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Da: Telelavoro e lavoro mobile

Telelavoro di I e di II generazione



Telelavoro di I e di II generazione: qualche riflessione sull'esperienza in IBM SEMEA presentata al convegno di Bari il 16/4/1996 da G.Talpone.

Gia' da un paio di decenni esiste la base tecnologica per fare telelavoro con strumenti informatici, e anche da piu' tempo se l'attivita' si svolge prevalentemente con l'uso del telefono. Questa modalita' di lavoro non si e' molto sviluppata, probabilmente a causa di due forti inibitori:

Di fatto, le prime esperienze di telelavoro hanno quasi tutte le seguenti caratteristiche:

Propongo di chiamare queste esperienze "telelavoro di prima generazione". Esso pone pochi problemi sociali e sindacali perche':

L'esperienza in IBM ci ha spinto a riflettere sul possibile avvento di un "telelavoro di seconda generazione" o, come preferisce chiamarlo la nostra controparte, "lavoro mobile" o "lavoro nomade". Questa nuova possibilita' non e' che un aspetto particolare di uno scenario molto piu' vasto, sul quale e' necessario soffermarsi.

Negli anni Settanta numerosi indicatori segnalavano che il vecchio modello di sviluppo industriale, rigido e prevalentemente quantitativo, incontrava sempre maggiori difficolta' ad espandersi ulteriormente. In risposta a cio', e grazie alla disponibilita' di nuove tecnolgie, si sono operati importanti cambiamenti:

Il "telelavoro di seconda generazione" svuota quasi completamente alcune problematiche di quello di "prima generazione", tipicamente l'"affitto" di una parte di abitazione al datore di lavoro (la questione in teoria esiste sempre, ma diventa difficile da concettualizzare, perche' il portatile viene facilmente spostato e piazzato dove capita). Ma la sua rilevanza per il nostro discorso risiede nel fatto che PUO' ESSERE ESTESO AD UN NUMERO MOLTO MAGGIORE DI FIGURE PROFESSIONALI. Di seguito cerchero' di illustrare qualche punto saliente di questa nuova realta'.

* Tempi.

Gia' da quanto detto, risulta evidente che il concetto di "orario di lavoro" si fa sempre piu' evanescente per quanto riguarda i lavoratori dell'informazione. Alcuni fattori sono di gran lunga preesistenti al telelavoro: la necessita' di aggiornamento impone attivita' che spesso travalicano l'orario formale; le idee per risolvere un problema possono giungere nei momenti piu' disparati, indipendentemente dalla presenza o meno sul luogo di lavoro (che anzi in genere e' deleterio per gli aspetti piu' creativi di un'attivita'); c'e' una tradizione di rapporti di tipo "free lance" o consulenziali nei quali l'orario di lavoro ha poca importanza. Con il telelavoro i tempi di lavoro e quelli personali tendono a compenetrarsi e a confodersi quasi completamente (piu' precisamente, in questo momento si osserva l'impegno lavorativo divorare sempre di piu' tempi ed energie della vita personale; si veda ad esempio l'indagine sui tempi effettivi di lavoro in relazione all'uso del Port-it sulle pagine Web della RSU IBM). Questa nuova realta' da una parte puo' avere ricadute antropologiche che si incominciano solo ora a valutare, dall'altra rende molto piu' difficile anche solo concettualizzare il perseguimento di obiettivi politici e sindacali come la lotta per la riduzione dell'orario di lavoro.

* Forme contrattuali.

