telelavoro di seconda generazione". Se un lavoratore si reca in
ufficio sempre meno per incontrare dei colleghi di persona, e sempre
di piu' per disporre di una stazione di lavoro con cui svolgere
la propria attivita' e coordinarsi con altri collaboratori, e'
ragionevole chiedersi se la stazione di lavoro non possa essere
utilmente piazzata da qualche altra parte. Questa e' l'idea base del
"Port-it" di IBM come di soluzioni analoghe adottate da altre aziende.
("Stazione" puo' suggerire un'immagine di pesantezza ferroviaria:
in realta' la tendenza e' utilizzare aggeggini che pesano qualche
chilo e funzionano anche a batterie. Le stazioni con capacita' grafiche
di livello professionale pero' hanno ancora una dimensione "da tavolo",
principalmente a causa della grandezza dello schermo, ma anche per
offrire prestazioni elaborative adeguate; si possono prestare per
il telelavoro statico, non per quello mobile. Almeno per il momento.)
Il "telelavoro di seconda generazione" svuota quasi completamente alcune
problematiche di quello di "prima generazione", tipicamente l'"affitto"
di una parte di abitazione al datore di lavoro (la questione in teoria
esiste sempre, ma diventa difficile da concettualizzare, perche' il
portatile viene facilmente spostato e piazzato dove capita). Ma la
sua rilevanza per il nostro discorso risiede nel fatto che PUO'
ESSERE ESTESO AD UN NUMERO MOLTO MAGGIORE DI FIGURE PROFESSIONALI.
Di seguito cerchero' di illustrare qualche punto saliente di questa
nuova realta'.
* Tempi.
Gia' da quanto detto, risulta evidente che il concetto di "orario
di lavoro" si fa sempre piu' evanescente per quanto riguarda i lavoratori
dell'informazione. Alcuni fattori sono di gran lunga preesistenti al
telelavoro: la necessita' di aggiornamento impone attivita'
che spesso travalicano l'orario formale; le idee per
risolvere un problema possono giungere nei momenti piu' disparati,
indipendentemente dalla presenza o meno sul luogo di lavoro (che anzi
in genere e' deleterio per gli aspetti piu' creativi di un'attivita');
c'e' una tradizione di rapporti di tipo "free lance" o consulenziali
nei quali l'orario di lavoro ha poca importanza.
Con il telelavoro i tempi di lavoro e quelli personali tendono a
compenetrarsi e a confodersi quasi completamente (piu' precisamente,
in questo momento si osserva l'impegno lavorativo divorare sempre
di piu' tempi ed energie della vita personale; si veda ad esempio
l'indagine sui tempi effettivi di lavoro in relazione all'uso del
Port-it sulle pagine Web della RSU IBM).
Questa nuova realta' da una parte puo' avere ricadute antropologiche
che si incominciano solo ora a valutare, dall'altra rende molto
piu' difficile anche solo concettualizzare il perseguimento di
obiettivi politici e sindacali come la lotta per la riduzione
dell'orario di lavoro.
* Forme contrattuali.
Il telelavoro di prima generazione normalmente non modifica le
condizioni contrattuali del lavoratore, salvo specificazioni ad hoc
per l'uso degli strumenti da casa.
Il telelavoro di seconda generazione, come si e' visto, e' solo un
aspetto di una trasformazione profonda del modo di produrre. Dal punto
di vista delle imprese, tutti i fattori della produzione, in primis
il lavoro, dovrebbero essere acquisibili o rilasciabili in funzione
esclusiva della massimizzazione dei profitti. Nel corso degli anni
Ottanta molte imprese si sono riprogettate anche per poter valutare
il contributo al valore aggiunto finale di ogni singola unita'
produttiva, anche minuscola, al limite formata da una persona
sola. Cio' porta ad esasperare l'attenzione sui risultati e sulle
decisioni di brevissimo periodo (anche poche settimane) e spesso
a trascurare considerazioni piu' strategiche (e ogni tanto questo
errore si paga caro); da parte sua, il telelavoro sembra essere
particolarmente in sintonia con questo "mondo nuovo", nei quali
i lavoratori non si presentano piu' come collettivita' visibile,
ma come pezzi di un Lego in continuo rifacimento.
Dal punto di vista dei lavoratori, i rischi di perdere ogni diritto
e tutela collettiva e' fortissimo. Come RSU di IBM, abbiamo
percepito i pericoli della nuova situazione quando, nel giro di
due anni, quasi il 50% dei dipendenti (circa diecimila in Italia)
e' stato dotato del Port-it e messo cosi' in grado di lavorare da
casa o da qualsiasi altro luogo, senza limiti tecnici di tempo, 24 ore
al giorno e 365 giorni all'anno. (Finora questa innovazione non
ha avuto alcun riflesso nella situazione contrattuale dei dipendenti).
Oltre ad una difficile trattative, tuttora aperta, con l'Azienda,
abbiamo deciso di percorrere la via di una proposta di legge dedicata
al telelavoro, in collaborazione con l'Ufficio Vertenze della CGIL
e l'associazione Alsole di Milano. In estrema sintesi, la proposta
di legge si propone di:
- definire la condizione di telelavoratore
- introdurre delle tutele per il telelavoratore in generale,
indipendentemente dal tipo di rapporto con il datore di lavoro
- introdurre delle tutele specifiche per i lavoratori dipendenti
che telelavorano, definendo anche il quadro normativo per la
contrattazione aziendale
- introdurre delle tutele specifiche per i lavoratori parasubordinati
ed autonomi, prefigurando anche la possibilita' di una rappresentanza
collettiva dei loro interessi
- definire le condizioni sotto le quali vi e' un interesse sociale per
l'incentivo del telelavoro: riduzione dell'handicap professionale per
lavoratori disabili, riduzione del traffico pendolare, riequilibrio
territoriale del mercato del lavoro e cosi' via.
Il testo della proposta di legge e le informazioni sulla trattativa in
corso in IBM sono disponibili sulle pagine Web delle RSU IBM dedicate al
telelavoro.
* Addestramento.
L'impostazione oggi prevalente nelle imprese spinge ad
esternalizzare sui lavoratori i costi e i rischi dell'addestramento
professionale. Infatti, in un contesto di elevati tassi di disoccupazione,
le imprese possono di volta in volta scegliere i lavoratori addestrati
per le esigenze del momento, pronte a "scaricarli" e a rivolgersi ad
altri non appena le condizioni cambino.
Infatti, e' obiettivamente difficile immaginare quali saranno le
figure professionali piu' pregiate fra cinque o dieci anni, stanti
gli attuali ritmi di trasformazione tecnologica e organizzativa.
Le imprese chiedono che qualcun altro (i lavoratori, gli enti pubblici)
si assumano i costi della scommessa formativa; a fronte di una
elevata disoccupazione strutturale, sara' sempre possibile per loro
scegliere chi ha fatto la scelta addestrativa piu' fortunata,
e non curarsi degli altri. Per questa ragione, i giovani devono
guardare alla superspecializzazione settoriale come ad una scelta
rischiosa, da farsi solo di fronte a solide considerazione specifiche:
una precisa vocazione personale, l'esistenza di un'azienda famigliare
che si desidera continuare, la conoscenza delle prospettive di uno
specifico comparto produttivo. In tutti gli altri casi, l'ottica
deve essere ben diversa: bisogna individuare percorsi educativi che
forniscano quella formazione di base che permetta domani di
ridisegnare senza traumi il proprio profilo professionale.
Insomma, diventa piu' importante imparare ad imparare che imparare
qualcosa di specifico (anche se in pratica non c'e' necessariamente
contrapposizione fra questi due momenti).
Le considerazioni qui svolte in generale valgono in misura anche
maggiore per chi si trovasse a "telelavorare": il rapporto con
l'impresa diventa piu' impersonale ed astratto, la comunicazione
informale con i colleghi puo' risultare piu' difficile (specie quando
se ne sottovaluta l'importanza), e il lavoratore puo' inavvertitamente
scivolare verso la dequalificazione e l'emarginazione.
Solo per stimolare la discussione, e senza avere la minima competenza
nel campo della formazione, provo a delineare qualche tratto di quelle
che potrebbero essere le esigenze culturali di un telelavoratore:
- Una cosa essenziale e' avere una buona competenza comunicativa, tanto
nella lingua nativa che in inglese: riconoscere i vari di tipi di
testo (tecnici, scientifici, narrativi, contrattuali, giuridici,
organizzativi, negoziali, pubblicitari ...) e saperli interpretare
e utilizzare in modo efficace; possedere almeno le basi per
produrre i vari tipi di testo in modo corretto.
- Forse ancora piu' importante, anche alla luce di quanto detto prima,
e' la capacita' di lavorare in gruppo, assumendo di volta in volta
il ruolo piu' produttivo nella situazione data: collaboratore
stabile, collaboratore occasionale (rispetto agli obiettivi del
gruppo), coordinatore, portavoce, supervisore ecc. Quando questi
ruoli devono essere giocati "in rete", richiedono una consapevolezza
e una padronanza del significato degli atti propri e altrui ben
maggiore di quella usuale. Vorrei far notare che fra i ruoli di
gruppo ci sono anche quelli di insegnante e studente: a questo
proposito, e' bene che chi riceve il servizio educativo impari
a valutarlo criticamente, selezionando accuratamente l'offerta
e rimandando ai formatori dei feedback realistici sul valore del
loro contributo. Lo studente deve anche impare a pianificare il
proprio impegno, valutare le proprie forze e risorse, i tempi
necessari, i risultati ottenuti ecc. Queste sono competenze (o, se
si preferisce, metacompetenze) che sono utili per tutta la vita
professionale, e anche al di fuori di essa.
Si puo' inoltre individuare un secondo gruppo di competenze un po'
piu' specifiche:
- Una certa conoscenza e attenzione per i fenomeni storici, economici e culturali:
per esempio, comunicare che persone ancora immerse
in un'organizzazione di tipo fordista, e' cosa ben diversa che
svolgere un'attivita' per un'istituzione scientifica, o rapportarsi
con i responsabili di un'impresa del Terzo Mondo.
- Un panorama delle forme e dei concetti organizzativi oggi prevalenti
nelle imprese.
- Una conoscenza di base dei concetti fondamentali della fisica,
della chimica e della biologia, e dei paradigmi scientifici oggi
in vigore.
- Una preparazione di base nel campo della matematica, della logica e
della teoria computazionale, anche prendendo contatto con i lavori
dei fondatori moderni di queste discipline.
- L'addestramento pratico all'utilizzo degli strumenti informatici piu'
diffusi nel momento in cui avviene l'addestramento.