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Da: Occupazione, forza lavoro, scorpori, trasferimenti; Forum; IBM come azienda-rete; Sedi periferiche; Servizi di Consulenza, Analisi, Progettazione, Realizzazione, Integrazione (GBS, BCS, BIS...)

[Considerazioni sulla riduzione del personale]


  The situation in IBM appears worse and worse, in part for objective
  reasons, in part thanks to a well organized internal propaganda,
  directed to diffuse fear and pessimism among the workers.
  In this atmosphere of "last days", we deside to freeze long term
  considerations and to focus the critic on problems solvable in the
  short term, to show the inability/unwillingness of IBM direction to
  afford even the simplest topics.
  The general tone is sharper, the target is like always mostly the
  ununionized workers.
  This time, fear seems to be the main obstacle to the discussion of
  these ideas.
  With this document, you get the main part of cultural production I
  partecipate. Every comment and suggestion from you will be
  welcomed.

                                                     [I semestre 1994]

  Care colleghe, cari colleghi,
  in questa prima parte del 1994 vediamo e subiamo la politica della
  Direzione IBM tesa a ridurre il personale, premiando gli uscenti e
  premendo fortemente su coloro che vorrebbero rimanere.
  Da mesi, questa operazione sta mantenendo in forte tensione tutte le
  strutture delle Operazioni Nazionali, e ha instaurato un clima interno
  di demotivazione, fatalismo, sfiducia nelle proprie capacita' e pessimismo
  sulle sorti dell'Azienda.

  I dipendenti e le Rappresentanze Sindacali Unitarie recentemente elette
  hanno di fronte a se' il compito,
  molto difficile, di comprendere la situazione effettiva di IBM Semea
  e le ragioni - buone o cattive - delle scelte aziendali, e di rispondere
  a queste e a quella con proposte realmente in grado di garantire la
  capacita' competitiva e la validita' economica dell'Azienda, e con esse
  la sicurezza del lavoro per i dipendenti.
  Una lotta sindacale che abbia come fine il risanamento strutturale
  (cioe' organizzativo e professionale oltre che finanziario) di questa
  impresa, puo' avere successo solo se la maggioranza dei dipendenti
  condivide sostanzialmente l'analisi dei problemi aziendali, approva modi
  e obiettivi della lotta stessa, ed e' disposta a sostenerla.

  Inoltre, nell'immediato e' assolutamente necessario
  contrastare la dilagante demoralizzazione di colleghe e colleghi,
  spesso tanto piu' forte quanto maggiore e' stata la fiducia riposta
  fino a ieri nelle capacita' dei responsabili aziendali.
  Gli stessi dirigenti con cui si parla paiono sempre meno in grado di
  distinguere fra dati di fatto e proprie fantasie, angosce, aspettative
  irrazionali.
  Tutti coloro che intendono opporsi a questo pericoloso caos devono
  arginare la tendenza a esprimere e comunicare solo pessismismo e
  fatalismo, e tentare di ragionare e far ragionare in termini realistici
  su tutte le ipotesi riguardanti il futuro aziendale, tanto di provenienza
  ufficiale quanto generate o diffuse dalla comunicazione informale.

  Con questo lavoro si e' cercato di organizzare dei ragionamenti sulle
  scelte attuali, su cio' possono comportare per l'azienda, sull'esistenza
  di alternative praticabili.

  Per prima cosa, si e'incominciato a elencare ed esaminare le varie
  motivazioni che vengono addotte per giustificare linea del "dimagrimento
  traumatico" sia delle Operazioni Nazionali che dell'azienda in generale.
  Ecco alcune delle piu' diffuse:

  A) "Ordini superiori: l'Italia deve scendere di X teste nel 1993,
     Y nel 1994, Z nel 1995 ..."