Il telelavoro di prima generazione normalmente non modifica le condizioni contrattuali del lavoratore, salvo specificazioni ad hoc per l'uso degli strumenti da casa. Il telelavoro di seconda generazione, come si e' visto, e' solo un aspetto di una trasformazione profonda del modo di produrre. Dal punto di vista delle imprese, tutti i fattori della produzione, in primis il lavoro, dovrebbero essere acquisibili o rilasciabili in funzione esclusiva della massimizzazione dei profitti. Nel corso degli anni Ottanta molte imprese si sono riprogettate anche per poter valutare il contributo al valore aggiunto finale di ogni singola unita' produttiva, anche minuscola, al limite formata da una persona sola. Cio' porta ad esasperare l'attenzione sui risultati e sulle decisioni di brevissimo periodo (anche poche settimane) e spesso a trascurare considerazioni piu' strategiche (e ogni tanto questo errore si paga caro); da parte sua, il telelavoro sembra essere particolarmente in sintonia con questo "mondo nuovo", nei quali i lavoratori non si presentano piu' come collettivita' visibile, ma come pezzi di un Lego in continuo rifacimento. Dal punto di vista dei lavoratori, i rischi di perdere ogni diritto e tutela collettiva e' fortissimo. Come RSU di IBM, abbiamo percepito i pericoli della nuova situazione quando, nel giro di due anni, quasi il 50% dei dipendenti (circa diecimila in Italia) e' stato dotato del Port-it e messo cosi' in grado di lavorare da casa o da qualsiasi altro luogo, senza limiti tecnici di tempo, 24 ore al giorno e 365 giorni all'anno. (Finora questa innovazione non ha avuto alcun riflesso nella situazione contrattuale dei dipendenti). Oltre ad una difficile trattative, tuttora aperta, con l'Azienda, abbiamo deciso di percorrere la via di una proposta di legge dedicata al telelavoro, in collaborazione con l'Ufficio Vertenze della CGIL e l'associazione Alsole di Milano. In estrema sintesi, la proposta di legge si propone di:

Il testo della proposta di legge e le informazioni sulla trattativa in corso in IBM sono disponibili sulle pagine Web delle RSU IBM dedicate al telelavoro.

* Addestramento.

L'impostazione oggi prevalente nelle imprese spinge ad esternalizzare sui lavoratori i costi e i rischi dell'addestramento professionale. Infatti, in un contesto di elevati tassi di disoccupazione, le imprese possono di volta in volta scegliere i lavoratori addestrati per le esigenze del momento, pronte a "scaricarli" e a rivolgersi ad altri non appena le condizioni cambino. Infatti, e' obiettivamente difficile immaginare quali saranno le figure professionali piu' pregiate fra cinque o dieci anni, stanti gli attuali ritmi di trasformazione tecnologica e organizzativa. Le imprese chiedono che qualcun altro (i lavoratori, gli enti pubblici) si assumano i costi della scommessa formativa; a fronte di una elevata disoccupazione strutturale, sara' sempre possibile per loro scegliere chi ha fatto la scelta addestrativa piu' fortunata, e non curarsi degli altri. Per questa ragione, i giovani devono guardare alla superspecializzazione settoriale come ad una scelta rischiosa, da farsi solo di fronte a solide considerazione specifiche: una precisa vocazione personale, l'esistenza di un'azienda famigliare che si desidera continuare, la conoscenza delle prospettive di uno specifico comparto produttivo. In tutti gli altri casi, l'ottica deve essere ben diversa: bisogna individuare percorsi educativi che forniscano quella formazione di base che permetta domani di ridisegnare senza traumi il proprio profilo professionale. Insomma, diventa piu' importante imparare ad imparare che imparare qualcosa di specifico (anche se in pratica non c'e' necessariamente contrapposizione fra questi due momenti). Le considerazioni qui svolte in generale valgono in misura anche maggiore per chi si trovasse a "telelavorare": il rapporto con l'impresa diventa piu' impersonale ed astratto, la comunicazione informale con i colleghi puo' risultare piu' difficile (specie quando se ne sottovaluta l'importanza), e il lavoratore puo' inavvertitamente scivolare verso la dequalificazione e l'emarginazione. Solo per stimolare la discussione, e senza avere la minima competenza nel campo della formazione, provo a delineare qualche tratto di quelle che potrebbero essere le esigenze culturali di un telelavoratore:

Si puo' inoltre individuare un secondo gruppo di competenze un po' piu' specifiche: