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Vedere anche Occupazione, forza lavoro, scorpori, trasferimenti, Diritti sindacali e dei lavoratori

Trasferimenti Individuali e Collettivi

aggiornato il 28/1/2009 a cura di A. Riboni

Per affrontare con serietà, ma soprattutto con concretezza, l'argomento dei trasferimenti è utile prendere visione di quanto previsto dalle norme di legge, della giurisprudenza in materia, dei pareri legali e di quanto previ sto dal vigente Contratto Nazionale di Lavoro e/o da eventuali accordi sindacali aziendali.

Dopo questo lavoro di studio e di analisi sarà possibile svolgere delle considerazioni che aiutino ad affrontare casi concreti che richiedano l'intervento del sindacato.

LEGISLAZIONE

Art. 13 Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Mansioni del lavoratore)

L'articolo 2103 del codice civile è sostituito dal seguente:

"Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Ogni patto contrario è nullo".

GIURISPRUDENZA

  1. Ai trasferimenti collettivi si applicano in via analogica le disposizione di cui all'art. 2103 c.c. (Pret. Milano 8/11/96, est. Atanasio, in D&L 1997, 332, n. Niccolai, Trasferimenti collettivi e necessità delle comp rovate ragioni tecniche, organizzative e produttive; in senso conf., v. Pret. Milano 14/11/96, est. Santosuosso, in D&L 1997, 332)
  2. È illegittimo il trasferimento collettivo di lavoratori ad altra nuova unità produttiva, per soppressione di quella di provenienza, sulla sola base della generica affermazione di sinergie di mercato, insufficiente a integrare le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive previste dall'art. 2103 c.c. (Pret. Milano 2/12/96, est. Vitali, in D&L 1997, 339)
  3. L'art. 27 L. 816/85, che sancisce il divieto di trasferimento del lavoratore chiamato a ricoprire cariche pubbliche elettive, è applicabile anche ai trasferimenti collettivi, a meno che il datore di lavoro non fornisca l a prova dell'impossibilità di utilizzare il lavoratore, negli uffici o nelle unità produttive rimaste, eventualmente anche assegnandogli nuove mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte (Pret. Parma 30/3/95, est. Farraù, in D&L 1995, 949, nota SCORCELLI, Il trasferimento del lavoratore chiamato a ricoprire cariche pubbliche elettive; in senso conforme, v. Trib. Parma 19/5/95, pres. Mari, est. Sinisi, in D&L 1995, 950)
PARERI

Che cos'è il trasferimento e a quali condizioni può essere attuato?

Il trasferimento dei lavoratori da una sede di lavoro ad un'altra è regolato rigidamente dalla legge. Più precisamente, l'art. 2103 c.c. dispone che il trasferimento possa essere attuato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche or ganizzative o produttive". Ciò vuol dire, per giurisprudenza costante, che un dipendente può essere trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare:

  1. l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;
  2. la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione;
  3. la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.

Tutte queste ragioni debbono essere portate a conoscenza del dipendente per iscritto, prima del trasferimento. Se la lettera non contiene l'indicazione delle ragioni è però necessario che il dipendente le richieda espressamente.

In mancanza delle condizioni sopra indicate, il trasferimento è illegittimo e può essere annullato dal pretore del lavoro, a cui l'interessato deve rivolgersi se ritiene che il provvedimento sia illegittimo.

Il trasferimento, di cui si è parlato e che è regolato dal citato art. 2103, presuppone che, nonostante la modifica del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, resti invariato il datore di lavoro. La fattispecie è invece diversa qualora nei confronti del lavoratore venga disposto non solo il trasferimento da una sede di lavoro ad un'altra, ma anche il passaggio alle dipendenze di altra società, pur se consociata a quella di provenienza. In questo caso, più c he di trasferimento, deve parlarsi di cessione del contratto di lavoro da una società all'altra, che può essere attuato esclusivamente con il consenso del lavoratore, in difetto del quale il trasferimento non può essere attuato.

Se il provvedimento fosse portato ad esecuzione nonostante l'esplicito dissenso del lavoratore, è possibile proporre ricorso al Pretore del Lavoro per ottenere la revoca giudiziale del trasferimento.

La normativa di tutela contro i trasferimenti vale anche nel caso in cui il provvedimento sia disposto nell'ambito di uno stesso comune?

È stata avanzata la tesi secondo cui la tutela in questione non si applicherebbe nel caso di trasferimento disposto nell'ambito dello stesso comune: in questo caso, infatti, il lavoratore non subirebbe sacrifici significativi e, dunque, non ci s arebbe motivo di far operare il divieto legislativo. Tuttavia, questa argomentazione si scontra con il chiaro tenore letterale dell'art. 2103 c.c., che parla solo genericamente di trasferimento, senza indicazione alcuna in ordine alla distanza tra la sede di origine e quella di destinazione. Pertanto, la norma opera tutte le volte in cui sia disposto il trasferimento da un'unità produttiva ad un'altra, a prescindere dalla distanza tra le due sedi di lavoro. Il problema, se mai, è quello di c omprendere il significato di unità produttiva.

La sentenza n. 5153 pronunciata dalla Corte di cassazione il 26/5/99 aiuta a risolvere questo problema interpretativo. Più precisamente, la Corte distingue due ipotesi, a seconda che il trasferimento sia disposto nell'ambito dello stesso comune, o di comuni diversi. La Corte rileva che in quest'ultimo caso si impone al lavoratore un vero e proprio spostamento territoriale, con conseguenti disagi personali e familiari.

Conseguentemente, la tutela del lavoratore deve essere massima, e la nozione di unità produttiva deve essere intesa in senso lato, come una qualunque sede aziendale, a prescindere da qualunque requisito dimensionale e di autonomia. In altre paro le, quando il trasferimento avvenga nell'ambito di diversi comuni, l'art. 2103 c.c. È destinato ad operare tutte le volte in cui sia disposto lo spostamento del lavoratore da una sede aziendale ad un'altra.

Diverso è invece l'altro caso: quando il trasferimento viene disposto nell'ambito del medesimo comune, il lavoratore subisce un pregiudizio di gran lunga inferiore, così da giustificare un'attenuazione della tutela legislativa. Pertanto, in questo caso, la nozione di unità produttiva deve essere intesa in senso stretto e, quindi, nel significato attribuitole dall'art. 35 S.L..

Per la verità, la norma da ultimo richiamata definisce l'ambito di applicazione della parte dello Statuto dei Lavoratori dedicato alla definizione dei diritti sindacali. Più precisamente, l'art. 35 citato dispone che la parte dello Statut o dedicata ai diritti sindacali si applica a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupi più di 15 dipendenti, ovvero agli imprenditori che, nell'ambito dello stesso comune, occupino più di 15 dipendenti). Da tale norma, dunque, si ricavava una definizione di unità produttiva, valida anche ai sensi dell'art. 2103 c.c., ma solo nel caso in cui - come si è detto - il trasferimento avvenga nell'ambito dello stesso comune.

CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO DEI METALMECCANICI

Art. 9 - Titolo I - Sezione IV (Trasferimenti)

I lavoratori di età superiore ai 50 anni se uomini e 45 se donne, potranno essere trasferiti in altra sede solo in casi eccezionali da esaminare, a richiesta del lavoratore, in sede sindacale.
In casi di altri trasferimenti individuali dovrà tenersi conto delle obiettive e comprovate ragioni che il lavoratore dovesse addurre contro il trasferimento, direttamente ovvero tramite i componenti delle Rappresentanze sindacali unitarie.
In ogni caso il trasferimento dovrà essere preceduto da un preavviso non inferiore a 20 giorni.
I trasferimenti collettivi formeranno oggetto di preventiva comunicazione alle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori e, a richiesta delle stesse, di esame congiunto.
La presente disciplina non si applica ai trasferimenti che vengono disposti nell'ambito del comprensorio.
Quanto sopra non si cumula con le eventuali regolamentazioni in materia derivanti da accordi aziendali.

ACCORDO SINDACALE AZIENDALE DEL 26 GIUGNO 1974

Art. 9

In linea con la prassi aziendale, i trasferimenti individuali del personale da una località all'altra avvengono su basi consensuali, salvo esame tra Direzione e Rappresentanza Sindacale Aziendale o, eventualmente, in casi eccezionali, tra le ris pettive Organizzazioni Sindacali.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Vale la pena di risolvere subito i problemi conseguenti alla differenza fra trasferimento individuale e trasferimenti collettivi e, accertato che l'unica fonte utile a tale scopo è costituita dal vigente Contratto Nazionale di Lavoro, si può subito fare riferimento alla norma di cui all'art. 9 dell'accordo aziendale 26-6-1974 che introduce il requisito della consensualità nel caso dei trasferimenti individuali da una località all'altra.

In sintesi, anche in base all'esperienza maturata in IBM, un lavoratore non può essere spostata da un'unità produttiva a un'altra situata in un comune (località) diverso e, quindi, il problema è risolto con estrema chiarezza.

Per quanto riguarda i trasferimenti collettivi la questione si complica:

  1. Intanto perché difficilmente un datore di lavoro opera trasferimenti senza avere, e dimostrare di avere, le "comprovate ragioni tecnico organizzative e produttive";
  2. Si fa riferimento, nel testo contrattuale, al solo diritto di "preventiva comunicazione" e, tutt'a lpiù, di "esame congiunto";
  3. Addirittura, sempre con riferimento al testo contrattuale, la disciplina citata al punto 2 non si applica "ai trasferimenti che vengono disposti nell'ambito del comprensorio"; occorre ricordare che non esiste la nozione giuridi ca di "comprensorio" e questo produce infiniti contenziosi interpretativi fra sindacati (che fanno riferimento al comune) e datori di lavoro che invece, nella migliore delle ipotesi, si riferiscono alla provincia.
La legislazione in materia, come già detto, non discrimina fra trasferimenti individuali e collettivi e, sostanzialmente, offre possibilità di opposizione solo ed esclusivamente nel caso di trasferimenti strumentali, ovvero dettati da finali tà diverse dalle compravate ragione tecnico organizzative e produttive. È evidente che, nel caso di chiusura di un'unità produttiva, è impossibile un'opposizione, così com'è particolarmente difficile, dopo la sentenza del maggio 99 pronunciata dalla Corte di Cassazione, opporsi a un trasferi mento nell'ambito dello stesso comune. In tutti gli altri casi occorre aprire un contenzioso che deve in ogni modo fare riferimento all'effettiva impossibilità, per il datore di lavoro, di organizzare la produzione senza fare ricorso al trasferimento di un reparto (o più reparti) da un'unità produttiva all'altra.