     Sembrerebbe la piu' conclusiva delle motivazioni, ma vale la pena di
     commentarla comunque.
     Innanzitutto, non e' che la direzione di IBM Semea
     ci faccia una gran figura e ci guadagni molto in credibilita'
     nel farsi trattare come un sergente delle truppe ausiliarie indigene
     da parte degli Stati Maggiori di Parigi e di Armonk.
     Assolutamente legittimo che si chieda all'Italia un certo ritorno
     sugli investimenti e un contributo, proporzionato alla dimensione di
     IBM Semea, allo sforzo economico di tutta la Compagnia; ma e' poco
     credibile - e sarebbe gia' questa una notevole diseconomia - che
     vengano imposti i dettagli dell'organizzazione interna fino a preferire
     la disciplina all'efficacia economica.
     (Gia' il fatto che in Italia il ruolo della piccola e media impresa sia
     maggiore di quanto non avvenga negli altri Paesi, introduce una
     specificita' non trascurabile nel business).
     La sensazione e' che Segrate scarichi sulle larghe spalle della Company
     anche una bella fetta di responsabilita' decisionali che sono invece
     assolutamente italiane. IBM non e' mai stata trasparente su questo punto,
     come non lo e' mai stata sull'ammontare in quantita' e valore
     dell'import-export con le consorelle, sul valore delle royalties e cosi'
     via. Come accade anche ad altri protagonisti della vita nazionale,
     l'oscurita' si paga sempre in termini di credibilita'.

  B) "Si guadagno meno sui mainframe e in generale sull'hardware, e quindi
     c'e' meno grasso per tutti."

     Semplice, vero? Ma non e' cosi'. Da almeno dieci anni regalare servizi
     "on top" alle vendite di hardware era una pratica commerciale sempre
     meno razionale, anche perche' "essendo gratis", impediva di mettere
     veramente il naso nella qualita' e nella quantita' di questi servizi
     "regalati" al cliente. Il danno provocato da questo andazzo (Difeso
     da chi? Qualcuno alza la mano?) lo stiamo vedendo, e pagando, ora.
     Ma da almeno tre anni ci stanno sfinendo con il principio che ogni
     segmento dell'offerta IBM deve giustificarsi autonomamente dal punto di
     vista commerciale. OK. Ma allora, perche' un sistemista CATIA su RISC,
     per esempio, deve diventare di troppo se un S/9000 costa meno?
     A noi sembra solo una manifestazione del comodo vizio di stabilire
     principi fondamentali e di dimenticarli il giorno dopo.
     A questo proposito, la vicenda di SOLCO basterebbe da sola a illustrare
     la confusione di idee e la mancanza di coerenza con le quali si affronta
     la riorganizzazione aziendale.

  C) "Veramente si stava parlando dei costi indiretti, di struttura ... "

     Certo che espellere chi lavora DIRETTAMENTE sul cliente e' un buon modo
     per ridurne l'incidenza ... . Non scherziamo.
     Buona parte dei costi indiretti sono dovuti agli stipendi abnormi
     dei dirigenti, a notevoli sciocchezze in campo logistico,
     e soprattutto a inefficienze interne, di cui si parlera' piu' innanzi.
     Ma anticipiamo una considerazione. Gli attuali araldi del "downsizing"
     aziendale, fino a pochissimi anni or sono ripondevano con sorrisi
     ironici alle critiche da parte sindacale sulle piogge di aumenti
     "di merito" non associati a sviluppi verificabili di profili
     professionali riconoscibili.
     Addirittura si riscontrava il fenomeno inverso, in cui
     l'aumento veniva a compensare le frustrazioni professionali (il classico
     ingegnere messo a montare nastri e a far fotocopie).
     In altre parole, si preferiva pagare per il silenzio e per la propria
     incapacita' di prendere sul serio l'organizzazione del lavoro e
     l'inventario degli skill necessari.
     Dimostrazione: quando alla fine questo inventario si e' stati costretti
     a farlo, e' stato presentato come una rivoluzione copernicana cio' che
     sarebbe dovuto appartenere alla fisiologia aziendale.
     Beninteso, era la cosa giusta da fare. Ed e' stato un tentativo
     coraggioso e interessante. Ma e' fallito. E invece di indagare e magari
     aprire un dibattito sulle origini del fallimento - la resistenza sorda
     della basse e media dirigenza - e sulle sue ragioni di fondo, (la qual
     cosa avrebbe gettato l'Azienda in un "bagno di realta'", costringendola
     per una volta a esaminare il suo vero operare) si e' preferito
     archiviare il tentativo e ricominciare a "tirare a campare" anche sul
     tema della professionalita'.

  D) "Il mercato dell'informatica si e' ridotto."

     Non certo uniformemente. E non certo per sempre. Su futuro del
     mainframe c'e' un largo dibattito, con posizioni che vanno dalla
     "totale scomparsa" (soppiantato completamente dalle stazioni di lavoro)
     alla "seconda giovinezza" (come servente delle sempre piu' numerose reti).
     Nella fascia intermedia, non e' pensabile che il mercato rinunci tanto
     presto all'AS/400.
     Il segmento delle stazioni di lavoro e personal della fascia alta
     ha ancora notevoli capacita' di espansione, purche' si sappia offrire
     ai Clienti soluzioni applicative interessanti a un costo ragionevole.
     Per i personal di largo consumo, sta per partire l'integrazione con
     la televisione interattiva, con quella ad alta definizione, con la
     videoregistrazione, con l'HiFi e la telefonia cellulare.
     In molti Stati si sta investendo nelle "autostrade digitali", e in
     Italia abbiamo da colmare il ritardo storico della meccanizzazione
     della Pubblica Amministrazione e di molti servizi.
     Verosimilmente i margini di profitto sul puro hardware si stabilizzeranno
     su quelli medi industriali, con un po' di rendita di posizione per
     chi avra' le tecnologie migliori di processo o di prodotto.
     Il collo di bottiglia del mercato si spostera' sempre di piu' sulle
     applicazioni software e soprattutto sulla capacita' di integrarle
     efficacemente nell'organizzazione delle aziende.
     Pochi dirigenti hanno idea di cosa cio' significhi effettivamente, e
     quali riflessi dovrebbe avere sulla nostra organizzazione interna.
     (E in effetti, anche IBM e' un cattivo utilizzatore di informatica).

  E) "C'e' la crisi economica."

     Negli ultimi mesi sembra incominciata una certa ripresa. Ormai in piu'
     di un settore si rischia di perdere affari perche' la tensione interna
     a IBM e la necessita' politica della direzione di accentuare gli
     effettivi elementi di crisi, lasciano sempre piu' spesso i Clienti
     a secco di visite e di proposte da parte nostra.
     Sembra incredibile, ma ci viene addirittura segnalato che talvolta non
     si risponde neppure ad esplicite richieste da parte dei Clienti di
     offerte e di quotazioni.
     E vi sono dirigenti che lanciano segnali del tipo "vorrei assumere, ma
     non posso ...".

  F) "L'azienda era comunque troppo grossa, e quindi ingestibile".

     Questa e' la giustificazione piu' elegante e raffinata, a meta' strada
     tra "piccolo e' bello" e la filosofia postmoderna.
     Si potrebbe rispondere ricordando quanto spesso si sente dire che le
     aziende italiane sono troppo piccole, e che quindi non riusciranno a
     competere sul mercato mondiale ...  E' pero' vero che
     in questa considerazione c'e' un nucleo razionale a cui bisogna
     rispondere seriamente: gestire la complessita' e' difficile e costoso.
     Allora val la pena di enunciare l'ultima, e fondamentale giustificazione
     ai licenziamenti:

  G) "Il dipendente IBM costa troppo caro. Non siamo competitivi, e anche
     quando prendiamo un contratto servizi troppo spesso non guadagnamo... "

     e rispondervi insieme.
     Si e' gia' detto al punto C) come una certa distorsione ci sia e come e'
     venuta a crearsi. Ma non esageriamo. Uscite di persone delle "generazioni
     grasse" ve ne sono state parecchie. Il blocco degli aumenti generalizzati
     e' in vigore da anni. I benefits sono stati fortemente ridotti. E per
     i soliti aumenti "di merito" individuali, QUESTO e' l'indirizzo sbagliato
     presso cui lamentarsi.

     Appositamente sono stati lasciati per ultimi i problemi fondamentali,
     quelli dell'organizzazione del lavoro e della misurazione del valore
     effettivamente prodotto.
     Affrontiamoli in piu' passi.

     1) Approccio al mercato e canali di vendita. E' noto che l'organizzazione
     tradizionale, pensata per vendere grandi elaboratori, da tempo era
     del tutto inadeguata rispetto alla vendita di macchine sempre piu'
     piccole e meno costose. Cio' ha portato alcuni alla affrettata conclusione
     che tutto il rapporto con il mercato possa essere garantito da una
     rete di "supermercati" dell'informatica e/o da concessionari a cui
     delegare la cura del Cliente.

     Bisogna pero' chiedersi quali sono i parametri che determinano la
     reddittivita' dei canali di vendita.
     Fra quelli fondamentali, vi sono la complessita' del prodotto e
     la complessita' della soluzione.

     L'approccio "a supermercato" funziona quando un elaboratore puo' essere
     venduto sostanzialmente come un elettrodomestico, quindi con
     (relativamente) poche funzioni ben definite e con scarsa necessita' di
     assistenza post-vendita.
     Quando queste condizioni di mercato di massa si verificano,
     ha effettivamente senso utlizzare i canali di distribuzione tipici
     delle merci di largo consumo, per raggiungere rapidamente e
     capillarmente i Clienti a costi contenuti.

     Si incontra un primo gradino quando i prodotti richiedono un'assistenza
     non banale gia' solo per la configurazione e l'installazione;
     in genere in questi casi anche la gestione dei malfunzionamenti e
     il rilascio delle correzioni, degli aggiornamenti e delle nuove versioni
     (specialmente del SW) richiede uno sforzo organizzativo ed economico
     confrontabile con l'investimento iniziale.
     In questi casi, non e' piu' pensabile ricorrere alla grande
     distribuzione: bisogna pensare a qualcuno che segua i problemi macchina
     per macchina e cliente per cliente.
     In questi casi si pensa che la soluzione migliore possa essere
     "il concessionario".
     In genere cio' e' vero, ma bisogna tenere presente che i problemi
     posti dalla complessita' della moderna informatica non possono
     scomparire per incanto: spesso si trasferiscono "all'indietro" rendendo
     critici, complicati e "imprevedibilmente" costosi i rapporti con i
     concessionari stessi.
     Infatti, se questi sono molto legati ad IBM di fatto non sono altro che
     reparti interni sotto mentite spoglie; se sono autonomi, possono porre
     problemi di scarsa fedelta' di prodotto e di immagine.
     Non solo: senza il supporto informativo IBM alle spalle, trovano grosse
     difficolta' a gestire materialmente la varieta' dei problemi posti
     dai loro clienti: ci vuole comunque una struttura sovraordinata
     che faccia circolare le informazioni, dia supporto di secondo livello,
     filtri le chiamate agli esperti e ai laboratori ecc.

     Insistiamo su questo punto perche' esso contiene in nuce gia' tutti gli
     elementi critici delle svariate ristrutturazioni di IBM: la convinzione
     cioe' che la modifica di un assetto proprietario (o di un macroassetto
     organizzativo) di per se' possa ridurre le criticita' funzionali del
     nostro business. Cio' e' in generale falso, e nasconde una convinzione
     ancora piu' fantasiosa: che il nuovo assetto sia talmente piu' vantaggioso
     in termini di costi, da permettere ai responsabili di NON affrontare le
     criticita' reali.

     Anche qui, le delusioni non si fanno certo attendere.
     Infatti, il razionale di uno scorporo o di un accordo con un soggetto
     esterno dovrebbe essere il riconoscimento della maggiore efficacia
     di un centro decisionale largamente autonomo (nel nostro caso, il
     concessionario), rispetto a una funzione aziendale interna.
     La base di questo miglior risultato risiederebbe nella capacita' del
     mercato di premiare e stimolare i comportamenti piu' efficaci, e
     nella liberta' dell'operatore economico indipendente di organizzarsi
     di conseguenza.
     Ma, nella misura in cui una forte componente di successo (le competenze
     di dettaglio sui prodotti, sulla loro evoluzione, le possibili interfacce,
     connessioni e compatibilita', la stabilita', le performances nei vari
     ambienti, l'esistenza di alternative ...) non e' facilmente accessibile
     ai soggetti di decisione, il problema dell'ottimizzazione di tutta la
     catena produttiva/distributiva puo' rimanere sostanzialmente irrisolto.
     Quanto questo vincolo strutturale (informazioni e competenze) sia
     sostanzialmente misconosciuto, e' dimostrato dalla fretta con
     cui IBM sta cercando di liberarsi dalle persone che ne sono portatrici.

     Tutti questi problemi si presentano a piu' forte ragione quando ci sposta
     verso il mercato delle "soluzioni" e verso i sistemi a grande complessita'.
     Diciamo subito che in questi casi, il valore aggiunto non esce tanto
     dalla vendita delle macchine e del SW di base, quanto dalla validita' del
     progetto complessivo, cio' dall'analisi e dalla realizzazione.
     Nei settori e nelle nicchie in cui esistono validi fornitori di soluzioni
     applicative, IBM e' ridotta al ruolo ancillare di subfornitore di
     componenti a basso valore aggiunto: il grasso se lo prende l'integratore.
     Cio', pur rientrando in una naturale differenziazione e
     specializzazione delle competenze, ha qualche aspetto paradossale:
     infatti, e' curioso che dia cosi' poco vantaggio essere una multinazionale
     con grandi strumenti di comunicazione interna e potenzialmente in grado di
     trasferire informazioni ed esperierenze da un capo all'altro del pianeta.
     In realta', molti e gravi limiti organizzativi e culturali portano a
     vanificare queste potenzialita', e a ripartire troppo spesso quasi da
     zero di fronte ad ogni nuovo progetto.

     Altre volte IBM riesce a conquistarsi il ruolo di capoprogetto, ma
     troppo spesso le diseconomie che stiamo illustrando decurtano il
     margine di guadagno che ci si potrebbe aspettare. Il ricorso alle
     risorse interne e' penalizzato sia da bizzarri sistemi di accounting
     sia dalla sistematica lesina anche sugli investimenti piu' necessari;
     la gestione di subfornitori, non accompagnata da un'effettiva padronanza
     tecnica e culturale dell'argomento dell'applicazione, porta troppo
     spesso ad avventure dal ritorno economico, diciamo cosi', dubbio.

     (Tenendo conto di questa situazione, sara' interessante analizzare il
     funzionamento effettivo della nuova struttura di marketing, verticalizzata
     e internazionalizzata. Il rischio e' che sia gestita, al solito, piu'
     come decurtazione di risorse che come investimento strategico).

     2) Il nodo fondamentale che rimane sostanzialmente irrisolto in IBM e'
     l'analisi della "catena del valore" delle soluzioni che si offrono
     ai Clienti: in quale misura le varie fasi produttive contribuiscono
     a giustificare il prezzo di un bene o di un servizio.
     Mancando la cultura dell'analisi del valore, si generano distorsioni
     e diseconomie di ogni tipo: i barocchismi contrattuali, la
     proliferazione di report e tabelle sulle attivita' svolte, la permanente
     instabilita' organizzativa, i dubbi sulle professionalita'
     "eccedenti" o "mancanti", le brutalita' e i pasticci nelle relazioni
     col personale sono in buona parte determinati da questa carenza di fondo.
     Non che il problema sia di facile soluzione: la rapida evoluzione
     di tutti gli aspetti del nostro business giustifica la quasi assenza
     di "serie ripetitive" di situazioni, da analizzare  con strumenti
     statistici ecc. Di fronte a questa difficolta', che e' reale ma che
     finisce per giustificare ogni arbitrio, si dovrebbe partire a realizzare
     delle soluzioni organizzative sempre migliori a partire da alcuni
     principi fondamentali:

     * Ogniqualvolta si misura male un fenomeno aziendale, le decisioni
       prese su tale misura possono essere piu' di danno che di vantaggio.
       Pertanto, la validita' concettuale e la correttezza delle misure e'
       un problema di fondo di tutta l'azienda.

     * Le misure devono riguardare i fenomeni essenziali, e non delle variabili
       indirette di essi; le componenti devono essere disaggregate fino a un
       livello di significativita' reale, e successivamente riaccorpate
       per tematiche coerenti e complete.

     * Le misure devono scaturire il piu' possibile "dai fenomeni stessi" piu'
       che da report "manuali" indipendenti.

     Facciamo alcuni esempi. Molti di noi hanno la sensazione che la chiusura
     di sedi periferiche, l'attenzione ai costi dei viaggi e l'investimento
     in teleinformatica siano stati gestiti in modo indipendente senza mai
     provare a fare un "bilancio integrato" di tutta la tematica.
     Infatti, oltre a sembrare assai curioso che un posto di lavoro in
     provincia (e piu' vicino ai Clienti) costi di piu' dello stesso in una
     metropoli, non vi e' stato alcuno sforzo serio per far emergere
     il costo effettivo dei viaggi (cioe' di tutti i costi indotti,
     direttamente o indirettamente, a incominciare dal tempo perso dalle
     persone, valutato a prezzo di mercato) e quindi far affiorare un
     elemento di scelta razionale tra accentramento e decentramento
     geografico.

     Ma esistono esempi anche piu' quotidiani e banali. Qualsiasi
     investimento anche minuscolo, in HW e SW, e' sempre visto come
     un costo da evitare, ma senza alcuna attenzione ai costi che il
      mancato investimento provoca. Se viene mandato a un nostro sistemista
     l'equivalente di dieci chili di manuali su di un CD, ma il
     lettore non c'e' perche' "costa troppo", questo risparmio va
     a farsi benedire la prima volta che c'e' davvero bisogno di quei manuali
     (perche' si perdera' tempo, lo si fara' perdere ai colleghi,
     si passerannno ore davanti alla fotocopiatrice e si dara' un
     servizio peggiore al Cliente); ma questi sprechi non vengono rilevati
     da nessuno.

     Se si sta cercando di risolvere un problema da un Cliente, ma non si puo'
     accedere ai DB HONE, si dovra' fare una costosa e inefficace spola tra
     sede e Cliente per sopperire alla mancanza di un collegamento meno costoso.

     Se si decide di distribuire un prodotto di una terza parte, ma non si
     paga il canone di aggiornamento, ci si trova in breve fra le mani una
     versione obsoleta, fonte di ogni genere di difficolta' e contrattempi.

     Esistono carenze anche piu' clamorose. Non esiste alcuna rilevazione del
     tempo perso in riunioni provocate da mancate deleghe decisionali.
     (Progetti di poche decine di milioni possono essere onorati dall'intervento
     di un paio di capi, due o tre rappresentanti e dalla fugace presenza di
     qualche consulente. In genere l'esigenza di simili riunioni nasce piu'
     dalla necessita' di accordarsi sulla forma meno pericolosa per compilare
     gli adempimenti burocratici che per dare un qualche riconoscibile valore
     aggiunto al progetto).

     Non si evidenziano correttamente i costi dovuti alla difettosita' dei
     prodotti (ed ecco che un costo di marketing o di sviluppo potrebbe
     essere piu' razionalmente attribuito ai laboratori). Non sono proprio
     noccioline: probabilmente il 30% delle risorse sistemistiche di marketing
     se ne va cosi'.

     Men che mai si misura quanto costa l'attivita' di negoziazione
     all'interno dell'impresa-rete.
     Se serve una consulenza di un paio d'ore di un fornitore esterno, cosa
     si fa? Un contratto ad hoc? Si escala fino agli azionisti, sperando
     che IBM compaia in buona posizione? Si studia qualche efficace forma
     di ricatto? O qualche ingegnoso baratto, ben nascosto agli occhi
     degli audit?

     Parimenti si ignora quanto costa individuare e attivare le risorse
     interne, anche quando sono sottoutilizzate. Non esiste (tranne che
     per i CE) un DB delle competenze delle persone. Non esiste un
     metodo spiccio per coinvolgere un collega che stia girando i pollici
     (o, caso sempre piu' frequente, che abbia una professionalita' piu'
     elevata di quanto i suoi capi siano capaci di capire e gestire).

     Non esiste un efficiente mercato interno del lavoro: ricordiamo,
     come esempio, l'avventura dello "skillogramma", sulla quale torneremo.
     Tutto cio' e' materia riservata al grande bazar dei contatti tra i
     capi. A proposito dei costi di struttura ...

     La crescente complessita' del business tenderebbe a ridare ruolo e
     professionalita' alla figura della segretaria, a cui si potrebbero
     delegare attivita' di coordinamento e di documentazione. Ma la
     direzione preferisce pensare che trasformare tutti in (scadenti)
     segretarie di se medesimi sia un risparmio, come la polvere sotto
     il tappeto fa sembrare la casa pulita.

     Prendiamo sul serio questi esempi. Essi ci rivelano che:

     - Gli sprechi non sono tanto nel settore X o causati dalla persona
       Y (la cui eliminazione risanerebbe quindi
       l'azienda), ma attraversano "orizzontalmente" tutte le
       attivita' aziendali (in particolare le Operazioni Nazionali, da cui
       sono tratti).

     - Non derivano dalla dimensione, anzi, le economie di scala ne
       faciliterebbero la soluzione (le piccole aziende non si permettono
       certo la posta elettronica o i DB in linea costantemente aggiornati).

     - La riduzione del personale in corso, che vede l'uscita di molte
       figure ad elevata professionalita', ridurra' certo i costi, ma in
       ragione inferiore alla riduzione degli affari (dei progetti e dei
       servizi); pertanto, l'efficacia oraria DIMINUIRA' e NON AUMENTERA'.
       (La misura si dovra' fare sul fatturato servizi, non su quello
       globale).

     - La riduzione del personale, con i suoi risvolti drammatici e
       conflittuali, e' ANCORA UN MODO PER "PARLARE D'ALTRO" rispetto a
       un assetto aziendale piu' razionale.

     3) L'analisi della "catena del valore", pur fondamentale, e' comunque
     parte di un fenomeno piu' generale, che in IBM e' tabu' discutere
     ufficialmente: il potere reale di capi e direttori. Anche se, per le
     ragioni che abbiamo visto, probabilmente non c'e' una proporzionalita'
     diretta tra potere di una funzione e suo contributo al valore del
     prodotto, e' comunque vero che l'azienda non puo' essere diretta
     "come un esercito": le reazioni dei vari poteri interni non sono
     trascurabili, e devono essere tenute in considerazione.
     (Neppure gli eserciti, in realta', vengono diretti "come un esercito").

     Torniamo all'esempio dello "skillogramma": una ragionevole spiegazione
     del suo pratico fallimento chiama in causa il mancato interesse dei
     capi di basso livello nel dare valutazioni realistiche delle proprie
     persone. Infatti, un capo ha tutto l'interesse a sottovalutare
     (nel profilo degli skill) i propri riporti perche':

     - evita il saccheggio di questi da parte di funzioni piu' forti;

     - puo' eventualmente mostrare in futuro piu' veloci "skill upgrade",
       se questo parametro viene di moda;

     - mantiene un maggiore potere contrattuale verso le proprie persone.

     Come succede anche in altri casi (SESAR, SW effettivamente
     disponibile ...) non e' molto astuto
     far finta che queste spinte "politiche" a sistematiche alterazioni
     delle misurazioni interne non esistano.
     Invece di assumere atteggiamenti moralistici o di postulare la
     neutralita' delle strutture organizzative, sarebbe piu' utile
     tenere conto di qualche principio di base:

     * Bisogna distinguere sempre tra ruolo formale e ruolo reale, tra potere
       teorico e potere effettivo; e' necessario analizzare soprattutto i
       secondi, che costituisco il vero "fenomeno aziendale" su cui operare.

     * Le "regole del gioco" per attivare la cooperazione tra le varie
       funzioni devono tenere conto dei centri di potere effettivo
       (non inteso in senso di prepotenza personale, ovviamente, ma come
       riconoscimento della spontanea tendenza all'autonomia decisionale
       da parte dei sottosistemi funzionali).

    *  Le regole, per poter funzionare, devono essere semplici, intuitive
       e generali, e devono essere alla base di applicazioni EDP che ne
       rendano agevole l'attivazione.

    *  Questo sistema deve dare origine a statistiche "vere" sui fenomeni
       aziendali, come gia' esposto in 2).

    *  Il sistema deve dare origine a un sistema razionale di incentivi e
       disincentivi per le varie funzioni, che le spinga ad autoadattarsi
       per ottenere i risultati migliori.

    *  Cio' naturalmente implica delegare la necessaria liberta' d'azione
       alle funzioni interne (con una riduzione netta di peso burocratico
       e con un miglioramento dei tempi di reazione del sistema).

     Attualmente, invece, si continua a ruotare, dividere, riunire,
     esternalizzare ed espellere alla ricerca della "struttura ottimale".
     A parte che in genere si butta tutto all'aria assai prima che un certo
     assetto possa dare qualche misurabile frutto,
     quel che manca e' una sostanziale delega all'autoadeguamento,
     un insieme di regole del gioco basate su valori
     economici reali e non su sistemi cervellotici di premi, punizioni e
     vincoli intricati e mutevoli da rispettare.

     Ad esempio, si potrebbe prendere
     una buona volta sul serio l'idea dell'autonoma validita'
     economica di ogni funzione, dare la possibilita' di investire
     guardando alle prospettive di ritorno, delagare anche ai singoli
     professional la gestione di un budget proporzionato alla responsabilita'
     e al volume di affari, e lasciare che il sistema si autoadatti alle
     mutevoli condizioni. Ogni funzione potrebbe essere libera di modificare
     la propria attivita' caratteristica, purche' ci sia qualcuno disposto
     a "comperare" la nuova offerta. Un semplice sistema di bonifici
     interni potrebbe instaurare un sistema di centri di profitto, e statistiche
     automatiche su queste transazioni evidenzierebbero i flussi
     effettivi di beni e servizi senza richiedere la compilazione di una
     reportistica manuale. L'efficacia del tempo di lavoro dei dipendenti
     potrebbe diventare una variabile da massimizzare, e non da ignorare come
     troppo spesso accade ora.

     Naturalmente un simile sistema funziona se i suoi confini interni
     sono ben disegnati, cio' se coincidono con le aree di "liberta' di
     scelta": non ha senso, ad esempio, gestire in questo modo i servizi
     generali (avrebbero un potere eccessivo, di origine monopolistica),
     mentre si adatterebbe bene a funzioni di integrazione di sistemi e di
     consulenza (le aree da cui ci si aspetta un maggiore valore aggiunto
     nell'immediato futuro), o comunque ad attivita' ad immediato contatto
     con la concorrenza esterna (quindi anche certe produzioni HW, per
     esempio).

     4) Questo genere di ipotesi servono soprattutto per mostrare
     l'importanza della componente interna, organizzativa e culturale
     dell'attuale crisi di IBM. Purtroppo l'atteggiamento direzionale ha
     rivelato soprattutto la sostanziale disistima dei responsabili nei
     confronti delle proprie capacita' di governare gli eventi, la fretta
     di attuare soluzioni semplicistiche, l'incapacita' di fare appello
     alle risorse professionali dei dipendenti.

     Infatti, entrambe le strategie utilizzate in questi anni
     (esternalizzazione di funzioni e allontanamento di dipendenti) hanno il
     tratto comune di cercare di "far sparire" i problemi senza prima
     capirli: a parte il modesto afflusso di denaro fresco proveniente da
     partecipazioni di terzi (e comunque "una tantum"), cos'e' uno
     scorporo se non il riconoscimento, istantaneo e quasi totale, di quell'
     autonomia gestionale di cui si e' tanto avari nei confronti delle
     funzioni interne?
     E quando una persona lascia IBM e trova una collocazione magari
     altrettanto o piu' soddisfacente nel settore informatico, cio' non
     costituisce forse la critica piu' drastica all'organizzazione del
     lavoro e alla gestione della professionalita' da parte di questa
     azienda?

     Di fronte a quest'ordine di problemi, l'onere di mantenere aperta una
     riflessione e una ricerca di linee alternative ricade purtroppo
     quasi interamente sulle spalle dei dipendenti e delle
     loro Rappresentanze Sindacali.
     Comunque, piaccia o meno, questo nodo non e' evitabile: troppo spesso,
     in altre realta', il lavoratori e i sindacati hanno affrontato le
     tematiche produttive solo perche' trascinati dagli eventi, e quasi
     sempre fuori tempo utile per intervenire in modo efficace.

     In questa Azienda non mancano certo le risorse professionali per
     studiare, discutere e, se necessario, controbattere la linea direzionale;
     in altri termini, per costruire un'"opinione pubblica" competente e
     culturalmente autonoma dalla propaganda ufficiale.

     Un po' piu' difficili da trovare, sono l'orgoglio del proprio impegno
     professionale e la capacita' di azione solidale con i propri colleghi.

     Ma, come si diceva una volta, "sbagliando si impara".